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 2013  marzo 22 Venerdì calendario

LASCIATE CHE IL DENARO VENGA QUI

L’alleato di Warren Buffett nella recentissima acquisizione di Heinz, il re americano del tomato ketchup? Il brasiliano Paulo Lemann. Chi ha lanciato il gigante brasiliano e mondiale della birra, Ab InBev, sull’ultima preda, la messicana Corona? Il suo ceo Carlos Brito. E chi ha acchiappato la miglior fornitura di jet su piazza, quella ad American Airlines? La brasiliana Embraer, terzo produttore mondiale di aerei commerciali, guidata da Frederico Curado. Tre esempi di come si sta ridisegnando la mappa del potere economico- finanziario globale con la nascita di nuovi ambiziosi protagonisti. Ma anche di come il Brasile mostra i muscoli fuori del settore delle materie prime, da sempre radice delle spropositate fortune dei suoi tycoon, dove però il Paese non controlla fino in fondo la catena del valore, visto che il trading, dal ferro alla soia, si fa in dollari e sulla piazza di Chicago. È invece su un terreno inedito, quello del mercato dei capitali, che il Brasile si sta lanciando a tutta velocità. Se New York e Londra sono modelli inarrivabili, diventare un hub che domina a livello regionale, come Hong Kong e Singapore, è a portata di mano: non si vede perché la città di San Paolo, la decima più ricca del mondo e dove si concentra il 70 per cento del Pil del Paese, non possa svolgere quel ruolo all’interno del continente sudamericano, così ragiona l’establishment della finanza che vi ha sede, dalle banche alla Borsa.
La parola d’ordine dunque è: attirare il denaro in Brasile - e questo già in parte avviene: 66 miliardi di dollari il flusso a ottobre 2012 - ma cercare anche di trattenerlo. E questo è più difficile. Se ne sta rendendo conto il governo, che nonostante abbia messo in moto il più poderoso programma di nuove concessioni mai avviato - dalle strade alle ferrovie agli aeroporti - per 133 miliardi di reais (65 miliardi in dollari), ha difficoltà a farlo marciare a pieni giri per mancanza del 50 per cento a carico dei privati. A deludere gli animal spirits, il fatto che la spesa pubblica sui grandi progetti in passato era stata di manica larga, ora il vento è cambiato. Oggi il governo concentra le risorse nel sostenere piuttosto la classe media appena sbocciata, quella che va da 700 a 3.600 dollari di reddito annuo e rappresenta il 50 per cento della popolazione: aumenta il livello dello stipendio minimo, sovvenziona la benzina, sostiene il credito per l’acquisto di casa, e poi finanzia i programmi di integrazione al reddito di chi ha meno di 1,75 dollari al giorno. Così fa felici i produttori di merci di largo consumo, dall’auto alle telecom ai frigoriferi. Ma per dare il carburante alla crescita del prodotto interno lordo serve altro. Servono, appunto, gli investimenti. Che non possono che arrivare dall’estero. Sul fronte degli investimenti industriali, non è tutto oro quello che luccica. «Gli ostacoli burocratici sono forti: per creare qui una nuova società servono mesi, tanto che conviene piuttosto acquistarne una che esiste già, e le banche fanno sudare sette camicie per concedere il credito», dice Fabio Buccioli, avvocato italiano emigrato a San Paolo e titolare di uno studio che offre assistenza a chi vuole entrare in Brasile per affari.
Quello degli investimenti finanziari, invece, è un terreno vergine, perché dei 66 miliardi che arrivano all’anno solo il 30 per cento va in impieghi di portafoglio. «Finora il denaro veniva in fretta e altrettanto in fretta se ne andava», sintetizza con una battuta il governatore della banca centrale Alexandre Tombini, alludendo al carry trade, la speculazione mordi e fuggi sulle differenze dei tassi di interesse. «Oggi abbiamo disintossicato il Paese dagli alti tassi», aggiunge Guido Mantega, ministro delle Finanze, «e il rendimento finanziario qui in Brasile va trovato su altri fronti: per esempio, la Borsa». La Borsa, Bovespa, nel 2012 ha registrato un nuovo record di giro d’affari, con i blockbuster Vale, impresa mineraria, e Petrobras, petrolio.
Ma di questi tempi chi ha denaro da investire chiede il massimo di garanzie. Così, istituzioni e mondo del business stanno concentrando gli sforzi sulla costruzione di un’industria del denaro. Non tanto per il mercato interno, ancora troppo acerbo per applicarsi ai listini di Borsa, quanto piuttosto per intercettare flussi che dagli Usa, ma soprattutto dall’Europa, sono in cerca di un porto sicuro dopo le batoste prese.
Negli ultimi anni il mercato dei capitali in Brasile si è dato regole e istituzioni tutte nuove di zecca. Ci sono nuovi standard di corporate government nelle aziende, a protezione delle minoranze, nuove regole per le Ipo, l’ingresso in Borsa delle società (sempre a tutela dei piccoli), una nuova legge antitrust (prima si sottomette il deal al via libera, poi si firma, al contrario di prima). La banca centrale registra tutte le informazioni sulle operazioni creditizie superiori ai mille reais (cioè 500 dollari), il che vuol dire visibilità sul 96 per cento del mercato del credito, e ha imposto alle banche dei requisiti di capitale superiori a quelli richiesti da Basilea.
Il cuore del potere finanziario si chiama Anbima ed è l’associazione che unisce le banche e i broker, la quale non ha solo un ruolo di lobby di questi soggetti nei confronti del governo, ma anche il delicato ruolo di “supportare” il tasso - il Selic - deciso periodicamente dalla banca centrale. L’altro pilastro è la Cvm, la Consob locale, o meglio la Sec, visto che il modello scelto per la commissione di controllo della Borsa è quello americano. «Impariamo degli errori degli altri, e dobbiamo essere più trasparenti e sicuri degli altri mercati», dice il direttore Ana Novaes. In effetti, a differenza di quanto avviene in Europa ma anche negli Usa, in Brasile non c’è operazione di cui non si conosca il cliente finale. Anche quello dei prodotti derivati e degli Otc, gli strumenti finanziari più rischiosi, nonché evanescenti, del sistema finanziario mondiale. Cetip, che è una delle quattro clearing house del Paese (in corso di integrazione), registra il 100 per cento dei derivati, calcolandone durata e potenziale esposizione (e trasferendo l’informazione alla Banca centrale); stessa cosa per gli Otc, di cui è obbligatorio dichiarare il beneficiario. Un sistema troppo intrusivo e costoso? «È certo un unicum: noi diciamo che è come la jabuticaba, il frutto che esiste solo in Brasile. Se lo avessero avuto negli Usa, avrebbe aiutato a sapere cosa stava succedendo », assicura il direttore di Cetip Carlos Ratto. «Tutto bene, ma ora è venuto il momento di abbassare le tasse», afferma André Esteves, ceo di Btg Pactual, considerata la “Goldman Sachs brasiliana”: «La pressione fiscale è pari al 36 per cento del Pil, come in Norvegia, mentre in Russia e Messico sta al 21/22 per cento». Per il momento, è stata tagliata la tassa sulle transazioni finanziarie (tranne che sui derivati) e i dividendi sono tax free. Bovespa, poi, sta per lanciare un nuovo prodotto: si chiamerà Brasil easy investing. Permetterà di comprare titoli direttamente dall’estero, denominati in euro. Il guanto di sfida ai listini polverosi e snervati dell’Occidente è lanciato.