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 2013  marzo 19 Martedì calendario

GRIFFE, INDUSTRIA E BANCHE: IL MIRACOLO ITALIANO E’ L’EVASIONE

Il vero miracolo italiano? Far tornare a casa, o meglio nelle casse dello Stato, i tesoretti evasi o elusi dai big della moda, dell’industria, di Internet e anche del credito. In base a un calcolo a spanne parliamo – minimo – di 4 miliardi di euro. Almeno mettendo in fila i casi più eclatanti finiti sulle cronache giudiziarie e finanziarie dal 2012 a oggi. L’ultimo big della moda su cui si sono accesi i riflettori della Guardia di Finanza è stato Bulgari con l’accusa di avere evaso 3 miliardi dal 2006 a tutto il 2011. Ennesimo caso di nomadismo fiscale che avrebbe consentito, nel caso della griffe di gioielli, di far figurare i margini mondiali di guadagno in Stati diversi dall’Italia e, in particolare, prima in Svizzera, poi in Olanda e infine in Irlanda, vista come “meta finale” della pianificazione fiscale del gruppo.
C’è chi scivola sull’Irlanda e chi sul Lussemburgo. Come la famiglia Marzotto finita nella bufera a novembre per una presunta maxi-evasione fiscale da 65 milioni. Ovvero per la vendita, attraverso una scatola lussemburghese, della celebre maison Valentino al fondo Permira. Anche in questo caso, come per Bulgari, sono scattati i sequestri di quasi cento immobili. Ma la battaglia del fisco non sarà facile: i Marzotto hanno infatti calato il jolly ingaggiando il noto tributarista Victor Uckmar che affianca il team legale già sceso in campo, Niccolò Ghedini e Piero Longo, rispettivamente deputato e senatore del Pdl e storici avvocati di Silvio Berlusconi.
Nel mirino del fisco è finito anche il gruppo Basicnet, cui fanno capo tra gli altri i marchi K-Way, Superga e Robe di Kappa, che ora dovrà restituire 21 milioni di euro in tre anni. A Basicnet era stato contestato, tra il 2006 e il 2009, di servirsi di società straniere in Olanda e Lussemburgo per aggirare il fisco. Pur ritenendo non condivisibile la tesi dell’Agenzia delle Entrate, il gruppo “si è prontamente attivato per valutare una possibile definizione complessiva della vertenza, al fine di prevenire lunghi e onerosi contenziosi e beneficiare del regime premiale di riduzione delle sanzioni amministrative”. Tra le battaglie aperte c’è poi quella di Dolce & Gabbana. Circa due anni fa, il 15 ottobre 2010 – a conclusione di una maxi indagine partita nel 2007 – la Procura di Milano formula un’accusa pesante nei confronti dei due stilisti Domenico Dolce e Stefano Gabbana: truffa ai danni dello Stato ed evasione per circa un miliardo. Dopo che la Cassazione ha fatto decadere il reato di truffa ai danni dello Stato, annullando però il proscioglimento dei due stilisti in relazione al reato di dichiarazione infedele, il processo continua.
A fare i conti col fisco è anche Luxottica, ma non per evasione, per elusione: a gennaio gli stabilimenti dell’azienda bellunese, che è leader mondiale nella produzione di occhiali, sono stati perquisiti dalle Fiamme Gialle di Belluno su mandato della Procura che ha aperto un fascicolo per approfondire soprattutto una questione: se vi sia dell’imponibile sfuggito alla tassazione italiana. Il meccanismo contestato si baserebbe su un uso non corretto del Transfer Pricing (prezzo di trasferimento). Ovvero la determinazione di un “prezzo adeguato al valore” di prodotti venduti a società dello stesso gruppo operanti in Stati diversi. Un prezzo che, se inferiore a quello reale di mercato, si trasforma in una tecnica di elusione fiscale che permette a imprese multinazionali di spostare “volumi imponibili” da un paese a un altro, magari a fiscalità più vantaggiosa, minimizzando così il carico delle imposte nelle transazioni commerciali tra società dello stesso gruppo. Più semplicemente: si pagano le tasse dove è più conveniente. Ne sanno qualcosa i colossi del web come Apple, Google, Amazon, eBay e Facebook con cui i governi europei (compreso quello italiano) stanno combattendo un’aspra battaglia da mesi. In pratica, le attività ufficiali sono state concentrate nelle legislazioni fiscalmente più convenienti, dai classici paradisi off-shore fino in Irlanda, Lussemburgo e Olanda. Lì confluiscono i proventi degli affari conclusi dove sarebbero tenuti a pagare tasse più elevate. Un esempio? In Italia tra il 2002 e il 2006 Google, che vende la propria pubblicità attraverso una holding irlandese, non ha dichiarato al Fisco un reddito imponibile di 240 milioni e non ha versato 96 milioni di Iva.
Non solo moda e Internet tra i furbetti del fisco. Basti pensare all’operazione Brontos, che coinvolge Unicredit: l’istituto di Piazza Cordusio ha già versato all’Agenzia delle Entrate 264,4 milioni di euro, chiudendo la controversia amministrativa, ma l’inchiesta penale è ancora in corso e vede, tra gli indagati, anche l’attuale presidente di Mps Alessandro Profumo con l’accusa di frode fiscale. Secondo l’ipotesi della Procura di Milano, Unicredit e Barclays, tra il 2007 e il 2009 – tramite operazioni di finanza strutturata realizzate attraverso società lussemburghesi riconducibili alla banca inglese – avrebbero evaso il fisco per 245 milioni di euro. A fine settembre la Cassazione ha disposto il dissequestro della somma, dopo l’accordo raggiunto con l’ente guidato da Attilio Befera, mentre gli atti sul processo sono stati trasferiti da Milano a Bologna. Riportando indietro le lancette del procedimento.

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PIU’ SONO RICCHI, MENO PAGANO LE TASSE: IL VERO TALENTO DEI NOSTRI VIP -
Il primo fu Luciano Pavarotti. Era il 1995 e il suo fu un caso di scuola. Il famoso tenore emiliano non aveva fatto niente di diverso o di peggio di ciò che facevano molti altri suoi colleghi in vista: aveva fissato la sua residenza a Montecarlo per fare la cresta sulle tasse. Il fisco, però, rompendo un andazzo consolidato, con lui non chiuse un occhio. Un funzionario integerrimo, Massimo Romano, poi promosso direttore dell’Agenzia delle Entrate, svelò il segreto di Pulcinella e al cantante fu contestata l’evasione. La vicenda fece scalpore perché si inseriva in un momento di ebollizione, quando tra le speranze accese dalla caduta della Prima Repubblica ci fu per cinque minuti anche quella che non solo i lavoratori e i pensionati, ma pure i ricchi e i vip, dai calciatori agli attori, dagli stilisti ai cantanti, potessero cominciare a pagare le tasse, pensate un po’ che pretesa. La vicenda Pavarotti-fisco fece più chiasso di quella di cui molti anni prima era stata protagonista Sophia Loren che per un vecchio debito con l’erario di 112 milioni di lire risalente addirittura agli anni Sessanta si era vista mettere le manette ai polsi. Roba da rotocalco, più di facciata che di sostanza dal punto di vista degli incassi erariali. Con Pavarotti, invece, si ebbe l’illusione che fosse diverso perché il contesto era diverso. Alla fine il bravo tenore versò 5 miliardi di lire all’erario, un quinto di quanto gli avevano chiesto. E non finì lì perché l’effetto più importante della vicenda fu pochi mesi più tardi l’approvazione di una legge che addossava ai vip l’onere della prova: dopo aver scelto come residenza un qualche posto fiscalmente vantaggioso, dovevano dimostrare che ci vivevano davvero almeno per metà anno, altrimenti rischiavano.
A VEDERLA da oggi fu una vittoria di Pirro e le illusioni alimentate appassirono ben presto, inghiottite da una miriade di leggi e leggine pro furbetti, condoni e scudi preparati di lì a poco soprattutto dagli uffici tremontiani e dai governi berlusconiani di cui i vip si avvalsero a mani basse. Oggi sulla testa degli evasori di grido pende la famosa “lista Falciani” di 700 nomi che la Guardia di Finanza ha acquisito in Svizzera, un elenco tuttora segreto da cui ogni tanto spunta qualche nome di spicco. Ma tra impugnazioni e ricorsi da parte dei presunti colpevoli, gli effetti pratici tardano ad arrivare. Nel frattempo il fisco si consola con qualche colpaccio alla Sparafucile, con il vippone di turno pizzicato e sbattuto sui giornali. Tipo i calciatori Maradona e Kakà: dal primo l’erario italiano vorrebbe 40 milioni di euro mentre il secondo ne ha pagati 2. O ancora il comico Luca Laurenti (confiscati 6 appartamenti), la cantante lirica Katia Ricciarelli che ha sanato la sua posizione versando 146 mila euro o lo sciatore Alberto Tomba (circa 5 milioni pagati). Ma è roba che riscalda i cuori ed eccita i giornali rosa, come ai tempi di Sophia Loren, con incassi che però smagriscono assai poco il corpaccione dell’evasione. I dati restano disarmanti: a fronte di un recupero arrivato nel 2012 a 12,6 miliardi di euro, le imposte non versate dai frodatori sono diventate dieci volte più del recuperato, tra i 120 e i 150 miliardi, mentre “l’imponibile è molto più elevato”, come precisa l’ufficio stampa dell’Agenzia delle Entrate.
Il caso Pavarotti e la conseguente legge restrittiva non hanno troncato la moda vip di fissare la residenza all’estero per pagare meno tasse. Se ne avvalgono a iosa società che si collocano in una zona grigia tra evasione ed elusione (vedi pezzo a fianco), ma anche le “persone fisiche”, cioè i signori contribuenti con nome e cognome. Uno dei casi più clamorosi è quello di Gianluigi Aponte, il re delle crociere e degli armatori italiani. Nato e cresciuto a Piano di Sorrento, è diventato una potenza mondiale e con la Msc il capo della seconda compagnia di navigazione del mondo dopo Maersk (434 navi registrate nel 2012), un gruppo che continua ad avere moltissimi interessi soprattutto in Italia. Da anni Aponte, però, ha salutato il suo mare campano e risiede a Ginevra. In Svizzera anche il rocker Vasco Rossi aveva collocato una società di charter a cui secondo il fisco aveva intestato pure il suo yacht Jamaica. Altri, sfruttando una vecchia norma dell’Impero Britannico, hanno scelto Londra. Tra loro il cantante Tiziano Ferro e pure il campione di moto Valentino Rossi che ai giornali dichiarava tranquillo di abitare nella capitale inglese quando tutti sapevano che viveva a Tavullia in provincia di Pesaro. L’Agenzia delle Entrate gli contestò un’evasione di 120 milioni di euro, scontati nel 2008 fino a 35 perché si applicò una legge che permetteva agli evasori di pagare fino al 75 per cento in meno del dovuto a patto che, comprensivi, non puntassero i piedi. E siccome ai grandi frodatori non bastava, dopo le vittoriose elezioni del 2008 Berlusconi elevò fino all’87,5 per cento lo sconto-premio che per decenza solo di recente è stato un po’ limato. C’è da stupirsi se con questi begli esempi evadere resti in Italia lo sport più praticato?