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 2013  marzo 20 Mercoledì calendario

IL TOPOLINO MODIFICATO CHE SVELA LA NOSTRA EVOLUZIONE

Un topolino modificato, un’indagine nel Dna dei cinesi e una lunga serie di calcoli macinati dai supercomputer. E’ questa la strada per capire da dove veniamo e come ci siamo trasformati nei millenni?

Sì, secondo Pardis Sabeti, genetista di origini iraniane, trapiantata al «Broad Institute» di Harvard. E’ tra gli studiosi convinti che il nostro passato sia multiplo: se finora si è scavato sotto le sabbie a caccia di fossili e reperti, adesso è ora di accelerare gli scavi nel nostro io più intimo, il Dna. «C’è un vero e proprio tesoro archeologico nascosto nel Genoma», spiega: è quello che, prima o poi, ci permetterà di capire i tratti decisivi che ci hanno consentito di sopravvivere a tutto - dagli attacchi dei virus ai disastri climatici - e di affermarci come la specie dominante.

L’ultima avventura di Sabeti si sintetizza così: alla ricerca di alcuni di questi «tratti» del nostro essere, il suo team ha identificato la mutazione in un gene che ha trasformato gli asiatici in un’etnia specifica. I capelli spessi e dritti, le ghiandole sudoripare più sviluppate, i seni più piccoli e i denti più grandi - tutte caratteristiche, appunto, che identificano i cinesi o i giapponesi come una «tribù» diversa da quella degli europei - sono il prodotto di una specifica metamorfosi genetica. E adesso sappiamo anche quando è avvenuta: intorno a 35 mila anni fa.

Il gene protagonista è noto tra gli specialisti come «Edar» ed è un’antica eredità della grande famiglia dei mammiferi e, infatti, modella da tempi immemorabili peli e denti di molte specie, ben oltre la nostra. Il team harvardiano ha quindi voluto testarne le caratteristiche in laboratorio ed è qui che entra in gioco il topolino manipolato: ingegnerizzando la stessa modificazione di «Edar» - chiamata «Edar370A» e individuata nelle popolazioni del Sud-Est asiatico - si è rapidamente ottenuta una nuova discendenza. Differente. Non solo con una peluria decisamente più folta dei genitori, ma - ed ecco l’ulteriore sorpresa - anche con ghiandole sudoripare «extra» e perfino con ghiandole mammarie «small». Proprio come si è verificato negli esseri umani.

Esperimento straordinario e perfettamente riuscito (spiegato nei suoi particolari sulla rivista «Cell»). E’ come se Pardis Sabeti avesse simulato negli organismi dei suoi animali le leggi profonde dell’evoluzione, confermandole nei tempi brevissimi scatenati dalla tecnologia. I dubbi, semmai, riguardano il perché. Se il meccanismo è la selezione naturale, che cosa ha indotto questo salto? Ancora non c’è una risposta definitiva e, anzi, la scoperta ha suscitato un vivace dibattito tra gli studiosi: secondo il gruppo di Sabeti, però, l’ipotesi probabile è racchiusa nel clima di 35 mila anni fa. Così caldo e umido da indurre una diversa (e sicuramente migliore) termoregolazione.

Tuttavia - com’è regola d’oro nella scienza - qualunque ipotesi è sempre da testare e quindi le ricerche continuano, sulle tracce di quel fantasma che gli studiosi riassumono nella fortunata formula «vantaggi evolutivi». E di vantaggi ce ne sono tanti da scoprire, visto che con «Edar» Pardis Sabeti ha realizzato quella che considera una sorta di prova generale. L’esplorazione, appena cominciata, prevede di immergersi in 412 regioni del Dna, già individuate dal «1000 Genome Project» come punti di snodo dell’evoluzione umana. Lì si celano le testimonianze delle nostre innumerevoli e relativamente recenti metamorfosi, per esempio il colore della pelle o la tolleranza al lattosio, fino all’adattamento alle alte quote.

Significa srotolare il film delle origini e dei successi dei Sapiens (e di alcuni significativi fallimenti) e, finalmente, tirare fuori evidenze e fatti. Una delle prossime avventure in cui si butterà la squadra di Harvard è l’enigma degli odori corporali e delle percezioni di europei, asiatici e africani. Al centro della scena, stavolta, c’è il gene «Abcc11» e - sostengono i collaboratori di Pardis Sabeti - si raccoglierà un’altra prova che siamo molto più diversi gli uni dagli altri di quanto finora avessimo pensato.