Luca Ubaldeschi, La Stampa 22/3/2013, 22 marzo 2013
TAGLI E NUOVI PROGRAMMI PER BATTERE LA CRISI"
La prossima settimana Mediaset presenterà il primo bilancio in rosso della sua storia - gli analisti parlano di un passivo di circa 45 milioni -, ma Pier Silvio Berlusconi è fiducioso di aver trovato la ricetta per portare l’azienda di cui è vice presidente lontano dalle secche di una recessione aggravata, spiega, «da un’altra emergenza, l’instabilità politica». Annuncia «una sorta di rivoluzione» per Mediaset, «che già da alcuni anni sta lavorando per innovare la propria offerta, dalla sola tv generalista a un sistema multimediale integrato per creare un gruppo più dinamico e moderno. Oggi siamo pronti a cogliere tutte le nuove opportunità che si presenteranno dopo la crisi». I dettagli del piano che cambia l’offerta televisiva li riassume in uno slogan: «Il 2013 sarà l’anno zero della nuova Mediaset».
I conti in rosso sono però un brutto colpo. E’ solo colpa della crisi o c’è stato qualche errore di strategia?
«Dipendono totalmente dalla situazione economica, dalla crisi devastante. Noi viviamo di pubblicità e il mercato pubblicitario in Italia è passato da 9 miliardi a 7 in soli due anni. Sono scomparsi 2 miliardi».
Ma non è anche che la tv generalista sta passando di moda?
«Al contrario. E’ l’unica che riesce a coinvolgere l’intero Paese, anche sui social network è al centro dell’attenzione. E, crisi a parte, ha ancora una grande forza in termini di ricavi e utili. Assieme a Internet, che però ha un’offerta iper-frammentata, la tv sarà l’unico mezzo a crescere ancora: i contenuti video sono già in grado di vivere sulle nuove piattaforme digitali. Certo, di fronte al calo di mercato che le ho citato, siamo intervenuti per tempo con un piano di trasformazione strutturale».
Parla del taglio dei costi?
«Esatto. Dopo tante iniziative di sviluppo, possiamo razionalizzare. In 3 anni, Mediaset costerà 450 milioni in meno all’anno rispetto al 2011. Abbiamo agito su tutto: strutture, costo dei diritti, dei programmi, degli studi, delle star. E’ stata dura ottenere efficienza ovunque ma ci stiamo riuscendo: per esempio le nuove fiction, a parità di qualità, costeranno il 30% in meno a serata».
Anche lei si è ridotto lo stipendio?
«Da un paio di esercizi la parte variabile delle retribuzioni dei top manager, che vale il 30% del totale, non viene erogata. Vale anche per me».
Avete ridotto anche il personale.
«Nessun licenziamento. Abbiamo fatto di tutto per non toccare l’occupazione. Parliamo al massimo di prepensionamenti e collaborazioni. E con l’accorpamento di alcuni settori da Roma a Milano, alcuni dipendenti hanno preferito non trasferirsi e negoziare soluzioni concordate con il sindacato. I nostri piani non prevedono esuberi di personale. E, me lo lasci dire, ne sono orgoglioso».
La decisionedicambiarel’offertatelevisivapartesoltantodaragionieconomiche,dirisparmio,oanchedalrinnegare un modello culturale? Per intenderci,ilGrandeFratelloresterà?
«Il nostro modello culturale è la modernità. E il Grande Fratello, rinnovato, resta eccome. Abbiamo programmato questa evoluzione partendo da un dato di fatto. La concorrenza continua a crescere: un rapporto del Consiglio d’Europa ha appena stabilito che l’Italia è primo Paese europeo per numero di reti. Il 90% di questi canali vive di film, telefilm e programmi tradotti, mentre noi vogliamo che le nostre reti generaliste offrano sempre più prodotti italiani ed esclusivi, unici in questo panorama affollato».
Qual è il primo passo?
«Partiamo da Italia 1. Punteremo con decisione sull’intrattenimento autoprodotto. Per intenderci a programmi tipo Le Iene, Colorado, Wild... Ma oseremo anche con prodotti meno sicuri sul piano degli ascolti pur di sperimentare nuovi linguaggi. Vedremo i primi effetti già in autunno».
Come cambieranno Canale 5 e Retequattro?
«Retequattro sarà sempre più ricca di informazione, talk show e approfondimenti. Primo passo: dopo Quarto grado e Quinta colonna arriverà un altro programma di attualità in prima serata».
Vi ispirate alla «formula La7», pure se con un’altra impostazione politica?
«Direi una La7 più popolare, meno radical-chic e soprattutto con costi sostenibili».
A proposito de La7, l’arrivo di Cairo cambierà il mercato tv?
«Non credo. Cairo è bravo, gli auguro di riuscire a raddrizzare le perdite di una rete posizionata bene, ma con un conto economico squilibrato».
Torniamo a Mediaset. Che ne sarà di Canale 5?
«Canale 5 è già molto forte, leader assoluta nel target commerciale. E’ la rete delle giovani famiglie. Puntiamo a mantenere elevato il tasso di qualità, quantità e modernità. Sarebbe ideale avere costantemente una settimana con 4 prime serate di intrattenimento e 2 o 3 di fiction italiana».
Con meno serie tv americane e meno film, il risultato finale non sarà un’offerta più povera?
«Al contrario. Tutte le serie tv e i film andranno di prevalenza sui nostri canali tematici. Per le generaliste saremo molto selettivi, per avere più prodotti esclusivi, ma a costi adeguati al mercato di oggi. Punteremo su prodotti destinati a diventare eventi collettivi, intesi non solo come lo show di Celentano, ma come programmi in diretta - pensi ad Amici – che diventano un appuntamento irrinunciabile per gli spettatori tv e di interazione sul web».
C’è poi la questione di Premium, la pay-tv che lei ha voluto e da molti considerata un’operazione poco riuscita.
«Sorrido quando leggo di presunte difficoltà di Premium, perché la nostra pay sta ottenendo risultati sorprendenti. Il mercato pay è per la prima volta in contrazione: i concorrenti (Sky, ndr) vedono ridursi gli abbonati, mentre Premium è stabile a quota 2 milioni. E in un anno nero come il 2012, i ricavi della nostra pay sono leggermente cresciuti. In più, Premium è la rampa di lancio ideale per i nuovi modelli di fruizione dei contenuti video pregiati».
Quali?
«Penso prima di tutto all’on-demand, i programmi che il cliente può vedere come e quando vuole senza vincoli di palinsesto. Un servizio che con Play già ci vede leader. Ora stiamo lavorando a un nuovo progetto, “Infinity”, che offrirà appunto un’infinità di contenuti on demand visibili con la massima flessibilità commerciale su tutti i device collegabili a Internet, dalle smart-tv ai tablet alle console di videogiochi. Per intenderci, una Netflix italiana».
Internet come sta condizionando l’offerta televisiva?
«Oggi siamo i primi broadcaster televisivi sul web per pagine viste con una crescita del 20% nel 2012 e, con circa 30 milioni di filmati visti al mese, siamo i primi come editori di video professionali. Vogliamo estendere sempre di più i programmi tv verso la Rete, per esempio creando contenuti ad hoc per i social network».
Vi preparate a cambiare anche la politica pubblicitaria, vero?
«Oggi siamo gli unici a poter offrire un sistema di media così vasto. I nostri clienti hanno a disposizione quello che il nuovo mercato chiede: piani di comunicazione completamente integrati che vanno dalla potenza di Canale 5 alla precisione di Internet. Con il presidente Giuliano Adreani abbiamo rafforzato la concessionaria e il nuovo ad Stefano Sala è l’uomo giusto per guidare questa trasformazione».
Sul fronte pubblicitario è possibile una fusione con la concessionaria di Mondadori?
«Una fusione oggi no, ma stiamo lavorando per sperimentare sinergie con la carta stampata».
E’ appena uscito un report di Goldman Sachs che ha migliorato le prospettive del titolo Mediaset, reduce da un anno in calo del 28%. Il mercato si aspetta novità, magari un socio?
«Mi auguro che le banche d’affari stiano capendo quanto abbiamo fatto e che nell’istante in cui la crisi si fermerà, Mediaset sarà già pronta a generare risultati con ancora più slancio. Quanto a possibili soci, siamo stati cercati da più gruppi stranieri interessati a una quota di Premium. Ma onestamente con l’instabilità politica di oggi chi entrerebbe in Italia?».
Quanto pesa questa instabilità sulla situazione economica?
«Oggi è il fattore peggiore. Trovo assurdo che in un momento così drammatico per l’economia, la politica non sia capace di dare stabilità al Paese».
La preoccupa la possibilità che un governo a guida Pd possa adottare provvedimenti che vi sfavoriscano?
«Separiamo la politica dall’azienda. Oggi l’astio degli avversari politici nei confronti di mio padre fa impressione. E la paura che questa ostilità possa estendersi a Mediaset può venire. Ma alla fine non credo sia interesse di nessuno distruggere Mediaset indebolendo ulteriormente il sistema industriale ed editoriale italiano».