Mario Giordano, Libero 21/3/2013, 21 marzo 2013
Il Papa è buono, il Papa è simpatico, il Papa è umile, il Papa è semplice. Il Papa viaggia in autobus, il Papa rinuncia alla croce d’oro, mette l’anello «solo» d’argento, il Papa paga il conto dell’albergo e telefona all’edicolante per dirgli: «Il Clarín non mi serve più»
Il Papa è buono, il Papa è simpatico, il Papa è umile, il Papa è semplice. Il Papa viaggia in autobus, il Papa rinuncia alla croce d’oro, mette l’anello «solo» d’argento, il Papa paga il conto dell’albergo e telefona all’edicolante per dirgli: «Il Clarín non mi serve più». Il Papa dice «buonasera» (accidenti com’è simpatico quando dice buonasera!). Il Papa dice «buon pranzo» (accidenti com’è simpatico quando dice buon pranzo!), il Papa dice «giornalisti, avete lavorato eh?» (accidenti com’è simpatico persino quando parla di lavoro). Il Papa non ha il segretario, anzi sì forse ne ha due, però sono meno segretari degli altri segretari, il Papa rinuncia all’auto blu, il Papa ferma la Papamobile (accidenti com’è simpatico quando ferma la Papamobile), il Papa non spende soldi per rifarsi lo stemma, il Papa non trova il tempo per andare dal sarto, il Papa aveva la fidanzata, il Papa ama il tango, il Papa ama il calcio, il Papa dà i consigli giusti ai vescovi e ai bomber, il Papa sa come pregare e come fare gol con il 4-3-3, il Papa pensa ai poveri e per questo si chiama Francesco come Francesco d’Assisi, il santo che parlava agli uccellini (tenerini! Tenerini!) e ammansiva i lupacchiotti. C’era un gran bisogno di un personaggio positivo, in questo mondo di cattivi, c’era bisogno di un fruscio di speranza anche in questa Chiesa di Ior, corvi e sospetti pedofili. E Papa Bergoglio ha avuto il merito straordinario di trovarsi lì, persona giusta al momento giusto, perfetto per l’occasione, con il suo linguaggio semplice da parroco, con la sua faccia buona da amico di famiglia, con la sua fede grande e trasparente, e quell’accento argentino che rende tutto esoticamente meraviglioso. Non ha sbagliato una mossa, ha saputo toccare il cuore di tutti perché sa comunicare, sa farsi voler bene, sa utilizzare d’istinto parole e gesti che lo fanno sentire vicino alla gente, e soprattutto dà l’idea di credere davvero in quel che dice. «Non abbiate paura della tenerezza», ha la stessa immediata forza evocativa che aveva la «carezza ai bambini» di Giovanni XXIII. Poche parole destinate a essere ricordate per sempre. Ma se il Papa sta facendo benissimo il suo mestiere di Papa, come meglio non avremmo potuto immaginare, c’è da chiedersi se noi che lo raccontiamo stiamo facendo bene il nostro mestiere di giornalisti. E se corrisponde al vero, e al bene, quella immagine un po’ da Domenica del Corriere che abbiamo costruito attorno al Pontificato, quella copertina patinata e sdolcinata che applichiamo ogni azione di Francesco, facendolo diventare l’eroe dei rotocalchi, il superman della tv popolare, una specie di protagonista melenso della quotidiana soap opera catodica. Anzi di più: c’è da chiedersi se non sia pericoloso ridurlo a una macchietta frou frou, tutta gridolini di meraviglia («ah com’è simpatico lui, ah com’è umile lui»), liofilizzato e rimasticato in formato telenovela per essere dato in pasto ai settimanali popolari che ne hanno già fatto il loro uomo simbolo, look perfetto e tante copie vendute in edicola. Lo confessiamo: temiamo un po’ la celebrazione dei meravigliosi gesti che ci pioveranno nei prossimi giorni. Proviamo a immaginare: il Papa che dice «Buona cena» (accidenti com’è simpatico quando dice buona cena!), il Papa che dice «Buon pomeriggio», il Papa che dice ai giornalisti: «Sempre meglio che lavorare, eh?», il Papa che viaggia in aereo e si allaccia la cintura di sicurezza, il Papa che si soffia il naso (con il fazzoletto di carta! Mica usa la seta trapuntata d’oro!), il Papa che starnutisce (accidenti com’è piacevole quando starnutisce lui), il Papa che guarda il cielo, il Papa che sorseggia un bicchiere d’acqua (com’è semplice!), il Papa che si allaccia una scarpa (com’è umile!), e che magari strizza gli occhi perché c’è il sole che gli dà fastidio (com’è umano!). Già ci immaginiamo le lenzuolate sui giornali al primo «Buona Pasqua a tutti» (com’è simpatico quando dice buon Pasqua!), editorialisti scatenati non appena lo si vedrà con una penna in mano (com’è simpatico quanto impugna la penna! E non è nemmeno tempestata di diamanti!) e fior di filosofi impegnati a discettare sul colore del calzino mostrato da un’improvvisa folata di vento (come è simpatico quando indossa i calzini! Nemmeno un ricamo di perle! Proprio umili!). Esageruma nen, diceva sempre il mio nonno contadino nelle stesse terre da cui partì la famiglia di Francesco. Non esageriamo. Ci siamo un po’ spaventati quando abbiamo sentito anche importanti prelati descrivere il «nuovo corso della Chiesa» con toni estasiati: «Finalmente uno che crede! Finalmente un uomo di Dio», come se fino a ieri il Pontefice fosse un islamico convertito al buddismo. Ci siamo un po’ preoccupati quando l’ansia di palingenesi ha trasformato l’arrivo al soglio del cardinal Bergoglio (fa anche rima! Che simpatico!) in una specie di nuovo inizio del cristianesimo, quasi a misurare il tempo in prima di Cristo, dopo Cristo, prima di Francesco e dopo Francesco. E, per dirla tutta, anche quel «non abbiate paura della tenerezza», è una frase toccante, sicuro, l’abbiamo già stabilito, ma va trattata con cura: sono d’accordo con Giuliano Ferrara che ieri sul Foglio scriveva che la tenerezza, invece, un po’, di paura la deve fare. Il compito che spetta al nuovo Pontefice, infatti, è tutt’altro che tenero: la Chiesa deve essere ripulita, la Curia sgombrata dai fantasmi, gli intrighi di corte vaticana vanno tagliati via con il machete. La tenerezza non basta. La tenerezza commuove, affascina, fa titolo, entusiasma, innamora. Ma se si trasforma in sdolcinatura da raduno boy scouts, con tutto il rispetto per i boy scouts, non risolve nulla. Non credo affatto che il nuovo Papa sia così melenso come lo stiamo rappresentando, anzi ha dimostrato di saper combattere battaglie forti sui valori fondamentali, ha una storia di azioni rigorose, importanti, per nulla sdolcinate. Tocca a noi ora, evitare di renderlo una macchietta zuccherosa e caramellata. Se davvero gli vogliamo bene, supportiamolo nelle battaglie fondamentali, anche quando saranno un po’ meno tenere e un po’ più ruvide (eutanasia, aborto, famiglia...). In fondo, come ci ha insegnato una volta per tutti Franco Cardini, anche San Francesco, cui il Papa deve il nome, non era quel personaggio dolciastro, mieloso, ecologico-pacifista, non era il tipo che ride sempre, che parla con gli uccellini carini carini e che fa amicizia con i lupacchiotti, non era quella specie di vispo tereso svenevole che l’iconografia tradizionale ha voluto presentarci. Era un uomo del suo tempo, medioevale, duro, tosto, che i musulmani (per dire) voleva convertirli mica «aprirci un dialogo»... Come stupirsi? Anche Gesù, se proprio dobbiamo dirla tutta, quando si accorse che i mercanti erano entrati nel tempio (allora come ora), li scacciò usando la frusta. Strumento, si sa, dotato di molte virtù ma non certo di tenerezza.