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 2013  marzo 21 Giovedì calendario

Se tra i primi santi di Papa Francesco ci sarà davvero Carlos de Dios Murias, il trentunenne francescano torturato e ucciso dai militari nel 1976 per le sue simpatie verso la teologia della liberazione, allora si potrà dire che un’epoca si è chiusa e un’altra inizia

Se tra i primi santi di Papa Francesco ci sarà davvero Carlos de Dios Murias, il trentunenne francescano torturato e ucciso dai militari nel 1976 per le sue simpatie verso la teologia della liberazione, allora si potrà dire che un’epoca si è chiusa e un’altra inizia. Non nel senso superficiale che qualcuno sarà tentato di dare e cioè come segno di un ripensamento ufficiale della Chiesa, ma almeno come primo superamento di un tabù che le ha impedito finora di riconoscere i propri martiri sudamericani, solo perchè vittime di sedicenti cristianissimi regimi dittatoriali. E sarà possibile allora che molte altre vicende vengano alla luce, prima fra tutte quella, paradigmatica e tuttora aperta, di mons. Enrique Angelelli di cui Murias era il prediletto discepolo. Figlio di immigrati italiani, Angelelli, aveva iniziato alla fine degli Anni 50 il suo apostolato tra i poverissimi della baraccopoli di Cordoba. Nominato vescovo ausiliare da Papa Giovanni e rimosso dal suo incarico per le resistenze degli ambienti ecclesiastici più conservatori, era stato nuovamente scelto da Paolo VI come vescovo de La Rioja, la diocesi più povera dell’Argentina. Da appena un anno era uscita l’enciclica Populorum progressio che, quasi in contrasto con il consueto tormentato incedere del Papa, aveva posto con una chiarezza mai più raggiunta il dovere cristiano di affrontare in termini radicali il tema della povertà dei popoli del terzo mondo. Angelelli aveva cercato di interpretarne il senso nell’azione pastorale quotidiana, suscitando nuovamente sorde reazioni, questa volta rintuzzate con l’aiuto del capo dei gesuiti Pedro Arrupe. Ma, nel marzo del 1976, il golpe militare del generale Videla segnò la sua fine. Di fronte alle brutalità del regime, il candido e fragile vescovo, rifiutò di celebrare la messa nelle caserme dove si torturavano i dissidenti e soprattutto non volle salire sul palco su cui sarebbe apparso «il Generale Presidente», in visita nella sua regione, perché - aveva obiettato con un timido sorriso ai funzionari esterrefatti che predisponevano la cerimonia «il vescovo non può stringere la mano di colui che opprime il suo popolo». Poco dopo sarebbe stato ucciso nella maniera più infame, in un simulato incidente stradale, sì che gli venisse negato anche il riconoscimento del martirio. Era il 4 agosto 1976. Una Chiesa sbigottita e incerta, accettò la versione ufficiale. E di lì a poco, a Puebla, Karol Wojtyla, avrebbe sancito un variare di linea: prioritaria era lotta al marxismo di cui la teologia della liberazione sembrava subire le suggestioni. Il tema della povertà andava affrontato all’interno della consolidata dottrina sociale della Chiesa e a un giovane cardinale tedesco, Joseph Ratzinger, nominato Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, era affidato il compito di smontare sul piano teologico le deviazioni latinoamericane. Così l’azione potente e decisiva del Papa volta alla liberazione dell’Europa dal comunismo, si sarebbe tradotta in America Latina nel suo contrario: la liberazione di quei popoli dalle dittature sarebbe avvenuta con una chiesa costretta a inseguire gli avvenimenti più che a determinarli. Ciò che avrebbe costituito il rovello permanente di quei tanti sacerdoti perseguitati che, come Arturo Paoli ( autore del celebre Dialogo della liberazione e oggi felicemente centenario), pensavano al vangelo come strumento di liberazione integrale dell’uomo. Ora, tutta questa storia passata riemerge con e nella figura di Papa Francesco. Nel 2006, Nestor Kirchner, ha proclamato il 4 agosto giornata di lutto nazionale, proprio in memoria di mons. Angelelli. E un anno fa l’ancora vescovo Jorge Mario Bergoglio, pur raccomandando discrezione, ha deciso di sfidare le reazioni prevedibili, dando inizio alla causa di beatificazione del suo discepolo. Ora è Papa di una chiesa che vuole povera e per i poveri. E anche nel monito francescano a «custodire la terra», c’è un’eco, certo inconsapevole, di un concetto cardine della teologia della liberazione. Proprio quella che ha contrastato tanti anni fa quel giovane cardinale tedesco che gli ha lasciato il posto, proponendolo, si dice, come suo successore. Tutto è naturalmente avvenuto nel segno della continuità ed è presto per decifrare il corso degli eventi. Ma se anche solo qualcuna delle premesse di questi giorni dovesse realizzarsi, allora davvero si chiuderebbe un cerchio e si confermerebbe la convinzione di Arturo Paoli, tante volte ripetuta nei momenti in cui non capiva la propria Chiesa, che «lo Spirito Santo agisce per la contraddizione». Che è il modo degli uomini di fede di dare un senso ai non infrequenti paradossi della storia.