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 2013  marzo 20 Mercoledì calendario

L’ELETTORATO MODERATO MERITA UN CETO POLITICO PIÙ «COLTO»

Tra i tanti paradossi di questa stagione politica italiana ce ne è uno che riguarda il centrodestra italiano e di cui i diretti interessati sembrano avere scarsa consapevolezza. In una fase storica in cui la critica alle insufficienze alla società globale trova acute conferme in quel «pensiero della crisi» che proviene da destra e si muove da José Ortega y Gasset, Oswald Spengler, Martin Heidegger fino agli italiani Vilfredo Pareto e Augusto Del Noce, la parte politica chiamata a elaborare questa linea di pensiero appare molto lontana da questa possibilità.
Fu Ernesto Galli della Loggia, qualche anno fa, a porre per primo il tema dell’impresentabilità sociale della classe politica del centrodestra, tesi ben argomentata in alcuni saggi. Si tratta di un’espressione indubbiamente forte, magari impropria nel lessico, che vuole esprimere una cronica incapacità del centrodestra a farsi rappresentare nella propria dirigenza politica, soprattutto nelle alte istituzioni del Paese, da personalità adeguate.
Si può percepire qualche eccesso in questa affermazione ma il tema c’è tutto, per cui risulta improprio respingerlo aprioristicamente. Anzi, spetterebbe proprio a chi ha a cuore le sorti politiche dei moderati italiani e avverte l’esigenza di ricostruire un centrodestra democratico, europeo e radicato, porre con forza l’ambizione a riqualificare la propria rappresentanza attingendo ai segmenti più attivi della società.
A monte dell’accusa di impresentabilità c’è indubbiamente una certa presunzione della sinistra, storicamente erede della vecchia vocazione togliattiana che, affermando una superiorità culturale, porta a pensarsi e autorappresentarsi come l’unica parte sana della società italiana. Pierpaolo Pasolini affermò che il Pci costituiva un’Italia eticamente più virtuosa nell’Italia tutta, salvo ricredersi. Se si rileggono le cronache politiche degli anni Sessanta e Settanta si potranno cogliere i toni feroci, al limite del dileggio personale, cui furono sottoposti la Democrazia Cristiana e gli esponenti degli altri partiti moderati.
Le campagne di stampa contro Amintore Fanfani, addirittura offeso per la sua statura fisica, quelle contro Giovanni Leone, Giovanni Spadolini, Giuseppe Saragat, fino all’irrisione di Alcide De Gasperi.
Fatta, però, la tara di questo atteggiamento pedagogico della sinistra, il tema resta tutto e non può dirsi che il centrodestra si sia sforzato per evitare di evidenziarlo. La domanda è semplice nella formulazione: il personale politico del centrodestra di oggi attinge a pieno fra gli esponenti di quella società produttiva, liberale, conservatrice nel senso nobile del termine, capace di modernizzare, che in tutto l’Occidente esprimono le formazioni moderate?
Non è mancata nella lunga stagione berlusconiana il tentativo di declinare un ceto politico presentabile ma si è trattato di un periodo breve, quando furono eletti in Parlamento intellettuali come Colletti, Rebuffa, Melograni, Zeffirelli, per non dire di Antonio Martino o Marcello Pera esclusi dall’ultimo governo di centrodestra. Lo stesso si può affermare per altri esponenti della cultura come Domenico Fisichella, Carlo Pace, Gianfranco Miglio, Paolo Armaroli.
Dopo queste esperienze, e fatte le debite eccezioni, il centrodestra sembra essersi ripiegato su un ceto politico in stragrande maggioranza cooptato, che attinge poco o niente dalle università, dal mondo delle professioni liberali, dall’imprenditoria e in generale da tutti quegli ambiti sociali che afferiscono all’elettorato moderato. Le generalizzazioni, naturalmente, sono difficili, nel centrodestra ci sono persone degne e preparate, tuttavia una percezione diffusa evidenzia il problema.
Un centrodestra che dovrebbe rappresentare eredità, sia pur diverse, come quella di De Gasperi, Einaudi, Malagodi, Vanoni, Almirante, non può non porsi – a cominciare dal suo interno – non può far finta di nulla.
Una democrazia compiuta e moderna necessita di una destra come di una sinistra, di un polo moderato e di uno progressista, che alimentino una civile dialettica politica. In questo disegno, la qualità della rappresentanza è un aspetto decisivo che investe tutti, perché la forza di una proposta si costruisce anche sulla credibilità delle persone.