Filippo Ceccarelli, la Repubblica 21/3/2013, 21 marzo 2013
OH, povero me! Oh, poveri noi! Frammenti di vittimismo quotidiano e post-elettorale: il premio «Calimero», il pulcino di Carosello che nessuno voleva perché piccolo e nero, tocca oggi al cinquestelle Claudio Messora, il fresco coordinatore della comunicazione che, appena entrato in contatto con i comunicatori, cioè con i giornalisti, ha scelto la via dell’incomunicabilità
OH, povero me! Oh, poveri noi! Frammenti di vittimismo quotidiano e post-elettorale: il premio «Calimero», il pulcino di Carosello che nessuno voleva perché piccolo e nero, tocca oggi al cinquestelle Claudio Messora, il fresco coordinatore della comunicazione che, appena entrato in contatto con i comunicatori, cioè con i giornalisti, ha scelto la via dell’incomunicabilità. Silenzio stampa contro «l’esercito degli spalamerda». E già questo basterebbe. Ma Messora ha anche sugellato il primato giornaliero con due post di potente commiserazione autobiografica: «La macchina del fango sta lavorando a pieno regime. Oggi stanno raggiungendo vette apicali. Si arrampicano su tutti gli specchi. Vanno a spulciare la rete in cerca di miei veri o presunti commenti risalenti a 10, 15 anni fa, quando facevo tutt’altro, e se ne trovano uno che dice ’salve, sapete che tempo fa domani?’, lo rilanciano su tutti i network, ossessivamente». Quei cattivacci. Ma «siccome non sono un corrotto - prosegue il povero Messora - non sono un delinquente, non ho case né barche a mia insaputa, divento alternativamente un buffone, uno poco serio, uno che tanto è destinato a fallire, uno che non ha la minima chance, uno che non ha curriculum, uno...» e così via. Vittimismo a cinque stelle. Sempre in giornata si segnala il vittimismo tecnocratico e postbocconiano, secondo posto. Mario Monti, all’assemblea dei gruppi di Scelta civica, così ha esordito, con gelido sarcasmo: «So di essere considerato in via d’estinzione, ma non vorrei essere estinto da chi ho contribuito a portare qui». Voi, ingrati propalatori di maldicenza. L’ex premier non voleva nemmeno intervenire alla riunione, ma poi non ha resistito e allora, sdegnatissimo, così avrebbe sibilato: «Alcune dichiarazioni che ho letto sui miei supposti interessi personali sono disgustose». Parolona. La terza medaglia se l’è meritata Bersani, variante vittimismo sconfittistico, che pure fino a domenica pomeriggio aveva reagito con triste compostezza. E però a quel punto c’è caduto pure lui: «In questi venti giorni ci hanno massacrati in modo irresponsabile come se il Pd fosse colpevole di chissà che cosa. Di aver preso pochi voti?». Un fiume in piena: «Se tutte le volte che apro la bocca mi si raffigura come uno che dice una cosa e ne pensa un’altra? ». E via andare, sull’affollato viottolo dell’autocompatimento. Ci sarebbe poi Silvio Berlusconi, il Grande Perseguitato, per giunta reduce dal soggiorno al San Raffaele per la grave forma di uveite che l’altro giorno l’ha costretto a manifestarsi nella solarità di Montecitorio con gli occhialoni neri. Sul multiforme e fantasmagorico vittimismo del Cavaliere esiste una tale mole di materiali - si pensi al «me ne vado da questo paese di merda», ma anche alla solitudine e ai lutti che lo avrebbero spinto a rilassarsi con le «cene eleganti» - da meritare un saggio a parte. Non solo, ma il suo esempio si riverbera moltiplicandosi nei numerosi vittimismi, sia pure subalterni e secondari, che a vario titolo attecchiscono nelle figure di Bondi, Carfagna, Scajola e, last but non least, Scilipoti. Si tratta del resto di un antico vizio italiano, non a caso presente nella commedia e nel melodramma, che però in ambito politico si è venuto a intrecciare con i processi di personalizzazione, l’intensificarsi del narcisismo, il regime degli spettacoli, la paranoia dei complotti, le strategie emotive e comunicative. All’ombra delle quali pare comunque di scorgere l’eterna attitudine del « chiagni e fotti », pure frequentata da esponenti padani (vedi Maroni disteso sulla barella e con il collare dopo l’irruzione della Ps nella sede di via Bellerio). Con tali premesse si saluta la pronta e pittoresca adesione degli ultimi arrivati, i grillini, al club dei vittimissimi della Terza Repubblica. Lo stesso Grillo, come ai suoi tempi Pannella, si è più volte lamentato che i giornali pubblicano apposta sue foto mentre fa le smorfie, per mostrificarlo; e può persino avere ragione, ma ne avrebbe assai di più se, mentre lo dice, tenesse presente che cosa dice lui degli altri, a partire dal programmatico «Vaffanculo». In campagna elettorale ha anche ingaggiato un battibecco con Berlusconi sul rispettivo numero di pendenze penali, segno inequivocabile di vessazioni. «Io ho 80 processi - ha detto - lui 20 di meno». Il Cavaliere l’ha presa male: «Grillo non dica sciocchezze, ho 2.700 udienze sulle spalle, nessuno più di me». La gara si è chiusa senza verifica contabile. Sui testi di psicologia si legge che dietro ogni vittimista si nasconde un tiranno. Ma questo non bisogna dirglielo, altrimenti è peggio.