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 2013  febbraio 27 Mercoledì calendario

QUELLI DELLA RIVE GAUCHE


In uno sperduto angolo di foresta nella Repubblica Democratica del Congo, sulla riva settentrionale del fiume Ruo, a 80 chilometri di sentiero dalla pista d’atterraggio più vicina, c’è il centro di ricerca di Wamba, un luogo ben noto a chi si occupa di primatologia. Il centro è stato fondato nel 1974 dal giapponese Takayoshi Kano per studiare i bonobo, Pan paniscus, una specie di grande scimmia diversa da tutte le altre.
Per chi non lo sapesse, il bonobo ha fama di essere il primate che più incarna il motto "fate l’amore non fate la guerra", un personaggio ben più libertino e meno bellicoso del cugino scimpanzé. Gli studi condotti dal biologo olandese-americano Frans de Waal e da altri su popolazioni in cattività documentano la sua sessualità disinvolta e la propensione a stringere legami amichevoli (specie tra le femmine), in contrasto con le lotte per la supremazia (specie fra maschi) e le guerre fra gruppi che si scatenano fra gli scimpanzé. Conoscere il comportamento del bonobo in natura però era più complicato. Takayoshi Kano, dell’Istituto di ricerca sui primati dell’Università di Kyoto, è stato uno dei primi a studiarlo sul campo. Tranne alcune interruzioni, come quella durante le guerre del 1996-2002, le indagini a Wamba proseguono da allora.
Un mattino presto decido di seguire nella foresta Tetsuya Sakamaki, un altro ricercatore dell’Università di Kyoto. Fin da subito assisto a scene inattese, almeno in base all’idea che si ha in genere di questa specie: i bonobo litigano, vanno a caccia di selvaggina, passano ore senza fare sesso. E quello sarebbe l’animale famoso per avere una vita sociale pacifica e lasciva?
Mentre osserviamo un gruppo di bonobo intenti a mangiare i frutti di un albero di boleka (sembrano chicchi d’uva dalla buccia cartacea) Sakamaki identifica ogni individuo per nome. Quella femmina con il sesso gonfio, dice, si chiama Nova. Il suo ultimo parto risale al 2008; il vistoso turgore della zona genitale, che pare un cuscinetto rosa appiccicato al posteriore, segnala che è pronta a riprodursi di nuovo. Quest’altra femmina è Nao, prosegue Sakamaki; è molto anziana, ha un rango elevato. Ha due figlie, la maggiore delle quali fa ancora parte del gruppo. Quella invece è Kiku, anche lei molto anziana, madre di tre maschi; uno dei tre è Nobita, facilmente riconoscibile per la grande taglia, i testicoli neri e le dita mancanti alla mano destra e ai piedi, spiega Sakamaki; le mutilazioni potrebbero essere state inflitte da una trappola, evento non insolito per i bonobo che si ritrovano a vivere vicino all’uomo. Nobita sembrerebbe il maschio alfa del gruppo, nella misura in cui i bonobo riconoscono maschi alfa fra loro.
Seguendo i bonobo entriamo in un boschetto di musanga dove la compagnia si sta rimpinzando di frutti verdi e polposi. All’improvviso scoppia un chiassoso diverbio fra Nobita e un altro maschio, Jiro; Kiku, l’anziana madre di Nobita, accorre a dar manforte al figlio e Jiro, intimidito dai due, si rifugia su un albero, tutto imbronciato. È interessante che Nobita, pur essendo il maschio più grosso del gruppo, si sia fatto aiutare dalla madre, commenta Sakamaki. Persino un maschio adulto come lui, che gode di un’elevata posizione sociale, deve il suo status anche ai meriti della mamma.
Una quarantina di minuti dopo, al levarsi di altre grida, Sakamaki mi indica il motivo della gazzarra: un anomaluro (roditore simile a uno scoiattolo volante) che corre a mettersi in salvo su un albero attorno al quale stanno convergendo vari bonobo. All’avvicinarsi dei bonobo, l’animaletto si lancia nel vuoto e plana via. Poco dopo ne notiamo un secondo, che cerca di nascondersi aggrappato a un altro grande tronco mentre un bonobo di nome Jeudi siede ignaro a pochi metri di distanza. L’anomaluro, dalle orecchie rosa e gli occhi slavati, tiene la propria posizione pazientemente, immobile, senza tradirsi. Un istante dopo, però, altri bonobo lo individuano e lo accerchiano, gridando con fare predatorio. Uno di loro, affannandosi a cercare appigli, comincia ad arrampicarsi, ma l’anomaluro schizza sei metri più su con la facilità di un geco su un muro. Circondato da scimmie assetate di sangue, anche questo piccolo roditore fugge lanciandosi tra i rami e il sottobosco; non vediamo neanche dov’è atterrato, né lo vedono i bonobo. Che bravo, ho pensato.
«Sei stato molto fortunato», mi dice Sakamaki. «È davvero raro vederli cacciare».
Non è neanche mezzogiorno del mio primo giorno a Wamba, e quello che ho visto mi ha già confuso le idee sui bonobo.
I BONOBO CONFONDONO LE IDEE fin da quando giunsero all’attenzione del mondo scientifico. Nel 1927, esaminando il teschio e la pelle di uno strano animale scoperto nell’allora Congo belga che sembrava una femmina adulta di scimpanzé, lo zoologo belga Henh Schouteden definì il teschio "curieusement petit pour une bête de semblables dimensions", curiosamente piccolo per un animale di quelle dimensioni. L’anno dopo lo zoologo tedesco Ernst Schwarz, in visita al museo di Schouteden, misurò quel teschio insieme ad altri due e concluse che sicuramente appartenevano a un diverso tipo di scimpanzé, specifico della sponda meridionale, o sinistra - la rive gauche - del fiume Congo. Schwarz annunciò la sua scoperta in un articolo intitolato appunto "Le chimpanzé de la Rive Gauche du Congo". Fin dall’inizio, quindi, si è creata almeno a livello subliminale un’associazione tra la cultura alternativa del mondo francofono quella degli artisti, scrittori e filosofi della rive gauche parigina, a sud della Senna - e l’originale primate congolese appena identificato. Poco dopo fu accertato che si trattava di una specie a sé stante, battezzata Pan paniscus.
Il bonobo è stato anche etichettato come "scimpanzé nano", benché non sia molto più piccolo dello scimpanzé comune, il già ben noto Pan troglodytes. In confronto allo scimpanzé ha la testa più piccola, il fisico più snello, le zampe più lunghe rispetto al corpo; ma per dimensioni complessive sia le femmine che i maschi adulti rientrano nella stessa fascia di peso delle femmine di scimpanzé e oggi gli studiosi tendono a evitare la definizione di scimpanzé nano; il termine "bonobo" fa capire meglio che l’animale non è la versione in miniatura di un’altra creatura.
Le differenze fra bonobo e scimpanzé sono soprattutto di tipo comportamentale, e quelle più evidenti riguardano il sesso. Sia in cattività che in natura i bonobo praticano un notevole assortimento di attività sessuali. Come afferma de Waal, "mentre gli scimpanzé variano di poco l’atto sessuale, i bonobo si comportano come se avessero letto il Kamasutra, cimentandosi con tutte le posizioni e le variazioni immaginabili". Per esempio si accoppiano nella posizione del missionario, che fra gli scimpanzé è praticamente ignota. Ma questa loro sensualità non si esaurisce nell’accoppiamento. Le variazioni hanno per la maggior parte carattere socio-sessuale, ovvero non implicano il congiungimento fra un maschio e una femmina adulti durante il periodo fertile di lei.
La gamma dei partner comprende adulti dello stesso sesso, un adulto e un giovane di sesso diverso, due giovani insieme; nella gamma delle attività rientrano baci in bocca, sesso orale, carezze manuali dei genitali, sfide a colpi di pene fra maschi, monta fra maschi e sfregamento dei genitali (il cosiddetto sfregamento G-G) fra due femmine in estro che, in un febbrile attacco di cordialità sororale, si strofinano l’una contro l’altra. Di solito queste attività non culminano con l’orgasmo; il loro fine sociale sembra essere la comunicazione, a vari scopi: manifestare simpatia, placare l’eccitazione, scambiarsi saluti, allentare la tensione, stringere legami, sollecitare la condivisione di cibo, riconciliarsi. A questo elenco di benefici si potrebbe aggiungere il puro e semplice piacere e, per i giovani, il gioco educativo. Vario, frequente e spesso disinvolto, il sesso è un lubrificante sociale diffusamente applicato che contribuisce a mantenere affettuosi i rapporti fra i bonobo. Ancora de Waal: "Lo scimpanzé risolve i conflitti sessuali col potere, il bonobo risolve i conflitti di potere col sesso".
Ma la grande differenza tra bonobo e scimpanzé non sta solo nella sensualità, anche se probabilmente è collegata ad altre distinzioni in quanto causa o effetto. Le femmine, non i maschi, detengono le posizioni sociali più elevate, che a quanto pare raggiungono creandosi una rete di contatti amichevoli (per esempio con lo sfregamento G-G) anziché formando alleanze temporanee o battendosi come è d’uso fra i maschi di scimpanzé. Le comunità di bonobo non ingaggiano guerre violente con comunità di bonobo confinanti; di giorno vanno a cercare cibo insieme, spostandosi da una fonte alimentare all’altra in gruppi più stabili e spesso più numerosi che contano anche 15 o 20 individui, e di notte accostano i nidi, verosimilmente per sicurezza reciproca.
La loro dieta, simile per molti versi a quella abituale dello scimpanzé - frutta, foglie, un po’ di proteine animali quando possono - se ne distacca per un elemento vistoso: i bonobo mangiano molte delle piante erbacee abbondanti in tutte le stagioni (grosse canne simili a steli di granturco e tuberi amidacei simili alla maranta) che hanno getti, foglioline e midollo nutrienti, ricchi di proteine e zuccheri. I bonobo, quindi, hanno a disposizione scorte pressoché inesauribili di spuntini affidabili e non conoscono i tempi di magra, la fame e le lotte per il cibo degli scimpanzé. E può darsi che questo abbia avuto importanti conseguenze a livello evolutivo.
C’è però un tratto che accomuna bonobo e scimpanzé: sono i parenti più stretti di Homo sapiens tuttora viventi. Circa 7 milioni di anni fa, nelle foreste dell’Africa equatoriale, viveva una protoscimmia, la nostra antenata comune. Poi la nostra linea evolutiva si distaccò dalla loro, e 900.000 anni fa diversero anche le due specie. Non si sa se l’ultimo loro antenato comune somigliasse a uno scimpanzé o a un bonobo nell’anatomia e nel comportamento; ma risolvere questa incertezza potrebbe svelare qualcosa anche sulle origini del genere umano. Discendiamo da una lunga schiatta di primati pacifici, amanti del sesso e matriarcali, o il nostro retaggio naturale parla di guerre, infanticidi e dominanza maschile?
E poi, che è successo nella storia evolutiva che ha fatto di Pan paniscus una creatura più unica che rara?
RICHARD WRANGHAM ha una sua ipotesi. L’illustre bioantropologo, docente presso il Dipartimento di Biologia dell’evoluzione umana a Harvard, ha studiato per oltre 40 anni i primati in natura. Le sue ricerche sugli scimpanzé iniziano con gli studi per il dottorato compiuti in Tanzania, nel Parco nazionale di Gombe, nei primi anni Settanta, e continuano a tutt’oggi in Uganda, nel Parco nazionale di Kibale. Wrangham ha trattato il tema delle origini dei bonobo in un articolo del 1993 e di nuovo nel 1996, nel libro Maschi bestiali, scritto a quattro mani con Dale Peterson.
Il punto cruciale della sua ipotesi è che, da un paio di milioni di anni, i gorilla sono assenti dalla riva sinistra del Congo.
Le ragioni di questa assenza non sono certe, ma le conseguenze a livello evolutivo appaiono abbastanza chiare. Sulla riva destra del fiume, dove scimpanzé e gorilla condividevano la foresta, i gorilla mangiavano quello che mangiano tuttora, soprattutto piante erbacee, mentre gli scimpanzé avevano una loro dieta fatta in prevalenza di frutti, foglie e saltuariamente carne. Sulla riva sinistra abitava l’altro animale simile allo scimpanzé, privilegiato dalle circostanze in quanto libero dalla concorrenza del gorilla. «È questa la formula per creare il bonobo», dice Wrangham al telefono dal suo ufficio ad Harvard. Nutrendosi con una ricca dieta da scimpanzé quando era reperibile e con gli alimenti base del gorilla quando non lo era, gli animali della rive gauche fecero una vita più equilibrata, senza essere costretti a dividersi in piccoli gruppi precari all’affannosa ricerca di cibo prezioso che non si trova dovunque, tra conflitti e riappacificazioni, come succede spesso agli scimpanzé della riva destra. Questa fatidica differenza nelle strategie di ricerca del cibo ha influito sul comportamento sociale, spiega Wrangham. Nella comunità dei bonobo la relativa stabilità dei gruppi che vanno in cerca di cibo comporta che gli individui vulnerabili possono contare in genere sulla presenza costante di alleati, il che tende a smorzare risse e lotte per il predominio. «Nello specifico», aggiunge, «le femmine hanno non solo i maschi ma anche altre femmine che le proteggono da chi vorrebbe prevaricarle».
La stabilità del gruppo di ricerca del cibo, commenta Wrangham, influisce anche sui ritmi sessuali delle femmine. Queste, a differenza delle femmine di scimpanzé, non sono obbligate dalle circostanze a presentarsi ogni volta particolarmente attraenti e pronte ad accoppiarsi con qualsiasi maschio in un arco di tempo ristretto. «Il bonobo», dice Wrangham, vivendo in un gruppo più grande e stabile, «può permettersi di avere un lungo periodo di turgore sessuale». La femmina non deve attirare branchi di maschi assatanati in brevi intervalli di tempo: è sempre pronta, sempre attraente. «Fra i maschi questo fatto riduce di molto l’importanza della competizione per la supremazia e delle prepotenze sulle femmine». Secondo l’ipotesi di Wrangham, dunque, la famosa amicizia e sensualità della vita sociale dei bonobo ha un’origine inattesa: la disponibilità di cibo da gorilla che nessun gorilla consuma.
E perché i gorilla sono assenti dalla riva sinistra? Wrangham ha abbozzato uno scenario teorico ma, dice, plausibile. A quanto sembra, in un momento successivo a 2,5 milioni di anni fa l’Africa centrale subì un forte inaridimento e la vegetazione erbacea delle pianure equatoriali - habitat del gorilla - avvizzì su entrambe le sponde del Congo. Gli scimpanzé sopravvissero grazie ai frutti delle foreste fluviali, mentre i gorilla della riva destra dovettero rifugiarsi ad altitudini elevate, per esempio sui vulcani Virunga, nel nord-est del bacino idrografico, e sui monti Crystal, a ovest. Sulla riva sinistra, invece, non c’erano alture analoghe su cui riparare; il territorio è piatto. Pertanto, se quella sponda era abitata da gorilla, può darsi che la siccità del Pleistocene li abbia sterminati.
IL COMPORTAMENTO DEI BONOBO spicca fra i primati per la sua eccezionalità. E ci sono anche eccezioni alle eccezioni. Per fare un ritratto della specie bisogna scendere nel dettaglio e da questo punto di vista nessuno è stato più pignolo di Gottfried Hohmann e Barbara Fruth, due coniugi ricercatori dell’Istituto Max Planck per l’antropologia evolutiva di Lipsia, che da oltre vent’anni studiano i bonobo in natura. I due hanno cominciato a lavorare nel 1990 a Lomako, una località del Congo settentrionale, effettuando ricerche sul campo finché lo scoppio della guerra, nel 1998, ha fermato tutto per quattro anni. In seguito Hohmann e Fruth hanno fondato un nuovo centro di ricerca più a sud, a Lui Kotale, in un magnifico tratto di foresta alle porte del Parco nazionale di Salonga, dove hanno stretto un patto con la comunità locale: in cambio di un compenso, gli abitanti del posto hanno accettato di non andare a caccia e di non abbattere alberi a Lui Kotale.
Per raggiungere il centro si atterra su un’altra pista erbosa; dopo un’ora di cammino si arriva a un villaggio, si presentano i propri rispetti agli anziani e si prosegue il cammino per altre cinque ore. Attraversato il fiume Lokoro in piroga, si guada un torrente d’acqua scura, si sale a riva e ci si ritrova in un accampamento semplice e ordinato di tende e capannine di paglia, con due pannelli solari per alimentare i computer.
Hohmann è tornato a Lui Kotale da giugno dello scorso anno, felice di poter essere di nuovo nella foresta dopo troppi mesi di lavoro sedentario a Lipsia. Hohmann è un ossuto sessantenne temprato dai rigori della primatologia sul campo; se non mi fossi impegnato per stargli dietro, la camminata sarebbe durata non sei, ma sette ore.
Una mattina, mi sveglio con l’équipe del primo turno, Tim Lewis-Bale e Sonja Trautmann, due giovani volontari con cui arrivo ai nidi dei bonobo alle 5.20. Poco dopo, gli animali assonnati cominciano a dare segni di vita. Prima operazione mattutina: una lunga pipì. Appostati ognuno sotto un albero nido, i due volontari raccolgono l’urina in una foglia; poi con una pipetta la versano in fiale annotando l’identità di ogni animale. Dopodiché partiamo per il nostro inseguimento mattutino.
Pochi studiosi hanno potuto vedere i bonobo nell’atto di predare, e le poche descrizioni esistenti citano in genere piccole prede come gli anomaluri (solo a Wamba) o i cuccioli di cefalofo. Le proteine animali, se e quando i bonobo ne assumono, sembrano provenire soprattutto da insetti e millepiedi. Fruth e Hohmann, però, hanno descritto nove casi di caccia da parte dei bonobo di Lomako; in sette casi la preda era un cefalofo, catturato di solito da un solo bonobo e sventrato vivo: per prime sono state mangiate le interiora e la carne è stata spartita. Di recente, qui a Lui Kotale, i due studiosi hanno assistito ad altre 21 predazioni; otto vittime erano cefalofi, una un galagone e tre erano scimmie. Cibarsi di altri primati, per Hohmann, fa parte della dieta normale dei bonobo.
La sensualità, invece, gli è sembrata meno manifesta di quanto abbiano affermato altri studiosi come de Waal. «Potrei mostrare a Frans certi comportamenti che secondo lui sarebbero impossibili fra i bonobo», dice Hohmann, per esempio i rapporti sessuali infrequenti. Sì, nel repertorio dei bonobo c’è una gran varietà di atti sessuali, ma «la cattività di fatto accentua tutti questi comportamenti. In natura i bonobo si comportano per forza di cose in maniera diversa, perché sono impegnati a procurarsi da vivere, a cercare il cibo».
Fra le altre opinioni diffuse sulle quali lui e Fruth dissentono, Hohmann cita l’idea che la società dei bonobo sia una cordiale sorellanza tenuta insieme dai legami tra le femmine (il legame madre-figlio è considerato almeno altrettanto importante) e l’idea che i bonobo non siano aggressivi fra loro. Le aggressioni saranno anche rare e poco violente, dice, ma questo non ne riduce l’importanza. Si pensi a quanto possa essere subdola l’aggressione fra esseri umani; si pensi al fatto che un’unica violenza, o anche solo una cattiveria, può restare impressa per anni. «A mio parere si possono fare le stesse considerazioni sul comportamento dei bonobo», dice Hohmann. La vita di un bonobo può essere più stressante di quanto non sembri. Tant’è che da uno studio sugli ormoni condotto da Martin Surbeck, suo studente di post-dottorato, cominciano a emergere testimonianze di ansie nascoste.
Analizzando campioni di feci e di urina come quelli raccolti da Lewis-Bale e Trautmann, Surbeck ha rilevato una reiterazione sorprendente: quella dei livelli alti di cortisolo, un ormone legato allo stress, in alcuni bonobo maschi. Il cortisolo era particolarmente alto fra maschi di elevata posizione sociale in presenza di femmine in estro. Che cosa implica questo dato? Che un maschio di rango, in bilico fra scarso machismo (che potrebbe costargli la posizione di cui gode fra i maschi) e machismo eccessivo (che potrebbe costargli l’occasione di accoppiarsi con qualche femmina imperiosa), subisce lo stress della complicata situazione in cui si trova. I bonobo evitano aggressività rozza e violenza, ma non sono spensierati, e ricorrono a comportamenti sociosessuali diversificati e abbastanza frequenti per gestire i conflitti. «È questo che li rende diversi, non il fatto che tra loro regni la pace», conclude Hohmann.
IL BONOBO è classificato come specie a rischio, e pur essendo tutelato dalla legge congolese continua a soffrire per problemi annosi, in primo luogo la perdita dell’habitat e la caccia. Oggi vivono in natura tra i 15 mila e i 20 mila bonobo, una parte dei quali in riserve e parchi nazionali come il parco di Salonga o la riserva faunistica di Lomako-Yokokala. Queste aree "protette" riescono a offrire sicurezza effettiva a bonobo e altri animali selvatici in base alle condizioni presenti sul posto: per esempio, se nella struttura c’è personale di sorveglianza regolarmente assunto, addestrato, pagato e fornito di armi adeguate a fronteggiare il bracconaggio. Il Congo ha risentito pesantemente dei settant’anni di colonizzazione belga, dei successivi trent’anni di cleptocrazia di Mobutu e della guerra che è seguita; il contesto in cui si inseriscono tutte le iniziative ambientaliste è quello del malfunzionamento istituzionale. Fra gli ostaggi di questa situazione c’è il bonobo, specie endemica di questo paese. E se qui non riesce a sopravvivere in natura, non potrà farlo in nessun’altra parte del mondo.
John e Terese Hart, due esperti di conservazione arrivati nel bacino del Congo nei primi anni Settanta, sono convinti che la sopravvivenza del bonobo sia possibile. Gli Hart sono impegnati con alcuni giovani collaboratori locali e vari partner congolesi nel progetto TL2 Conservation Landscape, avviato in una regione del Congo orientale che comprende tre fiumi e che, oltre ai bonobo, ospita elefanti di foresta, okapi e lesula, una strana specie di scimmia scoperta da poco. Nella zona TL2, mi dice John, è tuttora praticata la caccia al bonobo e le carcasse vengono spesso portate al mercato in bicicletta; questo commercio si potrebbe stroncare adibendo a parco una parte della TL2, introducendo norme anti-caccia, un numero minimo di posti di controllo e cercando il sostegno della gente locale. La TL2 ha un potenziale straordinario, ma gli ostacoli sono enormi anche per un uomo esperto e determinato come John Hart.
Raggiungo John e Teresa a Kinshasa, e con loro arrivo in aereo a Kindu, capoluogo di provincia del Congo orientale (e punto di imbarco per la TL2), sulla riva occidentale del fiume Lualaba, limite orientale dell’areale dei bonobo. A Kindu ci viene finalmente autorizzata una piccola spedizione di cinque giorni nella TL2 e così, prima che qualche funzionario cambi idea, partiamo a bordo di una grande piroga. Con noi ci sono due fidati colleghi congolesi degli Hart, un biologo in visita e la nostra scorta militare, composta da colonnello e soldato, entrambi armati di kalashnikov. È presente anche un addetto dell’ufficio immigrazione, incaricato all’ultimo momento di pedinarci; porta scarpe da passeggio e una valigetta con una camicia di ricambio. Staremo fuori una trentina di giorni, e dovrà aiutarci ad ammazzare qualche coccodrillo se vuole mangiare, lo prende in giro John, mentre il fuoribordo si allontana sulle acque del Lualaba portandoci via da Kindu.
Il fiume, 900 metri da sponda a sponda, è piatto e scuro. Nella foschia della stagione secca, il sole al tramonto sembra un grande tuorlo insanguinato. Vedo passare sopra di noi una coppia di avvoltoi delle palme e, a est, uno stormo di pipistrelli frugivori che volteggiano sopra il loro posatoio. La sera diventa presto notte e una falce di luna crescente illumina il fiume di riflessi color seppia. L’aria è rinfrescata, ci mettiamo la giacca. Qualche ora dopo approdiamo in un villaggio sulla riva sinistra che segna l’inizio della nostra spedizione. Sono sicuro, non può che essere la rive gauche: a destra non si vede neanche un bonobo.