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 2013  marzo 22 Venerdì calendario

PERCHE’ OBAMA VOLA IN ISRAELE?

Quante volte Barack Obama ha visitato Israele nella veste di presidente degli Stati Uniti?

Il viaggio in corso è il primo compiuto da questo capo della Casa Bianca nello Stato ebraico.

Perché non era mai andato durante l’intero primo mandato?

Non riteneva che la sua visita potesse generare i risultati attesi quando un presidente degli Stati Uniti va in Israele e nei Territori palestinesi.

Non si tratta di una scelta politica inusuale?

Fino ad un certo punto. Degli ultimi 11 capi della Casa Bianca solo quattro, Jimmy Carter e Bill Clinton durante il primo mandato, Richard Nixon e George W. Bush nel secondo, sono stati in Israele. Gli altri hanno evitato il viaggio perché non lo ritenevano produttivo, nonostante abbiano conservato il tradizionale stretto rapporto con lo Stato ebraico.

Perché Obama aveva maturato questa convinzione?

All’inizio della sua presidenza, aveva compiuto un tentativo per far ripartire i colloqui diretti di pace tra le due parti, mobilitando anche il segretario di Stato Hillary Clinton. Il negoziato però non ha mai ripreso davvero forza, e quindi il presidente ha deciso di dedicarsi ad altri problemi. Fin dall’inizio del primo mandato doveva risolvere la questione delle due guerre in Iraq e Afghanistan, e il deterioramento dei rapporti con il mondo islamico. A tutto questo si sono aggiunti la Primavera araba e l’accelerazione del programma nucleare iraniano, che hanno finito per assorbire la maggior parte dell’impegno diplomatico americano nella regione.

Il rapporto personale tra Obama e Netanyahu ha contribuito a ritardare il viaggio?

In parte sì. In varie occasioni si è parlato di tensioni tra i due leader, o comunque di una visione del processo di pace che non coincideva.

Cosa è cambiato adesso?

Obama è stato appena rieletto, e quindi per i prossimi quattro anni Israele dovrà lavorare con lui. Sarebbe diventato davvero inusuale se nell’arco di due mandati il capo della Casa Bianca non avesse trovato il tempo di visitare lo Stato ebraico, per cercare di far ripartire il negoziato. Nello stesso tempo anche il premier Netanyahu ha vinto le elezioni a gennaio, ma ha ottenuto un risultato inferiore alle attese, che potrebbe spingerlo a cercare il rilancio attraverso la ripresa del processo di pace, nonostante le difficoltà che questo comporterebbe all’interno della sua composita coalizione governativa.

Obama è andato in Israele e nei Territori palestinesi con la proposta di un nuovo accordo?

Ufficialmente no: alla vigilia del viaggio la Casa Bianca ha abbassato le aspettative, chiarendo che la missione aveva lo scopo di ascoltare le parti e di riavviare il dialogo. Dopo la visita il presidente tirerà le proprie somme, e in base a quanto ha sentito deciderà se è il caso di investire il proprio capitale politico sulla ripresa delle trattative.

A che punto è oggi il processo di pace?

Poco lontano da dove si trovava nel 1993, quando con gli accordi di Oslo era cominciata la nuova fase che aveva dato la speranza di trovare una soluzione. L’uccisione del premier israeliano Yitzhak Rabin aveva frenato quella spinta, ma durante il vertice convocato da Bill Clinton a Camp David nel 2000 si era arrivati nuovamente vicini ad un’intesa. Arafat però aveva rifiutato l’offerta di Ehud Barak per creare uno stato su circa il 95% della Cisgiordania, e da allora non si è più riprodotta un’occasione simile. Gli attentati dell’11 settembre 2001, e il successo politico di Hamas a Gaza, hanno complicato la situazione. In queste condizioni, infatti, non è certo che il presidente dell’Autorità palestinese Abbas possa negoziare un accordo a nome di tutto il suo popolo.

Quali sono i nodi più difficili da sciogliere?

«L’accettazione sincera da parte di tutti della soluzione dei due stati, la definizione dei confini dell’entità palestinese, il futuro di Gerusalemme che entrambi rivendicano come capitale, il riconoscimento del diritto di Israele ad esistere e quindi la rinuncia completa al terrorismo, la questione del diritto al ritorno dei palestinesi che lasciarono le loro case quando i Territori vennero occupati dallo Stato ebraico».

In che modo Obama spera di far ripartire il negoziato?

«Il capo della Casa Bianca durante questo viaggio si è rivolto soprattutto alle nuove generazioni, che hanno più interesse a lasciarsi dietro le spalle i conflitti del passato. Ha cambiato la prospettiva del dialogo chiedendo a tutti di rinunciare alle precondizioni, incluso lo stop agli insediamenti israeliani, che pure ha criticato. Ha detto che non si può tornare al tavolo solo quando tutti i nodi saranno sciolti, ma che bisogna tornare al tavolo proprio per scioglierli, e quindi riprendere un negoziato complessivo per arrivare alla soluzione definitiva».