Gianni Barbacetto, il Fatto Quotidiano 19/3/2013, 19 marzo 2013
VENT’ANNI DI INCIUCI PER SALVARE B.
Ineleggibile. Silvio Berlusconi non avrebbe mai dovuto entrare in Parlamento: in forza di una legge, la numero 361 del 1957, che stabilisce appunto l’ineleggibilità di chi è titolare di concessioni statali, come sono quelle televisive. Dal 1957 al 1994 quella legge ha riposato in un cassetto, senza casi concreti a cui applicarla. Da quel cassetto avrebbe dovuto uscire nel momento della “discesa in campo” del signore della Fininvest. Qualcuno ci ha provato a farla applicare, nel 1994 e nel 1996, ma invano. Ora l’ha ripresa un gruppo di intellettuali (Vittorio Cimiotta, Andrea Camilleri, Paolo Flores d’Arcais, Dario Fo, Margherita Hack, Franca Rame, Barbara Spinelli). La rivista MicroMega, diretta da Flores d’Arcais, ha promosso un appello che ha già raccolto 220 mila firme e ha messo in moto il meccanismo dei ricorsi: qualunque elettore del collegio senatoriale per il quale Berlusconi ha optato (il Molise!) potrà chiedere che la giunta delle elezioni del Senato lo dichiari ineleggibile, in quanto concessionario tv. Obiettivo non impossibile, questa volta, vista la disponibilità già annunciata dai senatori del M5s.
E IN PASSATO? Tutta un’altra musica. La storia del tradimento della legge 361 comincia nel 1994, alla prima vittoria di Berlusconi. Alla giunta delle elezioni della Camera arrivano alcuni ricorsi che lo riguardano. Ma niente da fare: il deputato Berlusconi viene proclamato eletto, con un solo voto contrario, quello di Luigi Saraceni, del Pds. Sulla base di un’interpretazione da azzeccagarbugli. L’articolo 10 comma 1 della legge dichiara che non sono eleggibili “coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese private risultino vin-colati con lo Stato per contratti...oppure per concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole entità economica”. Ebbene, la giunta decide che “l’inciso ‘in proprio’ doveva intendersi ‘in nome proprio’, e quindi non applicabile a Berlusconi, atteso che questi non era titolare di concessioni tv in nome proprio”. Ineleggibile dunque sarebbe stato Fedele Confalonieri, presidente della Fininvest, e non il suo proprietario. Un’evidente assurdità, come metterà in rilievo il presidente emerito della Corte costituzionale Ettore Gallo: “Ciò che conta è la concreta effettiva presenza dell’interesse privato e personale nei rapporti con lo Stato”.
Nel 1996, altra elezione, altro tentativo di far applicare la legge. Questa volta vince l’Ulivo, guidato da Romano Prodi. Berlusconi è eletto di nuovo deputato. Nasce un comitato animato da Vittorio Cimiotta (tra i fondatori, nel 1993, del Movimento d’Azione-Giustizia e libertà) e composto da Paolo Sylos Labini, Roberto Borrello, Giuseppe Bozzi, Paolo Flores d’Arcais, Alessandro Galante Garrone, Ettore Gallo, Antonio Giolitti, Vito Laterza, Enzo Marzo, Alessandro Pizzorusso, Aldo Visalberghi. Lo sostiene una campagna di stampa del settimanale l’Espresso. I ricorsi degli elettori sono raccolti e portati davanti alla giunta per le elezioni della Camera. Questa volta la maggioranza è di centrosinistra. In compenso non c’è più Saraceni, perché il suo partito si è ben guardato dal riconfermarlo. La nuova giunta delle elezioni richiama la decisione del 1994 e conferma la sua curiosa interpretazione della legge.
S’INAUGURA una stagione nel segno della Bicamerale, presieduta da Massimo D’Alema, che chiama lo sconfitto Berlusconi a sedersi tra i “padri costituenti”. Alla fine, rovescerà il tavolo e la Bicamerale affonderà. Intanto però riesce a realizzare il “progetto Wave” che porta in Borsa Mediaset e sana la situazione debitoria delle sue aziende. E perfino la legge Mammì, che a partire dal 1990 ha permesso al signore di Arcore di possedere (unico caso nel mondo occidentale) tre reti televisive, conteneva una norma che avrebbe potuto far dichiarare ineleggibile Berlusconi: all’articolo 12, stabiliva la nascita del “Registro nazionale delle imprese radiotv” in cui allineare tutti i concessionari; non solo le società, ma anche (secondo l’articolo 17) “le persone fisiche che detengono o controllano le azioni”. Con buona pace di Confalonieri, la Mammì svelava la presenza di Berlusconi come proprietario della Fininvest prima e come azionista di controllo di Mediaset poi. È invece prevalsa, nel 1994 e nel 1996, un’interpretazione capziosa e tutta politica della legge, in contraddizione perfino con la Mammì. Oggi Cimiotta si è rimesso al lavoro e, sostenuto da MicroMega, sta raccogliendo i ricorsi da presentare alla giunta del Senato. I tempi sono stretti: i ricorsi, provenienti dalla regione in cui risulta eletto, devono essere presentati entro pochi giorni. “Ma abbiamo in mano già sette ricorsi firmati da elettori molisani”, dice soddisfatto Cimiotta, “ed entro il 20 marzo ne consegneremo molti di più”. Il 23, grande festa e manifestazione “francescana” a Roma, a piazza Santi Apostoli, e in molte piazze d’Italia: “Per far finalmente rispettare la legge dello Stato che vieta a Berlusconi l’ingresso in Parlamento”.