Francesca Schianchi, LA STAMPA 21/3/2013, 21 marzo 2013
Quando, martedì sera da «Ballarò», la presidente della Camera Laura Boldrini ha parlato di «chiedere sacrifici anche ai dipendenti, perché qui gli stipendi sono molto alti», sul telefonino di Cristiano Ceresani hanno cominciato a fioccare sms interrogativi di colleghi
Quando, martedì sera da «Ballarò», la presidente della Camera Laura Boldrini ha parlato di «chiedere sacrifici anche ai dipendenti, perché qui gli stipendi sono molto alti», sul telefonino di Cristiano Ceresani hanno cominciato a fioccare sms interrogativi di colleghi. Lui, da quattro anni segretario dell’Associazione consiglieri parlamentari, 41 anni, entrato alla Camera 14 anni fa, ieri in Transatlantico si limitava a sorridere: «La presidente ha detto di voler fare tutto con la collaborazione dei sindacati. Aspettiamo sereni di incontrarla, con la massima apertura, anche noi vogliamo innovare». È così: non solo deputati e senatori, nel clima di rinnovamento anticasta ci finiscono pure loro, i dipendenti dei Palazzi. I neo presidenti, Boldrini e Grasso, l’hanno già annunciato: si tagliano i propri stipendi del 30%, e propongono l’obiettivo di portare il risparmio dei costi della politica fino al 50%. Buoni propositi su cui però Beppe Grillo, dal suo blog, chiede chiarimenti ulteriori («quale stipendio? Si tratta di quello da parlamentare o dell’indennità aggiuntiva per i presidenti di Camera e Senato?») e passi avanti ancora più decisi: «Chiedete il dimezzamento degli stipendi dei parlamentari e la rinuncia dei rimborsi elettorali». Questione da tempo dibattuta, quella dei costi dei Palazzi, macchine complicate con un bilancio che si aggira sul miliardo di euro per Montecitorio e circa 500 milioni per il Senato. Nel bilancio preventivo del 2012 della Camera si prevedevano circa 88 milioni per le indennità dei deputati, circa 75 per i rimborsi spese: lo stipendio mensile per ciascun eletto è composto di varie voci, oltre all’indennità (5mila euro netti circa), c’è la diaria (3500), il rimborso spese per l’esercizio del mandato (3690), più altri soldi attribuiti per viaggi e trasporti (3323 ogni tre mesi per chi abita entro 100 km da un aeroporto, 3995 per chi abita più lontano), e una quota annuale per le spese telefoniche di 3mila euro. Ma nel bilancio ci sono anche 241 milioni previsti per il personale. Così, anche le oltre 1500 persone che lavorano a Montecitorio, avverte la presidente, dovranno fare sacrifici. Figure che sono le più varie, e che hanno stipendi iniziali anche molto diversi: un consigliere parlamentare parte da 2920 euro netti, un documentarista da 1876, un assistente parlamentare, più spesso impropriamente definito «commesso» da 1690, un operatore tecnico da 1491. Ma con ritmi di crescita negli anni che, ammette un ex questore che le cifre le conosce bene, il Pd Gabriele Albonetti, «sono più alte che nel resto della Pubblica amministrazione». Per questo, già avevano pensato a intervenire. «Nella scorsa legislatura avevamo preparato una delibera per tagliare del 20% le curve degli stipendi, d’intesa con l’Ufficio di presidenza del Senato, che però non ha mai deliberato», spiega Albonetti. «Basterebbe che il nuovo Ufficio di presidenza di Palazzo Madama la approvasse». A Montecitorio, per ora nessuno commenta il rischio di nuovi tagli. Sono una decina le sigle sindacali: oltre a Cgil, Cisl e Uil, ce ne sono varie di categoria. Ceresani, che guida l’associazione dei consiglieri, più o meno 190 persone con competenze giuridiche ed economiche, non vuole dichiarare nulla sul futuro, ma ci tiene a sottolineare come «segnali» siano già stati dati in passato: «Abbiamo fatto due riforme pensionistiche, abbiamo applicato il contributo di solidarietà e lo abbiamo esteso fino al 2015, bloccato gli adeguamenti retributivi sempre fino al 2015 – elenca tagliato del 10% le indennità di funzione e contenuto il personale di ruolo: da 1950 persone a 1550 circa. Molti di noi avevano vinto concorsi all’Avvocatura dello Stato, al Tar, in magistratura, e hanno rinunciato per stare qui», ricorda. Ora, potrebbero arrivare nuovi provvedimenti. Se dovranno adeguarsi ai tagli, si vedrà. Di certo, non amano sentirsi definire casta. «Non ci riteniamo un costo della politica, ma una risorsa della democrazia».