Roberto Giardina, ItaliaOggi 20/3/2013, 20 marzo 2013
VITA IN SALITA PER LE PITTRICI
Sempre difficile la vita di Artemisia Gentileschi e delle sue colleghe. Anche secoli dopo, le artiste vengono trascurate, sottovalutate, dimenticate, si indigna la pittrice Katharina Grosse, alla quale Der Spiegel concede ampio spazio. In passato, le donne firmavano i loro quadri solo con le iniziali del nome, per lasciare nel vago il sesso.
Altrimenti non sarebbero state accettate dai mercanti che avrebbero difficilmente venduto il quadro di una femmina. Le artiste venivano accettate come allieve negli studi dei maestri uomini, che si limitavano a coprirle di paterni elogi. Ma trascuravano di correggere i loro errori, e di impartire un vero insegnamento. Tanto, dicevano, per le ragazze l’arte era un capriccio che avrebbero abbandonato appena trovato un marito. Al massimo dipingevano languidi acquerelli.
Katharina è stata appena invitata per una personale dal museo De Pont, a Tilburg, in Olanda, e dovrebbe essere soddisfatta di esporre dopo celebrità come Anish Kapoor o Gerhard Richter, ma in patria non riceve la meritata attenzione. In Germania, e quasi ovunque, il mondo dell’arte è rimasto conservatore e maschilista. Nelle aste internazionali, solo un’unica donna si piazza tra i venti artisti più quotati, l’americana Cindy Sherman. E un artista famoso, come Georg Baselitz, lo trova giusto: «Le donne», sostiene, «non dipingono bene come gli uomini».
Si sono scandalizzate le femministe, ma i critici d’arte hanno fatto finta di niente. Anche loro sono quasi tutti maschi. L’arte è un grande affare, e la parità tra i sessi finisce dove si comincia a parlare di soldi: nel dopoguerra il 90% delle opere acquistate dai musei tedeschi è prodotto da uomini, dichiara Anne Marie Bonnet, professoressa di storia dell’arte a Bonn.
Alla Neue Nationalgalerie di Berlino, negli ultimi due anni, sono state organizzate 12 personali, e solo una è stata dedicata a una donna. Alla Pinakothek der Moderne a Monaco, in dieci anni sono state esposte le opere di 66 pittori e di 18 pittrici. È stata organizzata una mostra dal titolo promettente, «Frauen», donne, ma erano esposte le tele di tre uomini che avevano come tema il corpo femminile. All’accademia d’arte di Düsseldorf, su 27 professori solo cinque sono donne. Alla Biennale di Venezia, la Germania dal 1948 ha inviato le opere di 90 uomini e di appena 9 donne, un rapporto di dieci a uno.
«Tutti sono convinti che il mondo dell’arte sia anticonvenzionale, aperto alla modernità, senza vecchi pregiudizi, ma non è assolutamente vero», denuncia Frau Grosse. «Ha ragione», concorda Nicolaus Schafhausen, direttore della Wiener Kunsthalle, «immediatamente le opere di una pittrice vengono definite femminili, oppure femministe». Mai giudicate al di là del sesso.
Anche le donne sono in parte colpevoli. Alla Biennale di Venezia della prossima estate, la scelta per la Germania è stata affidata a Susanne Gaensheimer: ha indicato tre uomini e una sola donna. Le signore critiche hanno timore, inconscio o no, di favorire le pittrici, e di venir a loro volta giudicate male dai colleghi uomini. La realtà non è diversa in America, sostiene Josephine Meckseper, un’artista tedesca che vive da anni a New York: in Germania si ha meno paura di essere accusati di discriminazione sessista, negli Stati Uniti si sta più attenti a evitare di finire sotto accusa, ma nelle scelte delle gallerie e dei musei nulla cambia. La tavolozza rimane in mano ai signori uomini.