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 2013  marzo 19 Martedì calendario

L’HOMO SAPIENS HA TRIONFATO PERCHE’ NON ERA RADICAL CHIC

Tante brutte notizie per vegani, vegeta­riani, ambientalisti, anticapitalisti e ani­me belle, e io appena posso so­no sempre lieto di portarle. Perché più si studia l’evoluzio­ne più si scopre che i felici amanti della natura non han­no capito niente. Ce lo dicono gli scienziati, con il loro lin­guaggio pacato e moderato, come quello di Edward O. Wil­son, insigne entomologo, il cui ultimo libro, La conquista so­ciale della Terra (Raffaello Cor­tina Editore, pagg. 372, euro 23,20), stavolta vi racconta non di insetti ma di come Ho­mo Sapiens abbia conquistato il mondo. Soprattutto per mez­zo della socialità, o meglio del­l’«eusocialità», e attenzione: mica rose e fiori. Sfatando, non volendo, una serie di luoghi co­muni radicalchic. Tanto per cominciare col ca­volo che siamo una specie vegetariana come i nostri cugini scimpanzé, dal cui antenato comune ci siamo separati sei milioni di anni fa. I quali cugini per la verità non sono vegeta­riani neppure loro: cacciano scimmie, con tecniche predatorie coordinate e sofisticate, simili alle nostre. Mangiano meno carne di noi, infatti sono meno intelligenti: in altre paro­le per selezione naturale si sono trovati a investire meno nel­lo sviluppo del cervello, che ri­chiedeva un notevole apporto di proteine. Non lo dico perché sono di parte, anzi: sono vegetariano (tran­ne quando una volta al mese vado al Mc Donald’s, il mio ri­storante preferito) ma voi carnivori inca­lliti potete risponde­re a Umberto Veronesi che nep­pure lui sarebbe così intelligen­te se i suoi antenati non avesse­ro mangiato bistecche.
Devono rassegnarsi anche i tanti seguaci del mito del buon selvaggio, l’uomo puro conta­minato dalla civiltà: l’uomo più è primitivo più è guerrafon­daio. In Occidente, al con­trario, stiamo vivendo il più lungo periodo di pace dagli austra­lopitechi a oggi, ma nell’Occi­dente moder­no e capitalista, appunto. Men­tre più si regredisce più è nor­male uccidere: basta leggere la Bibbia, che in tempi geologici, rispetto a tre miliardi di anni di evoluzione della vita, è stata scritta un secondo fa.
Invece le tribù pacifiche so­no poche, e tra l’altro delle più rincoglionite. Tipo gli eschime­si copper e ingalik, i gebusi del­la Nuova Guinea, i semang del­la penisola malese, i sirionò amazzonici, gli yahgan della Terra del Fuoco, i warrau del Venezuela, gli aborigeni della costa occidentale della Tanza­nia. Tra l’altro se andate a spulciarli bene non è nep­pure vero che siano così buoni: i gebusi e gli eschimesi copper avevano un tasso di omicidi al­tissimo, e perfino la mia filippi­na a volte mi fa paura.
Oppure prendete i Maya, che tanto piacciono ai primitivisti alternativi: ritenevano la guerra una parte fondamenta­le della vita quotidiana, se ne incontravi uno più che mo­strarti un calendario ti apriva come un grillino la scatoletta di tonno. E non si salva­no neppure i bud­dhisti: in Giappo­ne tutte le guer­re feudali furono intraprese dal buddhismo, lo yamabushi era il «monaco guerriero». Non c’è bisogno di citare le guerre sante islamiche, le cro­ciate cristiane, gli stermini tra hutu e tutsi e chi più tribù ha più ne metta. Lo stesso Homo Sapiens, d’altra parte, è sa­piens per aver saputo annien­tare tutte le specie riva­li, ultima delle quali l’Homo di Nean­derthal (che, attenzione, non è un nostro ante­nato).
Inoltre gli uomini preistorici e gli ominidi pre-umani erano cacciatori-raccoglitori: prati­camente l’obiettivo di quella cagata del Movimento per la decrescita felice di Nicholas Georgescu-Roegen preso alla lettera da Grillo e dai fanatici del chilometro zero.
Non sentitevi, in ogni caso, una specie animale troppo trionfante: sappiate che le for­miche camminano su questo pianeta da oltre centocinquan­ta milioni di anni, noi da appe­na duecentomila, e abbiamo inventato l’agricoltura da ap­pena diecimila anni (le formi­che tagliafoglie cinquanta mi­lioni di anni prima di noi). Il grande progresso scientifico lo abbiamo ottenuto negli ulti­mi duecento anni, il culmine di una marcia iniziata ben ses­santamila anni fa, quando l’Homo Sapiens se ne andò via dall’Africa. Non tutti, lì ci so­no rimasti gli africani, e ora ci tocca pure aiutarli. Nella lun­ga storia della coscienza so­ciale raccontata da Wilson e durata «milioni di anni di lot­ta all’ultimo sangue», una cosa è certa: il riconoscersi in clan, tribù, gruppi di appartenenza, è fonda­mentale per affermar­si. Come specie ani­mali o come popoli fa poca differenza, dalle api agli scimpanzé agli animali umani conta il lavoro di squadra. Sarà per questo che noi ita­liani siamo messi così male: non ci riconoscia­mo nell’Europa, non nell’Italia, non nei parti­ti politici, e per il lavoro di squadra c’è rimasta so­lo la squadra di calcio. Insomma, dopo duecento­mila anni altro che formiche, faccia­mo ridere i pol­li.