Michele Smargiassi, la Repubblica 24/3/2013, 24 marzo 2013
DA STAR TREK A BERTOLDO, COSÌ GRILLO
«LA RESISTENZA è inutile. La vostra vita, come è stata finora, è finita. Da questo momento siete al nostro servizio. Arrendetevi!». Beppe Grillo? No,
Star Trek.
Parlano così, nella saga fantascientifica, i Borg, cyber-umanoidi alla conquista dell’Universo. Ma anche Grillo ha parlato così per tutta la campagna elettorale, e non è una buffa coincidenza. Non c’è nulla di meno casuale del linguaggio del capo, nella storia di successo del MoVimento 5Stelle. Pensare che sia folclore, o inerzia lessicale dell’attore satirico, è un’ingenuità, la stessa che sottovalutò Bossi e il suo gutturale lessico celodurista. In politica il linguaggio serve a circoscrivere e a proscrivere, a includere e a escludere: in fondo un partito è un campo semantico.
Certo, essere stato un comico è un vantaggio competitivo. «Col linguaggio della satira si possono comunicare contenuti altrimenti indicibili», osserva Roberto Biorcio in uno dei saggi dell’ultimo numero
di
Comunicazione Politica,
rivista de Il Mulino, a cura di Ilvo Diamanti e Paolo Natale, tutto dedicato al caso M5S. Dietro la maschera del Tiresia beffeggiante, Grillo ha imperversato in territori sui quali nessun concorrente
(neppure lo showman Berlusconi, che ne patisce palese invidia) poteva seguirlo, pena il ridicolo. La sua doppia casacca, di condottiero che tratta argomenti spesso seri e pensosi e di Bertoldo con la licenza del giullare, lo ha protetto come una corazza. Chi sparava sul politico, trovava il comico, e viceversa. Impossibile infilzarlo.
Così Grillo ha potuto scherzare senza scottarsi coi fuochi più incandescenti. Si è concesso di scimmiottare simboli
impresentabili, dal gergo delle Br (sul suo blog esce periodicamente il «comunicato politico numero... ») al frasario del Duce (sui palchi grida, impettito: «Ita/liàni! »), sempre demoliti e sterilizzati da una risata, ma intanto ripescati dalla memoria collettiva. L’arsenale retorico di Grillo è sapiente, attinge senza darlo a vedere a tutti i cataloghi, alti e bassi,
pop
e colti, letteratura e fumetto, affonda le radici nel profondo dell’immaginario popolare e antro-
pologico. Vista la traversata a nuoto dello Stretto di Messina, tutti hanno pensato alla nuotata di Mao: ma dal sottofondo ancestrale dei siciliani forse è riapparso il mito di Colapesce, l’anfibio cercatore di tesori che immergendosi vide che la Trinacria poggiava su colonne corrose...
Così, l’uso pervicace dei nomignoli e delle storpiature offensive dei cognomi degli avversari (Rigor Montis, Gargamella, Psiconano...) è stato avvicinato alle beffe squadriste
contro gli antifascisti, ma ne condivide solo la radice più lontana: l’abolitio
nominis,
nell’antica Roma, precedeva la
damnatio memoriae
nella procedura di esilio dei reprobi. Anche il turpiloquio, osserva Giovanna Cosenza in un altro saggio, è più di una banale arma contundente, è forma funzionale a un’operazione concettuale sofisticata: «la riduzione del politico alle miserie umane», la sua squalifica per indegnità dal campo del buono e del giusto. La veemenza
è una scelta di
elocutio:
funge da sigillo di autenticità sul messaggio, dice ancora Cosenza, fa pensare: «be’, con l’energia che ci mette, saprà quel che dice».
Né ingenuo né spontaneo, dunque, il linguaggio di Grillo. Anche ora che pare aver dismesso le incandescenze da comizio, resta una macchina perfettamente adeguata allo scopo: tener lontano dai suoi, con una profilassi verbale, il contagio dei «seduttori» della politica, e creare un’identità di gruppo impermeabile all’esterno. Non è un gergo identitario di movimento, non è il “cioè-cazzo-compagni” degli anni Settanta. I grillini non parlano come Grillo, non ne hanno bisogno. Quando per sbaglio ci provano, com’è capitato al capogruppo Crimi per la battuta sulla sonnolenza di Napolitano, fanno un pasticcio e devono chiedere scusa. Il capo, mai. L’impertinenza calcolata (e condonata) del “megafono” è il parafulmine che attira e scarica a terra gli strali degli avversari, proteggendo il gruppo: Grillo, leader “irresponsabile” in senso tecnico (non ha cariche,
non è in Parlamento) può sopportarli senza farsi male. Come Ulisse (così è apparso in auto-caricatura nel suo blog), Grillo solo può ascoltare le sirene; i suoi «ragazzi» in Parlamento no, loro devono avere orecchie (e anche bocche) tappate dalla cera.
Si può definire il linguaggio della presenza/assenza, ovvero dell’incombenza. Grillo non ha veri interlocutori, nel blog lancia gli argomenti ma non interviene personalmente nelle discussioni. Eppure tutti lo chiamano Beppe, come avessero un canale speciale di contatto con lui. Sorprenderà allora qualcuno scoprire, come ci informano Fabio Bordignon e Luigi Ceccarini, che i simpatizzanti del non-partito sedicente senza capi si sentano vicini al loro leader (44%) molto più di quelli degli altri partiti (38%)? O che (c’informa Sara Bentivegna) in quasi metà dei
tweet
che il grillini si scambiano compaia il cognome del leader? O ancora, che il 42% dei militanti sia convinto che senza Grillo il M5S non potrebbe sopravvivere?