Antonio Spampinato, Libero 20/3/2013, 20 marzo 2013
LA LIGURIA HA UNA MINIERA DA 600 MILIARDI
La materia è delicata perché da un lato tocca il portafogli e dall’altro l’ambiente e il diritto alla salute. Il portafogli in questione si trova nella tasca della Regione Liguria, dei suoi abitanti ma, di conseguenza, anche in quella di tutti gli italiani. Il bilancio dell’amministrazione regionale è in rosso per 60 milioni ma potrebbe d’incanto andare in attivo per 440, grazie a una “rendita” da 500 milioni all’anno che incasserebbe per quattro- cinque esercizi se si sbloccasse l’annosa questione della miniera di rutilio, uno dei minerali da cui si ricava il titanio. La Liguria siede infatti su uno dei più grandi giacimenti di questo prezioso metallo: quasi 400 milioni di tonnellate di “pepite” da cui si potrebbero ricavare dai 400 ai 600 miliardi di euro. Il titanio viene utilizzato nell’industria più avanzata: dalla Difesa all’aeronautica ma anche nella produzione di vernici, carta, plastica e gomma.
Il tesoro si trova nel Savonese, tra Sassello e Urbe, tra i 400 e i 900 metri di altitudine del Bric Tarinè, nei pressi della frazione montana di Piampaludo. La scoperta, come scrive Il Secolo XIX in un’approfondita ricostruzione, risale agli anni Settanta, quando la Regione accordò alle compagnie estrattive - era il 1976 - lo sfruttamento della miniera. Poi però tutto venne bloccato. Nel 1996 tutta l’area rientrò nel Grande Parco del Beigua, area protetta quanto deserta. Così le speranze delle compagnie minerarie di dare alla luce il tesoro si affievolirono ancora di più, così come la possibilità per la Regione di ottenere i ricchi diritti di concessione. Fino quasi a spegnersi quando la vicenda finì sul tavolo dell’allora ministro dell’Industria Pier Luigi Bersani, che preferì ascoltare le opposizione degli ambientalisti.
Ma la resa non rientrava nel vocabolario della Golder Associates, un colosso canadese di certificazione ambientale tornato alla carica con la Regione Liguria per chiedere di sbloccare la concessione.
Tra gli argomenti portati avanti a favore della riapertura del fascicolo ci sono i passi avanti fatti dalla tecnologia applicata nel campo minerario e da un piano avanzato per la difesa dell’ambiente. Ma non solo. Le perplessità che poi decisero il blocco del progetto non riguardano infatti solo la salvaguardia di un’oasi incontaminata, ma anche la salute di chi vive in prossimità del parco.
Il pericolo si chiama amianto e l’Italia sa bene di quali danni è capace. Ora un’altra compagnia di certificazione ambientale, la Sai Global, legata alla Golder, continua la battaglia della multinazionale canadese. «Il primo passo - scrive il quotidiano ligure - dovrebbe essere il via della Regione, la valutazione di impatto ambientale, poi un provvedimento amministrativo di concessione (competente la Regione, mentre allo Stato rimane una residuale competenza sui Beni ambientali, che implica un permesso della Sovraintendenza), con tutte le condizioni possibili di salvaguardia dell’ambiente».
Un percorso non breve, soprattutto in Italia, ma la posta in gioco è alta e le multinazionali statunitensi, canadesi, sudafricane specializzate nel settore dell’estrazione hanno ottimi argomenti per andare avanti a muso duro.
Le condizioni rispetto sia agli anni ’70 sia al ’96 sono diverse. Non certo i rischi, ma i metodi per evitarli sono certamente più evoluti. E poi c’è una fame di lavoro e di Prodotto interno lordo asfittico della Regione e nazionale che potrebbero agevolare la pratica, fatto naturalmente salvo il diritto alla salute e la salvaguardia dell’ambiente.