Tamara Ferrari, Vanity Fair 20/3/2013, 20 marzo 2013
HO FERMATO IL DESTINO CON UNA ZAPPA
«Non importa quel che pensa la gente, se hai un sogno devi fare di tutto per realizzarlo. E se ti dicono che sei pazzo fai come me: vai dritto per la tua strada. Io ce l’ho fatta, puoi riuscirci anche tu».
Parla quasi come un guru.
«Sono un contadino».
I contadini creano foreste nel deserto?
«Ho piantato solo qualche albero».
Qui ce ne sono migliaia.
«Oltre diecimila. Ci ho messo 38 anni».
Ma non c’è acqua. Come ha fatto?
«Gliel’ho detto: i sogni si realizzano».
Yacouba Savadogo, 67 anni, sa appena leggere e scrivere, ma parla con l’aria del saggio. Lavora la terra da quarant’anni, ma le sue mani non hanno calli. La sua storia è incredibilmente simile a quella raccontata nel 1953 da Jean Giono nel libro L’uomo che piantava gli alberi. Il protagonista, Elzéard Bouffier, dedica 40 anni a rinverdire l’arida vallata ai piedi delle Alpi in cui vive. Yacouba lo ha fatto nel suo villaggio, Gourga, nel Nord del Burkina Faso. La storia di Elzéard è inventata, quella di Yacouba vera.
A metà degli anni ’70, iniziò a piantare alberi nel deserto del Sahel, e in men che non si dica fece nascere una foresta. Nel 1982 arrivò nel suo villaggio il dottor Chris Reij del Centre for International Cooperation dell’Università di Amsterdam. Il professore, esperto in gestione del suolo e risorse naturali, rimase così colpito che nei mesi successivi fece arrivare esperti da tutto il mondo per studiare la tecnica usata da Yacouba. Lo invitarono a parlarne negli Stati Uniti, in Corea, in Svizzera, anche in Italia. Nel 2010 gli fu dedicato un film, The Man Who Stopped the Desert.
Abbiamo cercato Yacouba per raccontare la sua storia in vista della Giornata mondiale dell’acqua, il 22 marzo. Lo abbiamo visto sfrecciare nel deserto in abiti islamici, antichi, su una fiammante Yamaha. Si è fermato e, seduto sotto un grande albero di Balanites aegyptiaca, ha iniziato a raccontare.
«Sono nato in questo villaggio, Gourga. Questa terra era di mio padre. Quando avevo 7 anni i miei genitori mi mandarono a studiare la legge coranica in Mali. Speravano diventassi un imam, o un professore. Alla scuola coranica ci facevano lavorare nei campi tutto il giorno. Quando tornai a casa, i miei furono felici di rivedermi, un po’ meno nello scoprire che del Corano sapevo poco. Aprii un negozietto di chincaglierie nel mercato. Guadagnavo bene, comprai la mia prima moto, ma non ero felice».
«Un giorno mollai tutto. “Vado a fare il contadino”, dissi ai colleghi. Mi risposero: “Tu sei pazzo”. Non era un bel periodo. A metà degli anni ’70 tutta l’area del Sahel fu colpita da una grave siccità. Il deserto inghiottì ettari di terre un tempo coltivate. Migliaia di persone morivano di fame, gli altri scappavano. Pensai: se vado via anch’io, non resterà più nulla. Mi tornò in mente una tecnica di coltivazione ancestrale, che avevo appreso in Mali». Yacouba riscoprì lo Zaï, che consiste nel preparare la terra durante la stagione secca, scavando buche in grado di trattenere l’acqua piovana. Ebbe un’intuizione: allargò le fosse e le ricoprì con un composto di foglie e letame. «Il letame attira le termiti. Anziché combatterle, le incoraggiai. Pensavo che i loro cuniculi avrebbero trattenuto l’acqua nella stagione delle piogge, e io non avrei avuto bisogno di irrigare. Così fu. Dopo, ho scoperto che le termiti, digerendo il letame, hanno anche rimineralizzato il suolo».
Yacouba ebbe anche un’altra intuizione. Nella stessa fossa, con i semi di miglio, sorgo e sesamo, mise quelli di alberi. «Cresce tutto insieme. Il miglio si raccoglie e si mangia, gli alberi diventano alti, e fanno ombra. Le loro foglie servono da concime. Quando ho iniziato, qui c’era solo questa Balanites aegyptiaca, oggi c’è una foresta di 27 ettari».
Non sono sempre state rose e fiori. «I primi tempi alcuni uomini appiccarono un incendio, cinque ettari andarono in fumo. Pensai che erano invidiosi, mi impegnai ancora di più».
Mentre il bosco cresceva, Yacouba cominciò a viaggiare per insegnare agli altri quel che aveva scoperto. «La voce si sparse e vennero uomini dal Mali e da ogni parte del Burkina. In Niger oggi ci sono tanti boschi nati grazie allo Zaï. Vorrei aprire una scuola di formazione, ma al momento ho una nuova battaglia da combattere». La fama di Yacouba ha attirato l’attenzione non solo degli ambientalisti, ma anche di politici senza scrupoli. «Il Comune mi ha espropriato ettari di foresta, hanno falciato centinaia di alberi per costruire villette. Io cercavo di fermarli: “Se ricominciate a tagliare, il deserto riprenderà possesso di queste terre”. Ma è inutile. Ho ingaggiato una battaglia legale; nel frattempo, dove loro tagliano io ritorno a piantare».
Il fruscio del vento è interrotto dal canto degli uccelli. Ci sono arnie piene di miele, e caprette. «Man mano che la foresta cresceva, si è popolata di uccelli e piccoli animaletti. Dove prima era tutto morto, è tornata la vita. Persino l’harmattan, che un tempo soffiava così forte da strappar via le capanne, ora è diventato una brezza, perché gli alberi fanno da schermo».
Yacouba conosce tutti i suoi alberi, li accarezza, ci parla. «Questa foresta è la mia vita. Mesi fa è arrivato un uomo. Mi ha portato un albero officinale, l’ultimo rimasto nel Niger. Qui si è moltiplicato, gliel’ho restituito con gli interessi. Ho iniziato ad andare in giro per il Burkina a raccogliere semi delle piante usate per curare ogni malanno. Si è diffusa la voce, me ne sono arrivati da tutta l’Africa. Così salvo le specie e preservo la tradizione. I miei 17 figli e 40 nipoti lottano con me contro i costruttori di villette».
Ha sentito parlare di Elzéard Bouffier?
«Chi è?».
L’uomo che piantava gli alberi.
«Anche nei deserti sabbiosi? Perché lì la mia tecnica non funziona».
È un romanzo. Ma c’è una frase che sembra scritta per lei: «Perché la personalità di un uomo riveli qualità veramente eccezionali, bisogna avere la fortuna di poter osservare la sua azione nel corso di lunghi anni. Se tale azione è priva di ogni egoismo, se l’idea che la dirige è di una generosità senza pari, se con assoluta certezza non ha mai ricercato alcuna ricompensa e per di più ha lasciato sul mondo tracce visibili, ci troviamo allora, senza rischio d’errore, di fronte a una personalità indimenticabile».
«Lo pensa sul serio?».