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 2013  marzo 21 Giovedì calendario

GIOVANNI BAZOLI PROVATE A ROTTAMARMI

L’elefante bianco sta ancora in piedi. Più solo, accerchiato, spiazzato dalla furia degli eventi, ma non domo. L’assemblea della Banca Intesa Sanpaolo, il prossimo 22 aprile, confermerà Giovanni Bazoli presidente, per altri tre anni, del consiglio di sorveglianza, l’organismo strategico che rappresenta i grandi soci. Le fondazioni azioniste si sono già espresse a suo favore, a cominciare dalle più importanti: la Sanpaolo guidata dall’ex sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, figura storica del Pd riformista, e la Cariplo presieduta fin dal 1997 da Giuseppe Guzzetti, già presidente democristiano della Regione Lombardia, il quale garantirà come sempre il proprio sostegno a Bazoli. «Simul stabunt, simul cadent», si tengono l’un l’altro in piedi.
Il via libera delle fondazioni alla nomina del grande vecchio è stato accolto subito dalle bordate di Diego Della Valle, che in un’intervista alla Repubblica ha chiesto un passo indietro: «Questo all’età di 80 anni (è nato il 18 dicembre 1932, ndr) sta tentando ancora, d’intesa con un gruppo di sodali a lui simili, di farsi rieleggere alla guida di una delle banche più importanti del nostro Paese» per «continuare a controllare un sistema di potere molto ramificato, autoreferenziale, di individui che non hanno fatto meno danni al Paese di quelli fatti dalla politica della quale, fra l’altro, sono stati spesso ispiratori e sostenitori». Già al culmine della tensione per il controllo del Corriere della sera Della Valle definì Bazoli un «arzillo vecchietto». Lo stesso epiteto aveva riservato a Cesare Geronzi, ancora al vertice delle Assicurazioni Generali. Adesso quest’ultimo è in esilio dorato (presiede la fondazione della compagnia triestina), dunque rimane «Nanni», come lo chiamano gli amici, a recitare la parte del banchiere di sistema, in un sistema economico che si sta sfaldando sotto i colpi della peggiore recessione della storia patria (parola di Alberto Giovannini, presidente dell’Istat) e del caos politico.
Le urne hanno bocciato l’ipotesi di un’Italia guidata ancora da Mario Monti, insieme a Pier Luigi Bersani, sulla quale Bazoli aveva scommesso. Il nipote Alfredo, eletto alla Camera con il Pd (tendenza Renzi), e il genero Gregorio Gitti, con Scelta civica, sembravano suggellare proprio quel progetto. In Lombardia è stato sconfitto Umberto Ambrosoli, il candidato per il quale aveva speso i suoi buoni uffici. Così, non resta che una ritirata strategica.
Bazoli è ancora un «angelo guerriero», come apparve a Giampaolo Pansa, all’inizio della sua folgorante ascesa, nell’ottobre del 1982? Era il tempo in cui Nino Andreatta, ministro del Tesoro, una delle menti strategiche della Dc, e Carlo Azeglio Ciampi, governatore della Banca d’Italia, gli avevano affidato le ceneri del Banco Ambrosiano, per far risorgere una banca del Nord che potesse riequilibrare il potere di Enrico Cuccia, e il Corriere della sera, travolto insieme ad Angelo Rizzoli dal diabolico triangolo con la loggia P2 di Licio Gelli e il Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. Angelo forse no, la definizione suonerebbe blasfema al cattolicissimo avvocato, rampollo della Brescia bianca e colta, amico di Giovanni Battista Montini, poi papa Paolo VI (il fratello Ludovico lavorava nello stesso studio legale), nipote di un fondatore del Partito popolare. Ma guerriero, questo sì. Lento, in apparenza imperturbabile, Bazoli non molla facilmente. «È il vero uomo di potere che c’è oggi in Italia» diceva Bruno Tabacci già nel 2007. «Su un versante l’assoluta onestà personale, sull’altro inconfessabili ambizioni dietro la cortina fumogena dell’umiltà, del disinteresse per le cariche»: così lo descrive Giancarlo Galli, grande conoscitore della finanza bianca, che ha partecipato a lungo al Gruppo cultura, etica e finanza creato dal cardinale Carlo Maria Martini e condotto dal suo braccio destro, Attilio Nicora, il prelato che voleva fare pulizia alla banca vaticana. Un club nel quale proprio Bazoli aveva fatto entrare Carlo De Benedetti, vincendo le resistenze di Angelo Caloia, l’uomo forte dell’Istituto opere di religione.
«Nanni» spiega un finanziere che lo conosce bene «ha deciso di darsi tre obiettivi resistere, resistere, resistere». Resistenza nella finanza, in politica e nello snodo tra i due universi, cioè al Corriere della sera. Sono i fronti che da trent’anni a questa parte non ha mai smesso di presidiare. La trincea bancaria sembra la più facile, ma solo in apparenza. Perché anche qui ha perduto buona parte dei sostegni che ne avevano protetto l’influenza e il potere. La Banca d’Italia gli era stata vicina con Carlo Azeglio Ciampi (poi diventato presidente della Repubblica), era fredda ma rispettosa con Antonio Fazio cattolico conservatore, distante con Mario Draghi, che ha contestato più volte la barocca governance ideata da Bazoli per proteggere il proprio ruolo. Anche il mondo delle fondazioni si è indebolito, lo scandalo Mps ha gettato un’ombra pesante, la crisi le ha smagrite, e si sono sfiancate per sostenere banche bisognose di capitale, schiacciate dai titoli pubblici.
L’Intesa Sanpaolo non è più la creatura di Bazoli. Corrado Passera, l’ex amministratore delegato, ne rispettava il primato intellettuale, anche se i rapporti si erano raffreddati. Il nuovo amministratore delegato, Enrico Cucchiani, proviene da un ambiente molto diverso. Arriva da Monaco di Baviera, è stato l’emissario del colosso assicurativo tedesco Allianz e sta riplasmando l’azienda. La prossima assemblea dovrà anche nominare il presidente del consiglio di gestione. In pole position è Gian Maria Gros-Pietro, economista vicino a Romano Prodi, ma non riuscirà a riequilibrare il piatto della bilancia. Nanni non può contare nemmeno su Romain Zaleski, il finanziere franco-polacco che nel 1989 lo aiutò a salvare il Nuovo Banco Ambrosiano dalle insidie di Cuccia, grazie all’arrivo del Crédit Agricole, la grande banca degli agricoltori francesi. Da allora è stato il perenne sostegno e nello stesso tempo il corsaro al quale toccava il lavoro duro. La crisi ha piegato lo gnomo della finanza che aveva sfidato la Mediobanca nel 2001 sfilandole la Montedison. Nel 2008, travolto dai debiti, è stato salvato dalle banche, tra le quali la Intesa, e sta vendendo i gioielli di famiglia.
La resistenza sta diventando durissima al Corriere della sera, che Bazoli ha sempre considerato il gioiello della sua corona. Nel 1983 fece entrare Gianni Agnelli nel capitale, anche come segnale di riconciliazione tra finanza cattolica e laica (un altro dei suoi grandi progetti), riservandogli una sorta di ius primae noctis: l’ultima parola sulla nomina del direttore. «Fece tutto lui, anche il prezzo» dice Cesare Romiti rispondendo alle accuse di averne preso il controllo con una manciata di spiccioli. Quanto alla linea politica, l’Avvocato zigzagava tra Romiti e Bazoli. Il primo sosteneva Paolo Mieli, il secondo è ancora oggi a fianco di Ferruccio de Bortoli. Sul letto di agonia, l’Avvocato avrebbe consegnato al professore la sua eredità (così si racconta, perché all’incontro erano solo in due). E lui ha bloccato Salvatore Ligresti, favorendo invece l’arrivo di Giuseppe Rotelli nell’azionariato con il pacchetto rastrellato da Stefano Ricucci. Adesso il sodalizio con la Fiat si è spezzato. John Elkann ha imposto il proprio manager, Pietro Scott Jovane, che viene dalla Microsoft. E intende prendersi anche la direzione con Mario Calabresi, il quale porterebbe in dote La Stampa. Bazoli ha levato la sua voce contro la vendita della storica sede di via Solferino a Milano, ma finora ha predicato nel deserto. La débâcle di Ambrosoli, che il professore aveva voluto nel consiglio di amministrazione della Rcs, è un ulteriore segnale del suo isolamento. E intanto Della Valle preme alle porte del Corriere e chiede «che venga subito sciolto il patto di sindacato».
In politica, però, mai nulla è perduto per sempre. Così, varcato il capo degli ottant’anni, Nanni conta di giocare la più audace delle partite, quella per il Quirinale. Sempre se Prodi riuscirà a raccogliere i consensi necessari, innanzitutto nel Pd e in Scelta civica, che sulla carta hanno la maggioranza del collegio elettorale. Silvio Berlusconi non lo voterà mai: è l’unico uomo ad averlo sconfitto due volte. La vera sorpresa, però, è che Prodi ha anche un buon rapporto con Beppe Grillo.
Tra i due professori, il bresciano e l’emiliano, la conoscenza risale ai tempi degli studi alla Cattolica. Ma è stato Andreatta a favorire la loro amicizia. Bazoli nel 1996 convince Prodi a sfidare Berlusconi con i ramoscelli dell’Ulivo. Dieci anni dopo Prodi lo aiuta a costruire la prima banca italiana fondendo Intesa e Sanpaolo. Al rientro da un viaggio a Madrid nel 2006, poco dopo essere tornato al governo, chiama Nanni tutto trafelato: «Attento, il Santander ti sta fregando, devi correre ai ripari». Parte così il matrimonio, definito a Ferragosto e celebrato poco prima di Natale. E scatta una reazione a catena che l’anno dopo spinge Geronzi a collocare la Capitalia nell’Unicredit di Alessandro Profumo, chiedendo in cambio la presidenza della Mediobanca.
«È del tutto scorretto attribuire al mio rapporto di amicizia con Prodi significati che trascendono la sfera personale» ha dichiarato Bazoli a de Bortoli, difendendo la sua autonomia di banchiere. Eppure la politica resta la grande passione, prima ancora del tifo per il Brescia che soleva seguire ogni domenica mischiato insieme ai tifosi più accesi. Per trent’anni ha esercitato il ruolo di eminenza grigia di un centrosinistra cattolico progressista. Ma ora ha sottovalutato Roberto Maroni, ha sopravvalutato l’influenza elettorale del Corriere e, anche lui, ha snobbato il grillismo.
In questa Italia che sembra un quadro cubista, c’è ancora posto per gli equilibri sistemici di Nanni Bazoli, e il suo sogno aristotelico del primo motore immobile?