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 2013  marzo 21 Giovedì calendario

IL PAPA POVERO SPAVENTA LA CHIESA DEI CONSERVATORI

Papa Francesco ha imboccato una via stretta. La parola d’ordine di una Chiesa povera e irreprensibile non può valere per una sola messa. Privi di teatralità, caparbiamente essenziali, i suoi primi gesti vanno tutti in una stessa direzione.
Le scarpe nere con i lacci, il rifiuto delle mitrie pontificali, la croce di ferro, la semplice casula invece di pomposi paramenti, parlare in piedi, chiamare “fratelli” i cardinali, definire servizio il potere, mandare in soffitta le pantofole purpuree dei pontefici-sovrani, significa smontare tutta l’impalcatura simbolica di potenza imperiale del papato e l’immaginario semidivino, su cui si è retto da almeno mille anni.
Riallacciandosi teologicamente l’abdicazione di Benedetto XVI – ha definito le sue dimissioni ispirate dallo Spirito Santo come l’elezione del successore, cioè di se stesso – Francesco ha collocato solidamente dentro la dimensione del “servizio” il gesto rivoluzionario di Ratzinger, che ha reso la Chiesa di colpo più umana e più fragile. Su questa strada ha continuato, esaltando la virtù della “tenerezza” come inerente alla missione papale, mettendo da parte ogni esibizione di potenza: seppur religiosa, seppur per buoni propositi.
LE RESISTENZE interne non tarderanno a venire. Anzi, si sono già manifestate con un fuoco di sbarramento, proveniente dalle trincee degli atei devoti. Giuliano Ferrara sul Foglio scrive direttamente al Papa per dirsi contrario a troppa tenerezza. “Padre – esclama in prima pagina – ho paura della tenerezza”. Per domare la belva umana, spiega, ci vuole il “giudizio e l’esercizio dell’autorità”. Per contrastare “ingovernabili libertà” è necessario “disciplinare severamente”. A Bergoglio, da appena una settimana sul soglio di Pietro, Ferrara chiede perentoriamente di innervare i sentimenti di simpatia, che ha suscitato, con un atteggiamento di “linearità, chiarezza e verità”. Cominciando, intanto, a proclamare ai quattro venti che l’aborto è un massacro. Più soft sul Giornale, procedendo a gattoni, Marcello Veneziani indica in Francesco l’autore di una “svolta populista”. E, con l’antico metodo di diffondere un’etichetta attribuendola ad altri, lancia l’allarme che il nuovo Papa possa essere trasformato in una “macchietta”. Sono le prime avvisaglie dell’opposizione che si scatenerà, quando Bergoglio vorrà fare sul serio toccando interessi, abitudini, ideologie radicate in quel mondo laico e clericale, che non vuole rinunciare a una Chiesa-potenza.
Sullo sfondo si agita il brontoloso silenzio dei ciellini, feriti e irritati per la sconfitta del papabile Scola, di cui sono in gran parte responsabili per il modo invadente con cui hanno cercato di pompare la sua candidatura.
I rischi maggiori di scontri sotterranei interni alla struttura ecclesiastica vengono, in ultima analisi, dalla determinazione di Francesco. Esigere una Chiesa povera ed ecclesiastici irreprensibili significa mettere in contraddizione stili di vita e comportamenti, che coinvolgono migliaia di “gerarchi” grandi e piccoli. Mettere in discussione palazzi, macchine, servitù, consumismo, carrierismo che proliferano nel mondo ecclesiastico come in ogni organismo sociale, convivendo fianco a fianco con esistenze totalmente disinteressate votate alla missione.
Collocare la povertà in cima all’agenda non equivale solo a vivere in due stanze come il Bergoglio arcivescovo a Buenos Aires. Comporta l’impossibilità per la gerarchia ecclesiastica di negarsi alla trasparenza. Rendere pubblico il proprio patrimonio immobiliare: beni per mille miliardi di euro unicamente in Italia, secondo il Sole 24 Ore. Pubblicare, ad esempio, i bilanci delle diocesi italiane, tenacemente avverse, come si fa in Germania. Riformare totalmente lo Ior o abolirlo sostituendolo con una banca etica, in regola con le norme internazionali.
NON SI TRATTA neanche di intervenire su uno o due problemi specifici – si tratti di riformare la Curia o la banca vaticana – è tutto un sistema, che ora è chiamato a ruotare intorno all’asse della “povertà e irreprensibilità”. San Francesco di Assisi voleva che i suoi frati si guadagnassero da vivere lavorando, i suoi discendenti (pur con tutto l’impegno religioso) hanno le donne di servizio. Nelle parole di papa Francesco è insita una rivoluzione copernicana.
Ecco perché a Roma la vox populi ripete da giorni: “Speriamo che lo lascino fare…”. Il popolo ha fiuto. Il futuro prossimo rivelerà se Francesco uscirà dalla prova con un New Deal alla Roosevelt o sconfitto come Gorbaciov.