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 2013  marzo 25 Lunedì calendario

IL PIANI DI MARCHIONNE PER LA FIAT POST FUSIONE IN ITALIA IL PREMIUM NELL’EST EUROPA IL LOW COST

Fusione con Chrysler e cambio del mix di prodotto: entro il 1 giugno 2014, decimo anniversario del suo insediamento al Lingotto, Sergio Marchionne punta a lanciare la nuova Fiat, il gruppo globale. Le due operazioni che si definiranno nei prossimi mesi sono infatti destinate a modificare per sempre il volto di quello che un tempo era il gruppo di Torino. La scommessa della fusione con la casa di Detroit risponde alla necessità di conquistare, con il Nordamerica, il mercato in grado di spingere il gruppo oltre la soglia limite dei 6 milioni di auto vendute. Il cambio di prodotto e la scelta di puntare sul mix medio alto, le auto premium come le definiscono gli analisti, serve invece a dare un futuro agli stabilimenti italiani (sempreché si riesca davvero a produrre nella Penisola per esportare in tutto il mondo) e, soprattutto, a mantenere la Fiat agganciata ai mercati del centro-nord Europa dove la crisi morde di meno. Al di sopra insomma della faglia che nei prossimi anni rischia di dividere in due il Vecchio Continente tra l’euro di serie A e l’euro di serie B, quest’ultimo riservato a quello che un politico bavarese ha definito con un po’ di disprezzo, il Club Mediterranée. Vendere a nord della Baviera per quel che riguarda l’Europa occidentale e alle classi dirigenti dei paesi emergenti sembra essere l’obiettivo del cambio di pelle di Marchionne nella speranza che la voglia di apparire degli oligarchi di tutto il mondo salvi anche i posti di lavoro italiani come fa da tempo con quelli tedeschi.
L’ operazione di fusione con Chrysler passa attraverso una serie di tappe inevitabili. Per poter fondere le due società di Torino e Detroit è necessario che Fiat acquisti tutte le azioni in mano all’unico altro socio di Chrysler, il fondo pensionistico Veba che protegge la spesa sanitaria degli ex dipendenti della casa americana iscritti al sindacato Uaw. Il Veba ha il 41,5 per cento delle azioni. Sono state ottenute quando erano poco più di un pezzo di carta, al tempo del fallimento pilotato della casa di Auburn Hills. All’epoca, nella primavera del 2009, erano soprattutto una scommessa sul futuro. Se Marchionne non fosse riuscito a risollevare l’azienda dal baratro, quelle azioni avrebbero avuto lo stesso valore delle banconote del Monopoli. Ora che invece la scommessa è vinta, è naturale che Veba tiri sul prezzo. Perché più denaro riuscirà a ricavare da quelle azioni, più fatture del dentista riuscirà a pagare per i suoi pensionati. Così lo scontro è finito presto in tribunale. Ufficialmente per definire il valore di un piccolo pacchetto del 3,3 per cento che secondo il Veba vale due volte e mezzo quel che varrebbe per la Fiat. Ma trasponendo il calcolo sull’intero blocco del 41,5 per cento di azioni, la differenza è tra i 4,2 miliardi che vorrebbe incassare Veba e gli 1,76 miliardi che vorrebbe pagare Fiat. La questione è finita di fronte al giudice di Wilmington, piccola cittadina del Delaware dove hanno sede molte società per sfruttare i vantaggi fiscali offerti da quello stato. La querelle è iniziata a settembre ma sembra che tra una lungaggine e l’altra non si potrà definire prima di giugno. Sono quegli intoppi giudiziari che spesso fanno gridare agli imprenditori nostrani contro la burocrazia che bloccherebbe gli investimenti stranieri nel nostro Paese. Non sembra però che in Delaware si corra questo rischio anche se ci vorrà quasi un anno per dirimere una querelle legale tra la Fiat e un fondo sindacale, vicende che in Italia sono all’ordine del giorno. Se davvero entro giugno il giudice riuscirà a decidere, ci sarà sul tavolo un prezzo di riferimento su cui discutere. Non è detto che sia il prezzo di vendita effettivo ma potrà essere l’inizio di una trattativa. A quel punto infatti Veba, che ha già formalmente presentato una richiesta di quotazione in Borsa del suo pacchetto di azioni, dovrà scegliere se percorrere la strada dell’Ipo o se trovare un’intesa con Fiat per la vendita del pacchetto. I tempi di una quotazione sono più lunghi di quelli di una vendita diretta ed è per questo che, anche recentemente, Marchionne ha detto chiaramente di voler evitare la strada dell’Ipo. Ma su quella scelta è Veba ad avere il coltello dalla parte del manico e l’unico modo per convincere il fondo a non andare in Borsa sembra essere quello di offrire un prezzo appetibile per il pacchetto di azioni. Nel caso Marchionne riesca a convincere Veba a vendere il pacchetto, ci sarebbero i tempi tecnici per arrivare entro fine anno alla fusione tra Fiat e Chrysler. «Una ipotesi sulla quale stiamo già lavorando», ha garantito nei giorni scorsi John Elkann. Se così sarà, entro il 2013 il Lingotto dovrà sciogliere due nodi di fondo. Il primo è quello della quotazione. La nuova società Fiat-Chrysler sarà con tutta probabilità quotata a New York perché nessun studente di economia al mondo posto di fronte all’alternativa tra Wall Street e Piazza Affari sceglierebbe la Borsa milanese. Alla piazza italiana spetterebbe semmai il premio di consolazione di una quotazione secondaria. Analogamente, sarà molto difficile che il quartier generale del gruppo sia in Europa. Basta guardare i grafici degli utili e delle perdite per capire che l’area europea è l’unica con il segno meno. Sarà certamente confermata la divisione in regioni di attività e Torino rimarrà il punto di riferimento per l’area europea ma è molto probabile che il quartier generale finisca a Detroit. Dal momento della fusione poi le differenti velocità di funzionamento delle due sponde della nuova società tenderanno a ridursi ponendo le attività europee, più di quanto accada oggi, nell’alternativa se adeguarsi o soccombere. La nuova Fiat-Chrysler potrebbe dunque nascere ufficialmente prima del giugno 2014. Per quella data dovrebbero già vedersi i primi effetti del cambio di pelle nella gamma. Saranno certamente sul mercato i due modelli Maserati prodotti a Grugliasco, vicino a Torino, in quella che un tempo era la carrozzeria Bertone. La nuova Quattroporte e la Ghibli dovrebbero essere prodotte, a regime, in 50 mila pezzi all’anno, si immagina in gran parte destinati all’esportazione. Ma «entro fine 2013», ha garantito Marchionne al Salone di Ginevra, verranno prese le decisioni sulle nuove produzioni di Mirafiori e Cassino. Nello storico stabilimento torinese si dovrebbe produrre un suv di dimensioni medio grandi realizzato sull’architettura del Jeep Grand Cherokee prodotto oggi a Detroit. Un suv che avrebbe due versioni: una con il marchio Maserati (dovrebbe chiamarsi Levante) e una seconda con il marchio Alfa. Anche in questo caso si tratterebbe di prodotti destinati ai mercati di tutto il mondo. Più incerta la nuova produzione di Cassino dove andrà ad esaurirsi la produzione di Bravo e Delta e dove, accanto alla Giulietta si potrebbe produrre l’Alfa Giulia, la media che verrà realizzata anche in America. Nella gamma premium c’è posto anche per le utilitarie, seguendo una strada già tracciata dai marchi tedeschi. Così a Melfi, fino ad oggi stabilimento dedicato alle auto del segmento B, si realizzeranno due mini suv: uno con il marchio Jeep e l’altro che sarà una evoluzione della serie 500, la 500X. Quanto alle utilitarie tradizionali, la Fiat sta studiando la nascita di un nuovo marchio low cost da produrre fuori Italia. A quel marchio dovrebbe essere affidata l’erede della attuale Punto. Il programma è evidentemente ambizioso e ha tempi abbastanza stretti. Non tutti i dettagli sono ancora definiti con precisione anche perché a Torino hanno imparato ad essere piuttosto prudenti nelle previsioni e a immaginare sempre un’uscita di sicurezza in un periodo in cui la crisi rischia di cambiare le carte in tavola nel giro di pochi mesi. Ma se nascerà davvero la Fiat che verrà immaginata in queste settimane al Lingotto, lo spostamento di baricentro sarà inevitabile. Se quel cambiamento sarà accompagnato da un minimo di ripresa sul mercato europeo è possibile che gli stabilimenti italiani riescano a tornare a lavorare a pieno ritmo entro i prossimi anni. Tre, quattro? «Anche prima», ha risposto Marchionne nell’intervista pubblica fatta dal direttore di Repubblica, Ezio Mauro, al teatro Carignano di Torino nell’anteprima di Repubblica delle ideededicata al lavoro. E questa, in fondo, quella di tornare a far lavorare gli stabilimenti italiani a pieno ritmo, sembra essere la scommessa più difficile per il manager di Torino. Qui sotto, l’amministratore delegato del Gruppo Fiat Sergio Marchionne. Nei suoi piani la fusione Fiat-Chrysler dovrebbe diventare operativa entro il giugno 2014 e la condizione è che entro il giugno di quest’anno il tribunale Usa sblocchi il contenzioso che oppone il gruppo torinese ai fondi pensione che detengono attualmente il 41,5% della Chrysler

(25 marzo 2013) © Riproduzione riservata



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