Andrea Tarquini, la Repubblica 21/3/2013, 21 marzo 2013
dal nostro corrispondente ANDREA TARQUINI BERLINO LA LAVATRICE non gira più, la tv non rende più fedelmente i colori nelle immagini, o all’improvviso lo schermo resta buio
dal nostro corrispondente ANDREA TARQUINI BERLINO LA LAVATRICE non gira più, la tv non rende più fedelmente i colori nelle immagini, o all’improvviso lo schermo resta buio. La lavastoviglie sbaglia i programmi o perde acqua, il frigorifero s’inceppa. E in ogni caso del genere il tecnico, chiamato d’urgenza, scuote la testa: «Che vuole, non è più in garanzia». DITE la verità, a quanti di voi è già successo? E quante volte avete avuto il sospetto che elettrodomestici o altri oggetti d’uso quotidiano (magari anche diverse auto di massa) siano prodotti per rompersi apposta allo scadere della garanzia? Il peggio viene poi dalla successiva osservazione del tecnico o meccanico: «Non le conviene riparare, costa troppo, meglio comprarne uno nuovo». Ora uno studio commissionato dai Verdi tedeschi a scienziati ed economisti per la prima volta dice che purtroppo abbiamo ragione: il principio si chiama “obsolescenza programmata”. Serve a produrre e vendere di più. Pazienza se solo nella Repubblica federale, in qualche anno, lo scherzetto è costato 100 miliardi agli ignari consumatori. L’idea di indagare è venuta al gruppo parlamentare degli ecologisti. Un esperto, Stephan Schridde, e il professor Christian Kleiss della facoltà di Economia di Aalen, si sono messi al lavoro studiando una ventina di elettrodomestici e altri prodotti di largo consumo. I risultati sono scoraggianti. Per noi consumatori almeno, non per chi produce e vende di più. È un vecchio trucco, l’obsolescenza programmata, dice il rapporto. L’associazione dei produttori di elettrodomestici di qui replica che «se fosse così i consumatori cambierebbero subito marca, e le aziende si rovinerebbero ». Ma già nel 1924 i produttori di lampadine conclusero un accordo segreto: produrle perché durassero non più di mille ore. Decenni dopo furono scoperti, ma il divieto di limitarne la vita non è stato mai applicato davvero. E che dire della tv, davanti a cui ci sediamo ogni sera? Oggi si possono acquistare splendidi televisori ultrapiatti, con telecomandi con mille funzioni e l’allaccio a internet. Peccato che spesso all’interno abbiano condensatori elettrolitici di scarsa qualità, che non vivono molto più della garanzia. Un altro caso storico di complotto ai danni del consumatore avvenne con le calze di nylon: quando furono lanciate sul mercato nel 1940 erano così robuste che l’industria subì un crollo nelle vendite, duravano troppo. I produttori allora si accordarono: modificarono la fibra, e ne misero a punto una più fragile. Torniamo agli elettrodomestici. Senza lavatrici o lavastoviglie, la vita quotidiana d’una famiglia sarebbe un inferno, è vero. Pochi sanno però che la loro durata media è crollata, dai dodici anni del 1998 ai sei anni e mezzo attuali, che scendono addirittura a tre anni appena per i prodotti più economici. In spazzolini da denti elettrici, mixer, frullatori, le ruote dentate che li muovono sono troppo fragili per durare quanto vorremmo. Ma anche i nuovi strumenti della comunicazione mobile, dall’iPod a diversi smartphone, a computer portatili si sono attirati proteste e, negli Usa, anche una class action. Perché le loro batterie non sono sostituibili, al contrario di quanto avviene nei cellulari tradizionali, quindi quando si scaricano bisogna mettere mano al portafogli. Ripararli è impossibile, o troppo difficile e costoso. Una scelta strategica, dunque. «L’obiettivo è la massimizzazione della rendita di capitale », afferma Stefan Schridde. E lo studio scritto a quattro mani con Kreiss sottolinea: poiché aumenta le vendite, “la strategia del deterioramento della qualità dei prodotti viene alla fine premiata dall’aumento degli utili”. Viva chi vende, tanto peggio per chi compra e deve presto ricomprare. Di economia ecologica e sostenibile poi neanche a parlarne. INTERVISTA ROMA — «È vero, è una realtà indiscutibile: gli elettrodomestici durano sempre meno, e si rompono più spesso». Paolo Martinello, presidente di Altroconsumo non ha dubbi. È una conseguenza della cosiddetta obsolescenza programmata? «Non ho le prove per dire che le aziende calcolino volutamente la rottura dei meccanismi perché avvenga poco dopo la fine della garanzia, ma c’è un dato reale: una volta una lavatrice durava in media 12 anni ora la metà del tempo. Insomma hanno allungato la garanzia, passata nel nostro paese a due anni, per dimezzare la durata dell’elettrodomestico. L’economia dei consumi lancia in continuazione nuovi prodotti, se durassero troppo il mercato si fermerebbe». Che può fare il cittadino? «Intanto far valere la garanzia, cosa già di per sé non facile visto che in Italia otto negozi su dieci rifiutano di sostituire l’oggetto rotto nonostante sia dovuto per legge. Poi affidarsi a prodotti che offrono garanzie più lunghe, magari anche parziali». A livello nazionale? «Copiare l’Inghilterra dove la garanzia dura a seconda della legittima aspettativa di durata di un prodotto, per una lavatrice anche più di cinque anni. Poi estendere e far rispettare alle aziende l’obbligo di ritiro e smaltimento dei prodotti elettronici rotti. Ogni ritiro, ogni smaltimento è un costo e forse così li farebbero durare di più». ALESSANDRO ALVIANI SULLA STAMPA Centouno miliardi di euro: tanto potrebbero risparmiare ogni anno i tedeschi se la lavatrice, lo spazzolino elettrico o le scarpe che hanno appena acquistato non avessero una sorta di data di scadenza integrata, non fossero cioè progettati per smettere di funzionare dopo un certo periodo di tempo – preferibilmente dopo la scadenza della garanzia – o non fossero costruiti in modo da scoraggiare le riparazioni. Lo sostiene uno studio presentato ieri a Berlino e realizzato per conto del gruppo parlamentare dei Verdi tedeschi, che chiedono direttive chiare sulla riparazione e sostituzione dei componenti. Il fenomeno, chiamato «obsolescenza pianificata», è in aumento, spiegano gli autori, Stefan Schridde e Christian Kreis. Oggi sembriamo trovarci di fronte alla situazione in cui «sempre più prodotti durano sempre meno», scrivono nelle 100 pagine della ricerca, in cui si dice che una vera e propria intenzionalità da parte dei produttori «è molto difficilmente dimostrabile». «Obsolescenza pianificata» è un altro termine per descrivere la frustrazione dei consumatori: si tratterebbe dell’usura prematura e programmata di un prodotto che in realtà potrebbe funzionare molto più a lungo. Il fenomeno è noto da tempo. Nel 1924 i più grandi produttori di lampadine fecero cartello per ridurre la durata di vita delle lampadine da 2.500 a mille ore. Negli Anni 40 la DuPont inventò le calze di nylon, che avevano un unico difetto: erano troppo robuste, per cui le vendite non decollavano. A quel punto l’azienda avrebbe ordinato ai tecnici di «peggiorarle», per far sì che si smagliassero. Nel 2003 negli Usa partì una class action contro la Apple, accusata di aver limitato intenzionalmente a 18 mesi la durata delle batterie non sostituibili dell’iPod. E oggi? Gli autori elencano diversi esempi, riuniti in tre categorie. C’è anzitutto la scelta di materiali o componenti che si usurano anzitempo. È il caso delle resistenze delle lavatrici, delle chiusure lampo a spirale, oppure delle ruote dentate plastiche poco resistenti all’abrasione montate sui frullatori: non possono essere sostituite e al terzo anno non funzionano più. Un secondo espediente è la limitazione della durata di vita del prodotto attraverso il tipo di costruzione: alcuni componenti del computer MacBook Pro, come la batteria, sono incollati, il che complica e rende molto costose la sostituzione o riparazione; alcuni spazzolini elettrici montano una batteria non sostituibile che, col tempo, perde la sua capacità di carica. Infine ci sono limitazioni tecniche: è il caso delle viti speciali usate per l’iPhone 4 o dei contatori montati sulle stampanti a getto d’inchiostro o laser che, dopo un certo numero di pagine stampate, segnalano la necessità di manutenzione. Se li si riporta a zero, la stampante continua a funzionare come se niente fosse. Per quale ragione costruire un prodotto che si rompe prima del tempo, con l’effetto di usare più risorse del dovuto e creare montagne di rifiuti? Per aggirare il problema della saturazione dei mercati e massimizzare il profitto delle aziende, che risparmiano così costi e aumentano le vendite, spiega lo studio. Di parere opposto Werner Scholz, direttore dell’associazione tedesca dei costruttori di elettrodomestici: i produttori sbaglierebbero se agissero così, perché un consumatore la cui lavatrice si rompe dopo quattro anni ne comprerà una di un altro marchio. Secondo un’indagine della sua associazione dei 180 milioni di elettrodomestici nelle case tedesche, oltre 75 milioni hanno più di 10 anni. NADIA FERIGO SULLA STAMPA Il professor Vittorio Marchis, ordinario di Storia della tecnologia e dell’industria al Politecnico di Torino, porta in giro per il mondo le sue lezioni spettacolo, create per affascinare grandi e piccini, esperti e neofiti. Camice bianco, studenti schierati, pubblico attento, scalpello e sega vibrante in pugno. Inizia l’autopsia. Steso sul tavolo non c’è un cadavere malconcio, ma un’aspirapolvere. Un giradischi. Una lavatrice, un telefono, una fisarmonica o un contatore della luce. La sua prima autopsia a una macchina è del 1993, realizzata per un’installazione video parigina. Poi non si è più fermato, tanto che ad aprile terrà una lezione alla Chemical Engineering School di Cleveland per sezionare una macchina a raggi X. «Negli ultimi dieci anni ho portato a termine centinaia di autopsie, reali in tutto e per tutto. Le macchine, come gli uomini, nascono, invecchiano e alla fine muoiono. È impensabile credere che un oggetto possa vivere per sempre. Così apro la macchina, perché la conoscenza deve essere il più possibile concreta. Guardo quel che è rimasto nella loro pancia, in cerca delle cause della sua morte. E così si riesce a capire anche qualche cosa in più su come hanno vissuto». Qualche caso di morte precoce? «Certo. Macchina o uomo, è lo stesso. Pensiamo a un’arteria che si indurisce e a una guaina che dopo essere stata troppo esposta al calore, diventa sempre più secca. Poi fragile, fino a che il filo che custodisce non si spezza. C’è la meccanica, che può rompersi, incepparsi, spezzarsi. Anche le macchine si rompono i denti e hanno l’Alzheimer. Poi c’è il calore, gli agenti esterni, che molto possono incidere sulla vita di un oggetto». Le macchine possono guarire? Durante le autopsie si scoprono piccole riparazioni, ritocchi... «Sono proprio i nuovi materiali a essere sempre più fragili, più simili al corpo umano. In un mondo semplice, con una dimensione artigianale, era più facile riparare gli oggetti. Ora ci sono macchine che producono altre macchine: per l’uomo inserirsi in questo processo e rimediare è impossibile. Un esempio? Si rompe la scheda che programma una moderna stufa a pellet. Non si può ricostruire. Non si aggiusta più. E così muore».