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 2013  febbraio 22 Venerdì calendario

GLI SLEGATI OVVERO IL CARROCCIO ALLO SBANDO NELLA FORTEZZA VENETA


PADOVA. Ma che succede nella fortezza leghista della Padania veneta? Persino lo zoccolo duro della Marca, per intenderci il regno del sindaco-sceriffo di Treviso, Giancarlo Gentilini, che vuole la schedatura degli immigrati e che predica l’assoluta tolleranza zero, non sembra più quel monolitico bastione di qualche anno fa, quando nel Veneto la Lega toccò il picco storico del 34 per cento: con la Benetton in crisi profonda, con le piccole e medie industrie alla frutta, con l’assalto alla diligenza di Beppe Grillo – grandissimi successi i suoi comicizi di Mestre, Treviso, Padova, Vicenza – e, soprattutto con la selvaggia epurazione dei bossini, il leghiamo è andato in tilt e la dialettica interna si è trasformata in apertissimo, clamoroso dissenso.
Non è tutto, però. A complicare i giochi e le strategie politiche, c’è una sostanziale novità, che avvelena le beghe degli ultimi mesi: la rabbia e la delusione del «popolo della Serenissima». Il leghista della base si sente tradito, e schifato. In Veneto, lo sanno tutti, si lavora sodo. Si vote per difendere il gruzzolo. E si prega. Non a caso, qui le sacrestie contano ancora molto. E se persino il vescovo di Padova, monsignor Antonio Mattiazzo, nel raccomandare l’impegno civile di recarsi alle urne, dice ai fedeli del patronato di Cittadella «andate a votare e scegliete il male minore», come non riflettere criticamente nei confronti di chi ha governato il Veneto? Diffidate delle «mezze verità», ha aggiunto il vescovo, «qualcuno ha detto che la crisi non c’era perché i ristoranti erano pieni, ed è vero che sui Colli i ristoranti lo erano, ma che dire delle seicento persone che ogni giorno chiedono il pasto alle cucine popolari?». Fine di un ciclo? Può darsi.
«La sensazione di pelle che ho» spiega Andrea Molesini, docente di Letterature comparate all’Università di Padova, autore del bestseller Non tutti i bastardi sono di Vienna (Sellerio), premio Supercampiello del 2011, «è che probabilmente prevarrà l’irrazionalità. Nel caso poi della Lega, la voglia di fare un dispetto alla Lega Lombarda, per via dell’accordo con Berlusconi. Vallo a dirlo ai militanti che il patto con il Pdl serve a sconfiggere la sinistra e a creare il Grande Nord. Ti replicano: balle, l’avete fatto per favorire la Lombardia. La Liga veneta non è la Lega. E il Lombardo-Veneto è un po’ un’invenzione. Il Veneto si è sempre sentito più unito alle Tre Venezie che non alla Lombardia. Ha una tradizione di autogoverno millenaria e questo è rimasto nel dna della popolazione. A livello nazionale, si sente una regione bistrattata e incapace di essere rappresentata. Conta di più nei numeri, nel suo fatturato cioè. Insomma, la mia impressione è che Maroni nel Veneto avrà una brutta sorpresa».
Vacillano i pilastri della Lega, ma anche i muraglioni economici del Nordest, certezze come la Benetton, l’azienda familiare che ha dato vita a un tessuto produttivo unico, un distretto industriale modulato con centinaia di laboratori artigianali, a loro volta diventati imprese di successo. La crisi dell’uno alimenta quella dell’altra. Insieme, generano perdita di fiducia. La Benetton ha annunciato un doloroso piano di ristrutturazione: esuberi (445) negli stabilimenti di Ponzano e Castrette, tagli che colpiscono 135 laboratori di terzisti. Stessa solfa pure per l’Electrolux, la multinazionale svedese con sede a Treviso: ha annunciato nei prossimi mesi 373 «uscite». Quanto peseranno queste drammatiche situazioni nel segreto dell’urna? In una regione di quattro milioni 900 mila abitanti, questi «snellimenti» della forza lavoro riguardano almeno duemila nuovi disoccupati, che si aggiungono ai 162 mila veneti già nelle liste di collocamento per mobilità.
Grande è dunque la confusione, sotto i cieli del Veneto elettorale che un tempo fu bianchissimo, cattolico e democristiano e che alle Regionali del 2010 aveva votato per un terzo Lega Nord, un terzo Pdl e un terzo centrosinistra. Oggi il centrodestra è in declino, sotto tiro, il malcontento si traduce in transumanze sconvolgenti. Un segnale? Il mondo artigiano veneto era il feudo incontrastato dell’alleanza Lega-Pdl, che lì raccoglieva l’80 per cento. Adesso il consenso si è più che dimezzato. A favore di Beppe Grillo e di Oscar Giannino, che è diventato il leader di riferimento di Mario Pozza, presidente della Confartigianato di Treviso. Centrodestra e centrosinistra sono assai più vicini, come mai non lo sono stati, e questa è un’altra significativa mutazione, come sottolinea Laura Puppato, consigliere regionale capolista al Senato per il Pd, un passato da militante ecologista, sindaco di Montebelluna per nove anni: «Il voto di protesta nasce da una profonda delusione. Il Veneto, ancora una volta, sarà il laboratorio politico e sociale di questo Paese, con un voto inaspettato. La gente contesta sia il Pdl, sia la Lega per le indicazioni sulle liste. Calate dall’alto, volute da fuori. La Liga veneta è stata svenduta per ragioni assai discutibili. La gestione del segretario regionale Flavio Tosi, che è sindaco di Verona, nei territori è stata messa fortemente in discussione. Quanto a noi, le piccole e medie imprese hanno capito che esiste una convergenza di interessi: la parola chiave è compartecipazione. Imprese, fasce sindacali, insieme con le istituzioni che latitano da dieci anni e che devono riconsiderare l’economia». Il programma di Puppato è abbastanza radicale: sviluppare la green e la blue economy, varare la fiscalità ecologica e favorire le politiche per l’innovazione, il tutto all’insegna di un robusto sostegno per le nuove imprese, il lavoro dei giovani e delle donne, nonché la messa in sicurezza del territorio e la rivoluzione necessaria nei trasporti.
Unico timore: lo tsunami Grillo. Che rischia di agganciare una bella fetta di veneti incazzati, di sicuro almeno un terzo dei giovani, se si vuole accreditare il malessere espresso via Internet: del resto, nessuna regione ha subìto i contraccolpi della crisi come il Veneto, oltre mezzo milione di imprese segnano il passo, la concorrenza fiscale della Carinzia è un invito a nozze per i piccoli imprenditori, sollecitati dai loro stessi dipendenti a emigrare oltre confine. La Lega assiste impotente. Il governatore Luca Zaia ammette che «il modello Nordest è finito». Un capitolo di storia locale si è concluso. «Bisogna cambiare per non morire» suggeriscono alla Fondazione Nord Est, diretta dal professore Daniele Marini del Dipartimento di Scienze politiche.
Il cambiamento, nella Liga veneta, è tradotto in una resa dei conti fra bossiani (43 per cento) e maroniani. Il segretario Tosi ha imposto liste di fedelissimi. E ha escluso i capigruppo alla Camera Gian Paolo Dozzo e, al Senato Federico Bricolo, ex sindaco della bellissima Cittadella. Il consigliere Santino Bozza di Monselice (molto amico della pasionaria bossiana Paola Goisis) annuncia di votare «disgiunto»: Pd al Senato e Pdl alla Camera. Afferma che lo faranno anche gli altri lealisti bossiani, tantissimi. Il nemico è il 43enne Tosi, l’arrembante sindaco di Verona. Colpevole di aver venduto l’anima a Roberto Maroni. Applicando alla lettera lo statuto leghista, che impone il limite di due mandati parlamentari, Tosi ha annientato la vecchia guardia bossiana. E scatenato una «guerra fra bande», come il prudente e laconico governatore Zaia si è lasciato sfuggire. Guerra in cui è contemplato lo «scambio di prigionieri». Sembra di essere tornati alle faide democristiane.
Flavio Tosi, chiamato in causa, minimizza: «È vero, il nostro militante fatica a digerire un’alleanza con chi ha tradito patti e accordi. Io mi sono prodigato ovunque, nelle piazze, davanti ai gazebo, ai pranzi, alle varie manifestazioni, per rassicurare che in Veneto votiamo i rappresentanti veneti e che la finalità del patto è solo strategico. Dicono che sono stato autoritario? Che ho imposto le liste? Me ne assumo la responsabilità: bisognava rinnovare. Ora abbiamo liste di giovani e di amministratori locati. Il caso Bozza? Una rondine non fa primavera. La partita vera si gioca con gli indecisi. Un terzo del nostro elettorato non sa se andrà a votare e chi votare. Il sentimento di sfiducia è legato al federalismo mancato, "è vent’anni", ci rimproverano, "che dite di portarcelo e non l’avete ancora fatto..". Restiamo tuttavia ben radicati nel territorio: abbiamo oltre cento sindaci. Siamo pragmatici: sappiamo che il 2013 sarà anche peggio del 2012. Il Veneto è una terra molto concreta, dove non attaccano le promesse impossibili».
Bisogna ammettere che Tosi parla chiaro. E che non teme lo scontro duro. Al Bacanàl del Gnoco, l’antico Carnevale di Verona che affonda le sue origini nel Rinascimento (la prima volta si svolse durante il 1531), è sfilato tra i cavalieri della cavalcata di Tommaso da Vico, montando un bel destriero nero, scuro come le nubi tempestose che si addensano sulla Liga veneta, e i bimbi in preda all’euforia della gran festa hanno pensato che fosse Zorro, salvo che Tosi non indossava alcun costume e tantomeno la celebre mascherina, forse perché nessuno ci aveva pensato o, forse, perché l’opposizione si sarebbe scatenata in chissà quali sfottò. Silvino Gonzato, arguto e sagace scrittore veronese che da anni tiene sulle pagine del quotidiano locale l’Arena una popolare rubrica (la posta della Olga) ha osservato che «l’era più disinvolto el caval che lu».
Leonardo Coen