Emiliano Fittipaldi, L’Espresso 22/3/2013, 22 marzo 2013
MAZZETTA EXPORT
Silvio Berlusconi su Finmeccanica ha ragione da vendere: le mazzette all’estero le pagano tutti». Il vecchio 007, una vita spesa in missioni tra Asia e Africa, lo dice dopo aver trangugiato una manciata di olive nere e due Crodini. Seduto al bar Doney, crocevia di lobbisti, politici e affaristi a due passi dall’ambasciata americana a Roma, sta sfogliando i giornali che raccontano le ultimissime sugli scandali del colosso degli armamenti, dell’Eni e della Saipem, tre delle aziende pubbliche più importanti del Paese. «Chi è stato più volte premier e ha rilevanti ruoli istituzionali non può fare dichiarazioni di questo tipo, ma sulle tangenti il Cavaliere dice la pura verità. Le pagano italiani, francesi, inglesi, americani, perfino i finlandesi: per vincere gli appalti pubblici nel terzo mondo e nei Paesi in via di sviluppo bisogna ungere. Militari, ministri e politici locali. Sennò sei tagliato fuori».
Altre due olive. La spia sorride. «Sa qual è la differenza tra noi e gli altri? Per trattare i business all’estero le nostre imprese si affidano a faccendieri come Valter Lavitola, alla modella Debbie Castaneda, all’ex naziskin Lorenzo Cola, gli altri fanno intervenire i servizi segreti e la diplomazia. Noi abbiamo manager e politici affamati che vogliono spartirsi la torta, altrove si pensa esclusivamente all’interesse nazionale. E se i nostri investigatori hanno l’obbligatorietà dell’azione penale, altrove i giudici possono chiudere un occhio e decidere caso per caso». Forse il generale esagera, ma di certo il risultato finale del combinato disposto è catastrofico. Le inchieste aperte dalla magistratura italiana per corruzione internazionale sono ormai una decina, e l’Italia rischia nell’immediato futuro di perdere commesse miliardarie, posizioni di mercato e - fatto non secondario - migliaia di posti di lavoro. «La responsabilità è di tutti: se l’etica d’impresa è scarsa, Aisi e Aise, i nostri servizi segreti, sono allo sbando. Per non parlare dei politici, incapaci di muoversi con il coraggio necessario: Oltralpe, quando scattano inchieste su settori sensibili come armi ed energia, spesso vengono bloccate subito apponendo il segreto di Stato».
PROFESSIONE MEDIATORE. Leggendo le carte delle inchieste aperte a Busto Arsizio, Roma, Napoli e Milano, il "sistema all’italiana" sembra basarsi su tre assiomi: una tangente, una cresta sulla tangente (che almeno in parte sembra "rientrare" in Italia per foraggiare partiti e politici) e la presenza fissa di intermediari. Nei fascicoli e nelle intercettazioni ne spuntano a bizzeffe. I pm li hanno scovati ovunque. In Nigeria la Saipem, ex Snamprogetti - consorziata con la francese Technip e l’americana Kbr - li avrebbe usati per ottenere l’appalto per la costruzione di sei impianti per l’estrazione e il trasporto di gas. La tangente ammonterebbe a 182 milioni di dollari, versati a faccendieri, presidenti, ministri e funzionari di ogni livello; mentre l’Eni in Kazakhstan avrebbe girato 23 milioni a politici e intermediari per sfruttare un giacimento a Kashagan. In Iraq e Kuwait, invece, un gruppo affaristico composto da «dirigenti infedeli» del gruppo del cane a sei zampe, scrivono i giudici milanesi in un’inchiesta dove l’azienda si considera parte lesa, avrebbero costituito società gemelle per spartirsi tangenti intascate da imprese italiane che pagavano per vincere appalti pilotati.
DA LAVITOLA A MISS COLOMBIA. Procacciatori e faccendieri dai profili più disparati spesso propongono, gestiscono e chiudono da soli i contratti. In Finmeccanica sono un must: per vendere elicotteri e attrezzature per la sorveglianza costiera a Panama l’azienda chiese aiuto all’ex direttore dell’"Avanti!" Lavitola (intimo di Berlusconi, dei vertici dei servizi italiani e del presidente panamense Ricardo Martinelli, che avrebbe dovuto intascare una mazzetta da 18 milioni) e alla sua presunta amante e prestanome Karen De Gracia Castro, mentre in Indonesia i magistrati stanno valutando il ruolo del senatore del Pdl Esteban Caselli, nato in Argentina ed eletto nella circoscrizione Estero: anche lui, sospettano i giudici, avrebbe chiesto una commissione personale per la mediazione di una trattativa per vendere aerei ed elicotteri. In cambio di una ricca percentuale i novelli mr Wolf risolvono problemi, individuano le scorciatoie e facilitano il business: se Lorenzo Cola, oggi ai domiciliari per altre vicende, fu mandato dall’ex ad Pier Francesco Guarguaglini a Washington per gestire l’acquisizione della Drs Technologies (un affare da ben 5 miliardi), per allacciare rapporti con la Colombia Finmeccanica mise sotto contratto Debbie Castaneda, miss Colombia ’96 e amica del presidente Uribe. Orsi, ex ad di Finmeccanica e Agusta Westland, finito due mesi fa ai domiciliari, ha invece mandato in India gli italo-svizzeri Guido Haschke e Carlo Gerosa. Missione: piazzare 12 elicotteri alle autorità dell’India. I due, ricompensati con 20 milioni, secondo l’accusa corrompono i pubblici ufficiali, fanno modificare il bando e condizionano l’esito finale della gara. Finmeccanica vince l’appalto, ora sub judice dopo lo scoppio dello scandalo.
FRANCESI ALL’ASSALTO. L’Italia si presenta ancora con le valigette piene di soldi come vent’anni fa, ma altri Paesi usano metodi più sofisticati. Se - con l’eccezione degli Usa - fino a pochi anni fa le mazzette all’estero erano di fatto legalizzate (in Germania le imprese erano addirittura autorizzate a detrarle dalle tasse) da due lustri il modus operandi degli europei è completamente cambiato. Nel 1997 l’Ocse ha infatti chiesto a tutti i suoi membri di ratificare la convenzione contro le bustarelle ai funzionari pubblici stranieri e ovunque è stato introdotto il reato di corruzione internazionale. Da allora i vecchi metodi, come i fondi neri travestiti da sponsorizzazioni (che per le imprese comportavano al massimo l’accusa di falso in bilancio) e le consulenze milionarie ai ministri africani e asiatici, sono andati in soffitta. La tangente non è scomparsa, ma è stata meglio camuffata e sostituita da altre forme di "do ut des".
«Prendiamo i francesi» spiega sconsolata la fonte dell’Aise con il terzo Crodino in mano, «a New Delhi hanno lavorato compatti e hanno fatto il colpaccio, riuscendo a piazzare 126 aerei da guerra per un valore di circa 12 miliardi di euro. Eppure, alla vigilia non erano i favoriti». La storia della mega commessa vinta nel 2012 dalla Dassault Aviation è indicativa. Per vendere i "Rafale", caccia meno quotati dei "Typhoon" del consorzio Eurofighter (a cui partecipa anche Finmeccanica), infatti, l’azienda francese si è mossa insieme al ministero della Difesa e al premier in persona. «All’Aise non sappiamo se siano state pagate tangenti, ovviamente Parigi nega. Di sicuro, però, prima Sarkozy e poi Hollande hanno promesso in cambio dell’appalto la fornitura di reattori nucleari a basso costo, informazioni sensibili sui rivali storici dell’India come Pakistan e Cina e un seggio permanente al consiglio di sicurezza dell’Onu».
MODELLO CIA. Se i francesi sfruttano al meglio la diplomazia e promettono la costruzione di scuole e ospedali, se Tony Blair nel 2002 per vendere aerei Hawk della Bae promise all’India di aiutarla in Kashmir, regione contesa da decenni con il Pakistan, i norvegesi (che hanno una delle più importanti aziende petrolifere del mondo, la Statoil) hanno tagliato la testa al toro, istituendo un registro pubblico dei negoziatori: un modo, di fatto, per regolarizzare i loro compensi. Al ministero della Difesa, però, restano convinti che il modello statunitense rimane il più efficace: nei Paesi del Terzo mondo o in quelli "occupati" come Iraq e Afghanistan sarebbe direttamente la Cia a convocare le multinazionali Usa e a smistarle alle varie gare per costruire ponti, strade o reti idriche. «In Usa, come in Inghilterra e in Francia, l’intervento dei servizi è codificato da una legge coperta da segreto di Stato che prevede la protezione delle aziende di interesse strategico, tipo la texana Halliburton o l’Edf» chiosa una fonte della Difesa che chiede l’anonimato. «I loro 007 "accompagnano" le imprese all’estero, indicano le persone di cui fidarsi ai tavoli, coordinano la strategia da adottare con il governo centrale. Se c’è bisogno, sono loro a pagare tangenti attraverso fondi neri o a fornire le loro aziende di cellulari criptati». La "tutela commerciale" è una religione, sia per i business all’estero sia per bloccare in patria eventuali scalate ostili di gruppi stranieri.
SERVIZI KO. In Italia non esistono norme che permettano all’intelligence di intervenire. Hanno le mani legate, mentre i fondi neri, circa 2-300 milioni di euro l’anno, vengono spesi soprattutto per pagare i riscatti dei connazionali rapiti all’estero. Le imprese, però, fanno tutto da sole anche per un altro motivo: non si fidano più delle capacità dei nostri agenti sul territorio. Se il lobbista dell’Eni Leonardo Bellodi viene spesso "accompagnato" in Libia dal numero due dell’Aise Alberto Manenti (che è nato a Tripoli e conosce bene l’arabo), altri manager preferiscono rivolgersi direttamente ad intermediari e faccendieri. Come mai? La spia, mentre snocciola l’ultima oliva, ride sconsolato. «Sotto la gestione di Gianni Letta e di Gianni De Gennaro (attuale sottosegretario con la delega ai servizi ed ex capo del Dis, ndr) all’Aisi e all’Aise sono stati chiamati troppi raccomandati, figli di generali, parenti e amici di politici, di tutti gli schieramenti. Alcuni hanno fatto una carriera eccezionale». Qualche mese fa è stato nominato "capocentro" di un Paese cruciale come la Cina un ex capitano dell’esercito con pochissima esperienza che ha lavorato come segretario di Letta a Palazzo Ghigi, mentre per la sede di Milano «oggi in pole position c’è un tenente-colonnello dei carabinieri che per anni s’è occupato dei rapporti con i produttori di fiction come Don Matteo». Pirelli, Impregilo, Terna e Telecom preferirebbero, invece, qualcuno esperto in contro-ingerenza. «I russi e i cinesi ci rubano brevetti ogni giorno, per difendere le aziende italiane va messa gente specializzata», si congeda il generale ormai vicino alla pensione.
TANGENTI DI RIENTRO. Anche i più accorti, ogni tanto, vengono presi con la mano nella marmellata. Nel 2010 la Bae, il colosso inglese della difesa, ha patteggiato una multa con il Dipartimento della giustizia americano e quello britannico, il Serious Fraud Office: imputata di corruzione in Arabia Saudita, Tanzania, Ungheria, Repubblica Ceca e Sud Africa, è uscita da ogni indagine pagando 447 milioni di euro, senza ammettere alcun reato corruttivo. Se i finlandesi di Patria sono ancora indagati a Helsinki per tangenti a politici in Slovenia ed Egitto, ai francesi di Thales, altra azienda militare, è andata ancora meglio: accusati di corruzione a Roma e Milano, le inchieste sono state archiviate o prescritte. Il bar è ormai è vuoto, lo 007 sospira. «Da noi le inchieste sono molte di più, perché i politici e i manager non solo corrompono i funzionari all’estero, ma fanno la cresta alla mazzetta». Sia nel caso Agusta (dove gli investigatori ipotizzano che Orsi abbia girato parte della somma investita per le bustarelle alla Lega Nord) sia in un’altra inchiesta su investimenti di Saipem in Algeria (in cui è indagato anche l’ad Paolo Scaroni, accusato di aver incontrato il faccendiere che avrebbe facilitato appalti sul gas dal valore di 11 miliardi) c’è il sospetto che i soldi tornino in Italia. «Ci muoviamo come lupi affamati. La crisi ha peggiorato ancor di più il livello etico. Ma la pagheremo cara. Non solo dal punto di vista giudiziario. Se le nostre aziende finiranno nelle black list, non venderemo più un bullone».