Il Sole 24 Ore 19/3/2013, 19 marzo 2013
DOMANDE
& RISPOSTE –
Perché Cipro ha avuto bisogno di un salvataggio?
Cipro è una piccola economia che per qualche anno, prima del 2008, ha beneficiato di alta crescita, bassa disoccupazione e finanze pubbliche sane. Ha quindi resistito piuttosto bene alla crisi finanziaria, subendo una recessione dall’intensità modesta rispetto ad altri paesi. I problemi sono arrivati con la crisi in Grecia: molte banche cipriote erano pesantemente esposte verso le aziende di credito elleniche - i prestiti verso quel paese avevano raggiunto il 160% del pil dell’isola - e hanno quindi subito profonde perdite. Il debito pubblico, nel frattempo diventato elevato, ha impedito i salvataggi di tutte le aziende di credito e reso necessario un prestito da parte della troika.
Perché sono state imposte condizioni che coinvolgono i privati?
L’obiettivo della troika è innanzitutto quello di ridurre l’ammontare del prestito, che appare molto alto rispetto alle dimensioni dell’economia cipriota: 17 miliardi di prestiti, e quindi di debiti, per un’economia con un pil (2011) da 18 miliardi potrebbe risultare insostenibile. Occorreva poi evitare il moral hazard, l’opportunismo, di investitori, risparmiatori e politici. Salvare l’economia dell’isola senza conseguenze per tutti coloro che hanno creato la situazione di crisi, sarebbe stato un incentivo - per tutti, non solo i ciprioti - a ricominciare o a imitare quelle politiche e quelle strategie creditizie. Anche i privati sono dunque stati coinvolti.
Perché proprio i depositi bancari?
La struttura dei bilanci delle banche cipriote impediva ai prestatori di "colpire" in modo efficace altri strumenti finanziari per abbassare l’ammontare del salvataggio. Un prelievo sui depositi, si è pensato, avrebbe permesso di risolvere un altro problema: l’afflusso di capitali russi verso le aziende di credito dell’isola, molto ingente e persino incentivato da misure ad hoc. Si teme che questi capitali siano legati al riciclaggio della mafia russa, anche se non mancano i risparmi della classe media timorosa, visto il passato sovietico del loro paese, da espropri e altre misure simili. Con il prelievo forzoso, questo afflusso viene ora disincentivato. Molto controverso è stato però il coinvolgimento dei piccoli risparmiatori, ai quali difficilmente possono essere imputati comportamenti opportunistici. Anche se i tassi loro offerti dalle banche, al 4,45% - contro l’1,4% della Germania - segnalava comunque l’esistenza di un rischio. Dal punto di vista della distribuzione "geografica", su 68 miliardi di depositi, 43 miliardi fanno capo a residenti a Cipro, la parte restante agli stranieri.
In cosa si distingue il salvataggio di Cipro da altri analoghi interventi?
Il coinvolgimento dei privati, proprio perché risponde all’esigenza generale di evitare il moral hazard, è avvenuto anche altrove. In Grecia sono stati imposti tagli al valore nominale dei titoli di Stato, in Irlanda alle obbligazioni bancarie. In entrambi i paesi sono stati però coinvolti, insieme ai grandi investitori, anche molti piccoli sottoscrittori che hanno subìto perdite sui capitali investiti. In tutti i casi, quindi, lo strumento utilizzato è apparso troppo grezzo rispetto all’obiettivo perseguito.
Ci sono dei rischi per i risparmiatori italiani?
No. I rischi connessi alla crisi di Cipro sono più legati a un eventuale (e molto remoto) effetto panico, che non a un’effettiva esposizione all’economia dell’isola. Come indicato ieri dall’Abi, che ha citato i dati della Banca dei regolamenti internazionali (Bri), l’esposizione delle banche italiane verso Cipro è inferiore a un miliardo di euro. Considerato che il totale degli asset globali italiani è pari a circa 4.194 miliardi (dati Morgan Stanley), Cipro vale circa lo 0,02% degli attivi italiani. Un valore minimo. «Di qui - ha confermato ieri l’Abi - la massima serenità nell’escludere il rischio contagio». Il salvataggio di Nicosia basato su un prelievo forzoso sui depositi bancari da 5,8 miliardi potrebbe rappresentare una minaccia qualora ingenerasse un bank run: i risparmiatori di altri paesi periferici potrebbero essere indotti a correre allo sportello per ritirare i propri risparmi ed evitare trattamenti simili a quello cipriota. Da qui potrebbe scatenarsi un effetto panico. Ci sarebbero insomma risvolti dannosi anche per gli stessi soggetti che all’inizio sono corsi a ritirare i soldi nella convinzione di proteggersi. La corsa agli sportelli, in definitiva, non conviene a nessuno.
Quali tutele hanno i depositanti italiani?
I depositi conservati presso tutte le banche italiane sono protetti dal Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi italiano. Rispetto ad altri fondi attivi nel Vecchio Continente, che garantiscono per somme spesso non superiori a 20mila euro, il Fitd garantisce la quota maggiore di restituzione della liquidità, fino a un massimo di 100mila euro, per ciascun intestatario di conto corrente, entro venti giorni dall’eventuale liquidazione coatta amministrativa.
Perché i titoli bancari ieri hanno subìto il contraccolpo più pesante in Borsa?
I titoli bancari sono il termometro più sensibile degli umori del mercato sull’evoluzione della crisi finanziaria. Il fatto che i titoli del credito siano i più grandi detentori di titoli di Stato li rende vulnerabili ai saliscendi dei bond stessi, e più in generale, alle prospettive di tenuta della moneta unica. A ogni minimo scossone della crisi dell’Eurodebito - che provoca uno smottamento dei prezzi dei titoli di Stato periferici (BTp e Bonos in primis) - le banche incassano il colpo. Così è accaduto anche ieri. Il pesante calo dei titoli bancari - che ieri hanno perso l’1,47% a livello europeo, distinguendosi come il comparto peggiore - ha trascinato al ribasso tutte le borse europee. Tuttavia il fatto che i cali si siano progressivamente ridotti nel corso della giornata dimostra quanto la reazione di ieri sia stata secondo molti osservatori eccessiva.
Quali potrebbero essere le reazioni future dei mercati?
Nessuno, ovviamente, può dirlo. Tuttavia la progressiva riduzione dei cali nella seduta di ieri potrebbe segnalare un eccesso di reazione nelle prime battute. I rischi di un eventuale contagio sono del resto più contenuti rispetto al biennio 2010-12. La rete di sicurezza attuata in questi anni, seppur tra le difficoltà, sta funzionando. Anzitutto le banche delle periferia europea sono più capitalizzate rispetto al passato, soprattutto nei paesi più fragili come Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna, che oggi sono, in varie forme, sotto la tutela della Troika. In secondo luogo, Mario Draghi con il suo «pronti a tutto per salvare l’euro» (e al varo del programma Omt) ha garantito la stabilità finanziaria dell’area euro. Terzo: i rischi di un’esplosione dell’euro sono molto più ridotti dopo la decisione, maturata lo scorso anno, di mantenere la Grecia nell’Eurozona. Le fiammate sono possibili, come dimostra il ritorno dell’allarme sullo spread italiano legato allo stallo politico, ma la tenuta dell’Euro non è in discussione.
Esistono strumenti ideali per proteggersi da questa fase?
In fasi di incertezza, a ritornare in auge sono teoricamente i beni rifugio. Tuttavia, e questo dovrebbe rassicurare gli investitori, persino il Bund tedesco ieri ha visto salire il rendimento. È la conferma che il mercato non sta scontando alcuna drammatica conseguenza sul futuro dell’Eurozona.