Christian Benna, IL 8/3/2013, 8 marzo 2013
SE FAI IL BRAVO TI PORTANO IL CARBONE
Sono ferme almeno da vent’anni le miniere di Walbrzych. Eppure, da queste parti, nella Bassa Slesia, in Polonia, si continua a scavare. Nei giorni più freddi dell’anno, un centinaio di persone si armano di elmetto, pala e piccozza e arraffano quel che possono. Come raccontano le fotografie pubblicate in queste pagine, caricano la lignite in carriole arrugginite e la rivendono per quattro soldi sul mercato nero del riscaldamento "fai-da-te". Si lavora in squadre da non più di quattro persone. I minatori si infilano in mini-tunnel improvvisati, al massimo tre, quattro metri in profondità, e grattano quel che rimane di combustibile fossile dopo un secolo di sfruttamento industriale. Dopo il crollo del comunismo, le miniere sono state chiuse perché non più competitive, lasciando senza lavoro 15mila persone. All’inizio la torma disperata di minatori illegali superava il migliaio di unità, oggi ne rimangono circa un centinaio. Ma il numero è tornato a salire. Perché i biedaszyby, i pozzi dei poveri, non sono solo una testimonianza di povertà. Ma rappresentano la punta dell’iceberg della nuova (e a basso costo) fame energetica mondiale. Il brutto, sporco e inquinante carbone è tornato alla ribalta: fornisce oltre il 30 per cento dell’energia primaria globale e il 42% dell’energia elettrica del pianeta. Fino a qualche anno fa i consumi e le emissioni di anidride carbonica erano imputati alla crescita cinese. Oggi, come raccontano i biedaszyby, a spingere il contatore c’è anche la "verde" Europa. Il piano della cancelliera Angela Merkel, che prevede di arrivare a quota 80% di energia da fonti rinnovabili entro il 2050, è ambizioso. Aspettando di realizzarlo, dopo lo stop al nucleare, la Germania deve però puntare comunque sul carbon fossile, che oggi le fornisce il 41% dell’elettricità. La crisi ha tagliato le gambe ai sussidi per i pannelli solari, finiti in mezzo a una guerra di dazi doganali Cina-Usa. E il prezzo del petrolio resta alto. A salvare i conti e a traghettare il mondo verso la cosiddetta terza rivoluzione industriale – quella digitale –, allora, ci pensa ancora una volta il carbone, convitato scomodo al club dell’energia, ma economico e affidabile. Ne è una prova la scommessa energetica degli Stati Uniti, improntata sullo sfruttamento di risorse proprie come lo shale gas, che oggi permette di esportare il carbone del Wyoming ai cugini "bisognosi" del Vecchio continente. Nei primi nove mesi del 2011 l’export verso l’Europa di combustibile fossile è cresciuto del 26%. Verso il Regno Unito la quota è aumentata del 73%. In Inghilterra una casa su due è riscaldata a carbone, quasi come ai tempi della prima rivoluzione industriale. Nel 2010 la domanda è cresciuta del 6%, l’anno scorso del 5,4%. Secondo il World Resources Institute siamo solo agli inizi. In costruzione ci sono 1.200 impianti in circa sessanta Paesi. Stando alle stime dell’Agenzia internazionale per l’energia, entro il 2017, a questi tassi di crescita, il carbone supererà il petrolio come fonte energetica globale «Sono almeno vent’anni che si parla di morte imminente del carbone – spiega Andrea Clavarino, presidente di Assocarboni –, eppure siamo ancora qui a commentare la crescita dei consumi». Altamente inquinante (contribuisce per il 44% alle emissioni globali) e pericoloso per i lavoratori, ma dotato di riserve per almeno un secolo e mezzo, il carbone è soprattutto molto economico. «In questi anni la tecnologia ha fatto passi da gigante – continua Clavarino –. Le centrali a carbone pulito, come quella Enel di Brindisi, hanno ridotto l’impatto ambientale del combustibile. Per questo anche in Europa crescono i consumi, solo il nostro Paese rimane indietro, in condizione di totale dipendenza dalle importazioni di gas da Russia e Algeria». Nelle miniere del Sulcis c’è il progetto governativo di realizzare una centrale a carbone pulito con emissioni zero, ma l’iniziativa è ostacolata da comitati locali e ambientalisti. «Un vero peccato, perché sarebbe una soluzione per salvare l’ultima miniera italiana. La produzione, senza sovvenzioni, non è più sostenibile in Europa». Anche la Cina sta riorganizzando la produzione, con il governo intenzionato a chiudere 5mila piccole miniere. Perché il carbone è uno sporco mestiere. Nell’ex Impero celeste muoiono più di duemila minatori ogni anno, tra fughe di gas e crolli improvvisi. Da Marcinelle (Belgio) a Kemerovo (Russia), la storia del combustibile è costellata di stragi. Pericoli anche per chi respira le sue polveri: secondo l’Accademia cinese delle Scienze l’inquinamento che soffoca Pechino è causato per il 20% dalla combustione di carbone. Le polemiche infiammano anche l’Italia. Uno studio dall’istituto Somo per Greenpeace ha attaccato duro Enel e le sue centrali, sostenendo che «le morti premature associabili alla produzione di energia da fonti fossili di Enel per l’anno 2009 in Italia sono 460». Secondo gli esperti, questa crescita sarebbe comunque il canto del cigno del carbone. Un’ultima apparizione prima dell’addio, sostituito da pale eoliche, pannelli solari e centrali nucleari. In attesa che la previsione si avveri, tra i pozzi di Walbrzych si continua a scavare.