Gina Kolata, la Repubblica 20/3/2013, 20 marzo 2013
IL DNA FA RIVIVERE RANE E MAMMUT PIÙ VICINO IL SOGNO DI JURASSIC PARK
Sino a tempi recenti la selezione naturale sembrava procedere in un’unica direzione: una specie poteva formarsi, poi prosperare, poi estinguersi. E una volta estinta, non poteva essere rigenerata. Oggi però alcuni scienziati affermano di scorgere un’altra possibilità. «Forse non possiamo differire la morte, ma possiamo renderla reversibile», dichiara George Church, genetista presso l’Harvard Medical School.
Ad oggi la rigenerazione è stata praticata su un’unica sottospecie estinta, e il piccolo che è nato, nel 2003, ha vissuto solo qualche minuto. Si trattava di uno stambecco iberico (Pyrenean Ibex): una creatura di gradi dimensioni, simile a una capra, che sino a qualche anno fa (l’ultimo esemplare è morto nel 1999) si aggirava tra i dirupi dei Pirenei, tra Spagna e Francia. La sua rigenerazione era stata ottenuta per clonazione – a partire da alcune cellule congelate prelevate dall’ultimo esemplare della specie con le quali tentare di crearne uno nuovo, secondo un metodo analogo a quello impiegato nel caso della pecora Dolly, che fu clonata da una cellula congelata, prelevata dalla mammella di una pecora deceduta anni prima.
A una conferenza che si è tenuta a Washington la scorsa settimana, alcuni scienziati australiani hanno descritto il loro tentativo di rigenerare una singolare varietà di rana: la Rheobatrachus silus, estinta da circa un quarto di secolo. I loro sforzi hanno prodotto solo degli embrioni allo stadio iniziale, che non sono sopravvissuti.
Quello della rigenerazione delle specie è un settore nel quale gli scienziati stanno ancora muovendo i primi passi, e prima che riescano a rigenerare una specie potrebbero trascorre anni. I loro occhi però già brillano all’idea di riportare in vita alcune specie. I mammut lanosi. Un cavallo che viveva nello Yukon settemila anni fa. Il piccione migratore, animale a cui un ex studente di Church si era particolarmente appassionato.
C’è anche chi lancia qualche monito. Ross MacPhee, curatore della sezione mammiferi del Museo americano di Storia Naturale di New York, afferma che malgrado la possibilità di rigenerare delle specie estinte sia affascinante «come al solito le nostre competenze tecnologiche superano la nostra capacità di comprenderne le implicazioni».
Quella di rigenerare delle specie estinte è un’operazione tanto complessa da poter apparire scoraggiante. La clonazione vera e propria richiede una cellula intatta proveniente dalla specie estinta di cui non sempre è possibile disporre. Mentre alcuni scienziati ritengono che il permafrost possa contenere delle cellule intatte congelate di specie animali estinte, come i mammut lanosi, altri, come Church, dicono di dubitarne. Secondo Church, e altri come lui, nel permafrost si potrebbero tutt’al rinvenire dei segmenti di Dna. La clonazione, quando va a buon fine, produce un embrione che dev’essere impiantato in una specie molto affine, che funge da madre portante.
Le nuove tecnologie suggeriscono inoltre una nuova modalità per rigenerare delle specie estinte, basata sull’impiego di materiale genetico. Si tratta di mettere a confronto il Dna della specie estinta che si intende rigenerare con quello di specie esistenti strettamente imparentate ad essa, e di iniziare a introdurre nel Dna delle cellule della specie esistente porzioni del Dna della specie estinta. Le cellule ibride così ottenute potranno essere impiegate per la clonazione. Dopo qualche passaggio si otterrebbe un animale che possiede una quantità di Dna della specie estinta sufficiente a renderlo molto somigliante ad essa. Il metodo tuttavia non può essere impiegato per ottenere dei dinosauri, come nel film “Jurassic Park”, dal momento che non sembriamo disporre di Dna di dinosauro.
Tuttavia, stando a Church, riportare in vita alcune specie, o aggiungere il loro Dna a quello di specie esistenti potrebbe produrre qualche vantaggio inaspettato. Supponiamo ad esempio che gli elefanti possano tornare a popolare le zone artiche. Quando i mammut lanosi abitavano quelle regioni del pianeta, buttavano giù gli alberi permettendo all’erba di crescervi e propagarsi. In assenza di alberi, la superficie rifletteva la luce solare e il terreno si manteneva più fresco. Durante l’inverno, poi, i mammut schiacciavano con il loro peso la neve, consolidando il permafrost. «Il permafrost contiene una quantità di carbonio due o tre volte superiore a quella contenuta complessivamente in tutte le foreste pluviali», spiega Church. «Per sprigionare l’anidride carbonica e il metano, basta scioglierlo. Nel caso delle foreste pluviali occorre invece bruciarlo. E se invece bastasse riportare in vita quegli elefanti resistenti al freddo?», si domanda Church.
Naturalmente, esistono molte argomentazioni contrarie a manipolazioni di questo tipo. Una di queste è rappresentata dalle possibili ripercussioni che queste potrebbero avere sul Decreto sulle specie a rischio. Il quale, fa notare Hank Greely, direttore del Centro per la legge e le bioscienze dell’Università di Stanford, si basa sulla premessa che l’estinzione sia definitiva.
«Cosa accadrebbe se eliminassimo quel presupposto?», domanda lo scienziato. «Immaginate che degli speculatori vogliano edificare una striscia di terra sulla quale vivono gli ultimi esemplari di una specie di uccelli in via di estinzione. E supponiate che dicano: siamo disposti a pagare per il congelamento (delle cellule), ma lasciateci costruire il nostro campo da golf in pace».
Greely propone poi un altro punto a favore della rigenerazione delle specie. E benché non lo convinca del tutto, dice, esercita su di lui un “richiamo viscerale”. È un’argomentazione che riguarda la giustizia. Prendiamo ad esempio il piccione migratore. «Siamo noi gli assassini — afferma Greely — Siamo stati noi a causarne l’estinzione. Non spetterebbe dunque a noi riportarli in vita?».
In conclusione, ad attrarre Greely e molti altri all’idea di rigenerare le specie è la curiosità. «Per me, poter vedere un mammut lanoso, una tigre dai denti a sciabola o un megaterio sarebbe fantastico », afferma Greely. «Non stiamo parlando di Jurassic Park, ma di Pleistocene Park, ovvero di cento o duecentomila anni fa». E, aggiunge, «sono tantissime le specie straordinarie che si sono estinte negli ultimi duecentomila anni».
(© 2013 New York Times La Repubblica Traduzione Marzia Porta)