Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 22/03/2013, 22 marzo 2013
COMINCIÒ IN UN TEATRO IL PROCESSO A PAPA PACELLI
Cinquanta anni fa, il 20 febbraio 1963, Erwin Piscator metteva in scena a Berlino «Der Stellvertreter» (Il vicario) di Rolf Hochhuth. Spesso vengono attribuite a quella data e a quel dramma l’inizio delle contestazioni a Pio XII. Se è vero che le accuse di antisemitismo al «Pastor angelicus», manifestato con il silenzio di fronte alla Shoah, nacquero allora, anche da parte di ebrei che in precedenza gli avevano riconosciuto l’aiuto e la protezione prestate, non si può negare che anche in precedenza Eugenio Pacelli avesse ricevuto critiche. Domenico Tardini, che pure lodava le sue qualità intellettuali, fa notare, probabilmente senza condividerla, la volontà del Papa di servirsi di esecutori e non di collaboratori, evitando di scegliere un segretario di Stato dopo la morte del cardinale Maglione. Ernesto Buonaiuti lo accusa di propendere per il nazismo e mette a confronto le encicliche «Mit brennender sorge» e «Divini redemptori» che papa Pacelli avrebbe ispirato a Pio XI. L’ideologia marxista sarebbe violentemente contrastata nella seconda enciclica e quella nazista trattata con moderazione nella prima. Ernesto Rossi, ne Il manganello e l’aspersorio, accusa il Papa di essere reazionario denunciando una collusione tra «l’altare» e il regime fascista antiliberale. Che considerazioni si possono trarre al proposito?
Alberto Cotechini
albertocotechini@tiscali.it
Caro Cotechini, le critiche indirizzate a Pio XII furono ancora più numerose e non necessariamente provenienti da ambienti laici e anticlericali. Buonaiuti era un modernista che la Chiesa aveva scomunicato e interdetto dall’insegnamento. Ernesto Rossi era un liberale di sinistra e, nelle questioni concernenti i rapporti della Santa Sede con lo Stato italiano, un battagliero polemista. Ma la maggiore contestazione della politica praticata da papa Pacelli venne, sia pure senza esplicite accuse, dal suo successore. Mentre Pio XII scomunicò gli elettori del Pci, Giovanni XXIII non esitò a ricevere in Vaticano il direttore del quotidiano sovietico Izvestiija a cui Nikita Krusciov, segretario generale del Pcus (Partito comunista dell’Unione Sovietica), aveva affidato un messaggio di auguri per l’ottantesimo compleanno del pontefice.
Ma l’accusa più imbarazzante e bruciante fu paradossalmente quella di Hochhuth. Ho scritto paradossalmente perché l’autore era uno scrittore prolisso (il dramma durava cinque ore) e i suoi meriti erano polemici piuttosto che letterari. Dopo avere denunciato la colpevole indifferenza di Pacelli di fronte alla grande tragedia ebraica della Seconda guerra mondiale, Hochhuth andò alla ricerca di una nuova provocazione e scrisse un altro dramma, «I soldati», in cui sospettò Winston Churchill di avere organizzato l’incidente aereo al largo di Gibilterra, nel luglio del 1943, in cui perdette la vita Wladislaw Sikorski, capo del governo polacco in esilio. Ma il pilota dell’aereo, sopravvissuto all’incidente, querelò il teatro in cui il dramma era andato in scena e vinse la causa. Hochhuth, a quanto sembra, voleva usare quell’episodio per aprire un dibattito sui bombardamenti alleati della Germania durante il conflitto e si servì del materiale raccolto da uno studioso inglese, David Irving, che diverrà noto più tardi per gli scritti con cui cercò di negare la realtà storica del genocidio ebraico.
È certamente vero, tuttavia, che Pacelli temette la minaccia bolscevica più di quanto temesse quella nazista. È probabile che all’origine di quella distinzione vi fosse una sua personale esperienza. Era stato nunzio apostolico a Monaco nel 1919 quando nella capitale della Baviera scoppiò una rivoluzione bolscevica e fu proclamata la Repubblica dei Soviet. La nunziatura fu invasa da un gruppo di facinorosi e Pacelli, minacciato di morte, fu costretto a trascorrere qualche settimana in un monastero svizzero. Da quell’avvenimento derivò probabilmente la convinzione che la Chiesa non potesse combattere su due fronti con lo stesso rigore e che dei due mali, quando occorreva fare una scelta, quello comunista fosse il peggiore.
Sergio Romano