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 2013  marzo 16 Sabato calendario

COME SONO DIVENTATA ARIANNA VINCENDO LA PAURA


Nella mia vita ho vissuto molti, molti momenti di paura, ma alcuni sono stati cruciali. Momenti in cui la paura è stata irrefrenabile, ma grazie ai quali ho imparato che era possibile vincerla e superarla, diventando impavidi.
La prima paura che ricordo fu particolarmente strana. Avevo 9 anni. Una sera, durante la cena, mia madre cominciò a raccontare a me e a mia sorella minore di quando, durante la Guerra civile greca degli anni 40, era fuggita sui monti con due ragazzine ebree. Prestando servizio nella Croce Rossa greca, si occupava dei soldati feriti, e quel giorno nascose le due ragazzine.
Ci raccontò della notte in cui alcuni soldati tedeschi arrivarono nella loro casetta di montagna e cominciarono a sparare, minacciando di sterminare tutti se il gruppo non avesse consegnato gli ebrei che i tedeschi sospettavano (a ragione) essere nascosti lì con loro. Mia madre, che parlava un ottimo tedesco, li affrontò intimandogli di abbassare le armi, e dicendo che tra loro non c’era nessun ebreo. Davanti ai suoi occhi, i soldati tedeschi abbassarono i fucili e se ne andarono. Ricordo che bastò quel racconto a far montare in me la paura, non solo per mia madre e per il pericolo che aveva corso, ma anche per me stessa. Come avrei mai potuto essere all’altezza di quell’esempio di coraggio?
Era il 1967, e un gruppo di generali greci aveva appena realizzato un colpo di stato, instaurando una dittatura ad Atene, la città dove all’epoca vivevo. Era stato imposto il coprifuoco, e c’erano soldati che stazionavano a ogni angolo. Avevo 17 anni ed ero intimorita, combattuta tra la paura che mi paralizzava e il desiderio di ignorare il coprifuoco per recarmi a piedi alle mie lezioni di economia, così da realizzare il sogno di andare all’università a Cambridge. Scegliendo di ignorare il coprifuoco, andai a scuola ugualmente.
Quando infine arrivai a Cambridge, mi innamorai seduta stante della Cambridge Union, la celebre organizzazione studentesca specializzata in dibattiti. Tuttavia, e per usare un eufemismo, la Cambridge Union non si innamorò seduta stante di me. Ancor prima di avviare quella storia d’amore non corrisposto, dovetti superare l’ostacolo del mio forte accento greco, in un mondo dove l’accento contava realmente. Ancor più importante, dovetti superare la paura delle critiche e della derisione. Sapevo che se non ci fossi riuscita non avrei mai trovato il coraggio di parlare in pubblico.
Nel 1988, quando pubblicai il mio libro su Picasso, mi ritrovai coinvolta in una battaglia con l’establishment letterario. Il peccato da me commesso era stato osare criticare Picasso come uomo, pur riconoscendone il genio artistico. Il libro si intitolava Picasso. Creatore e distruttore, e il mondo dell’arte non mi perdonò di aver voluto esplorare la sua parte distruttiva, un aspetto non trascurabile della vita di Picasso. E quella, in fin dei conti, era una biografia. L’esperienza con Picasso suscitò in me due paure: quella della disapprovazione da parte di persone che apprezzavo e rispettavo, e la paura di ritrovarmi invischiata in una polemica pubblica.
Ma la paura più straziante - davanti alla possibilità di una perdita immensa, e all’impossibilità di fare alcunché per impedirla - la conobbi quando la più piccola delle mie due figlie, Isabella, non aveva ancora un anno. Una sera, in modo del tutto inaspettato, Isabella ebbe una grave crisi provocata dalla febbre. Ero sola con lei. Vedendo la mia bambina diventare livida, rendendomi conto che non riusciva più a respirare, rimasi agghiacciata.
Mia madre, che ha vissuto al mio fianco buona parte della mia vita - il matrimonio, i figli e poi il divorzio - è morta nel 2000. La sua morte mi ha costretto ad affrontare la mia paura più profonda: quella di continuare a vivere senza la persona che della mia vita era stata le fondamenta. L’ho persa, e ho dovuto andare avanti senza di lei. Ma il modo in cui lei ha vissuto la sua vita e affrontato la morte mi hanno insegnato moltissimo su ciò che significa vincere la paura.
(Traduzione di Matteo Colombo)