Il Post 20/3/2013, 20 marzo 2013
BERLUSCONI È INELEGGIBILE?
Mercoledì 23 marzo il bimestrale MicroMega, diretto da Paolo Flores d’Arcais, ha promosso una manifestazione – definita curiosamente “francescana” sul sito della rivista – “Per la Costituzione e l’ineleggibilità di Berlusconi”: l’iniziativa segue una campagna di raccolta firme per l’applicazione di una legge del 1957 in base alla quale Silvio Berlusconi sarebbe ineleggibile come parlamentare.
La raccolta firme è iniziata il primo marzo 2013 con un appello di MicroMega che ha ricevuto oltre 220 mila adesioni, tra cui quella del giurista Stefano Rodotà, il cui nome è molto circolato negli ultimi giorni come possibile presidente del Consiglio o ministro o addirittura presidente della Repubblica. Oltre alle firme, sulla questione si è creato anche un caso politico nelle ultime settimane, dato che i parlamentari del Movimento 5 Stelle hanno detto che voteranno per l’ineleggibilità e anche qualcuno del PD si è detto possibilista (tra questi Luigi Zanda, neocapogruppo dei democratici al Senato).
Che cosa dice la legge 361 del 1957
La legge in questione è il Decreto del Presidente della Repubblica numero 361 del 1957 [PDF], che contiene le norme per l’elezione della Camera dei Deputati. Il comma 1 dell’articolo 10, l’ultimo che espone le cause di ineleggibilità per i deputati, dice:
Non sono eleggibili inoltre:
1) coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese private risultino vincolati con lo Stato per contratti di opere o di somministrazioni, oppure per concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole entità economica, che importino l’obbligo di adempimenti specifici, l’osservanza di norme generali o particolari protettive del pubblico interesse, alle quali la concessione o la autorizzazione è sottoposta.
In breve: chi è titolare di concessioni pubbliche – “in proprio o in qualità di rappresentante legale di società”, dice la legge – non è eleggibile. Sulla questione, in tempi non sospetti, si era pronunciata anche la Corte costituzionale. Con la sentenza n. 42 dell’11 luglio 1961, la Corte aveva precisato che l’ineleggibilità di chi ha concessioni pubbliche è motivata da un possibile conflitto di interessi, perché i concessionari non darebbero sufficienti garanzie di imparzialità nelle loro funzioni di deputati.
Non c’è dubbio invece che le frequenze televisive, che sono di proprietà dello Stato e che possono essere date in concessione ai privati solo dal 1990 (con la legge Mammì, su cui torniamo tra poco) dopo un lungo periodo di incertezza normativa iniziato cinque anni prima, siano “di notevole entità economica”. In precedenza le uniche emittenti televisive e radiofoniche autorizzate erano quelle statali. Le frequenze sono state assegnate nel 1992 e poi nel 1999. Mediaset, in base a una contestata legge del 1999, paga allo Stato l’1 per cento del suo fatturato (che era di 4,2 miliardi di euro nel 2011) per poter utilizzare le frequenze.
Il punto è se Berlusconi sia ineleggibile in quanto impresario televisivo, una questione che sembra più complessa di come appare, perché già in molte occasioni precedenti la Giunta per le elezioni della Camera si è espressa in suo favore.
La questione legale
Il problema infatti era già emerso al momento della prima candidatura di Silvio Berlusconi alla Camera dei Deputati, nel marzo del 1994, e poi ancora nel 1996 e nel 2001. Già allora c’era stata una campagna per l’ineleggibilità di Berlusconi, con molti degli attuali promotori e sostenuta dall’Espresso, che aveva presentato un ricorso in materia.
Come riporta lo stesso MicroMega, il ricorso del 1994 venne respinto dalla Giunta delle elezioni della Camera, sulla base della seguente interpretazione della legge: Berlusconi non è titolare di concessioni televisive “in nome proprio”, cioè direttamente, in prima persona, né come “rappresentante legale di società”, e dunque la legge del 1957 non si applica.
C’è un particolare interessante a proposito di quella votazione: l’appello di MicroMega dice che l’unico voto contrario fu quello di Luigi Saraceni dell’Ulivo, che faceva effettivamente parte di quella giunta, ma le cronache dell’epoca – che dedicarono al voto solo un trafiletto – dicono che i voti contrari furono 4 e due astenuti, in una seduta peraltro molto poco partecipata (19 componenti su 30).
Ad ogni modo, secondo l’interpretazione del 1994, chi non era eleggibile era Fedele Confalonieri, amministratore e attuale presidente del gruppo Mediaset, mentre Silvio Berlusconi, che era in effetti il proprietario della società dato che ne era il maggior azionista, non aveva problemi di eleggibilità. Allora la Giunta era a maggioranza di centrodestra (come nel 2001) e doveva valutare, oltre al caso di Berlusconi, anche quelli di Cecchi Gori, Dell’Utri, Previti e alcuni altri; nel 1996 invece era a maggioranza di centrosinistra, ma i ricorsi vennero ugualmente respinti.
Le posizioni
La questione dell’ineleggibilità è riemersa molte volte tra il 1994 e oggi, con molte prese di posizione da parte di esponenti del centrosinistra e persino della Lega, quasi sempre contrarie a Berlusconi. Il centrosinistra non ne ha mai fatto un vero strumento di opposizione politica, nonostante in alcune occasioni suoi esponenti molto celebri siano stati molto chiari sulla questione.
Uno dei giudizi che vengono riportati più spesso è quello di Massimo D’Alema, che alla Festa dell’Unità del settembre 2000 a Bologna disse che «Berlusconi concessionario dello Stato era ed è ineleggibile per incompatibilità», aggiungendo che il voto della Giunta nel 1996, con maggioranza del centrosinistra, era stato «una finzione».
Secondo molti infatti, le decisioni della Giunta nel 1994, 1996 e 2001 erano motivate da valutazioni politiche e non tennero realmente conto di quello che stabiliva la legge. L’appello di MicroMega definisce l’interpretazione della Giunta per le elezioni della Camera del 1994 e del 1996 “da azzeccagarbugli”. Porta a supporto di questa opinione un parere dell’ex presidente della Corte Costituzionale Ettore Gallo (morto nel 2001): “ciò che conta è la concreta effettiva presenza dell’interesse privato e personale nei rapporti con lo Stato”. Inoltre, anche la famosa legge Mammì dell’agosto 1990, quella che regolò per la prima volta il sistema radiotelevisivo italiano, stabilisce il principio che anche quando i concessionari privati siano società, devono essere individuabili le persone che le controllano. In altre parole: ai fini delle concessioni televisive, individuare chi sta dietro le società è comunque obbligatorio per legge.
Che cosa succede adesso
Nel caso attuale, Silvio Berlusconi è stato eletto alle ultime elezioni politiche non più alla Camera – dove era stato confermato in tutte le elezioni dal 1994 in poi – ma al Senato. Il problema legale però resta invariato, dato che le norme per l’elezione del Senato [PDF] dicono esplicitamente (all’articolo 5) che i motivi di ineleggibilità sono gli stessi della Camera.
La Giunta per le elezioni del Senato, a cui spetterà probabilmente la decisione sul caso, deve ancora essere formata. Il regolamento del Senato stabilisce che sia composta da 23 senatori, che non sono scelti dai gruppi parlamentari ma dal presidente del Senato, tenendo conto dei rapporti di forza nel parlamento: prima di formarla, quindi, si devono creare i gruppi parlamentari (dato che però la giunta ha diversi compiti che devono essere svolti subito, come prendere atto delle rinunce e nominare i sostituti ne è stata nominata una provvisoria presieduta da Felice Casson del PD). Contro le decisioni delle giunte delle elezioni – ce ne sono due, una per la Camera e una per il Senato – non è possibile presentare ricorsi.
Secondo l’apposito Regolamento della giunta, il ricorso può essere presentato da qualsiasi elettore della regione dove è stato eletto il senatore (curiosità: Berlusconi, capolista in 18 regioni, ha optato per l’elezione in Molise) e deve essere presentato entro 20 giorni dalla proclamazione. MicroMega ha detto che presenterà il ricorso nell’ultimo giorno utile, ai primi di aprile. La Giunta svolge poi le sue indagini e decide sull’eleggibilità del senatore.
Nella prossima giunta ci dovrebbe comunque essere un nutrito gruppo di rappresentanti del Movimento 5 Stelle e del Partito Democratico. I primi hanno detto che voteranno senz’altro contro l’eleggibilità di Berlusconi, mentre Luigi Zanda, neocapogruppo del PD in Senato, ha detto il 19 marzo che lui è per l’ineleggibilità «da sempre» e che se sarà nella Giunta per le elezioni voterà contro Berlusconi, ma ha detto anche che i senatori del PD che comporranno la giunta decideranno «quando sarà il momento».