Filippo Facci, Libero 19/3/2013, 19 marzo 2013
PERFINO TRAVAGLIO SCOPRE CHE TIRA UNA BRUTTA ARIA
A forza di evocare il 1993 ci siamo finalmente arrivati: è il momento più terribile degli ultimi vent’anni (civilmente, economicamente, politicamente) ma ogni segno di malattia viene scambiato per un eccitante sintomo di guarigione. C’è una forza politica che ha preso milioni di voti e che ha vinto le penultime elezioni (si chiama Pdl) ma che tuttavia è oggetto di un apartheid cultural-politico che la emargina dal dibattito e dalla sua rappresentazione. Le consultazioni con le altre forze politiche non la vedono penalizzata: la vedono esclusa. Il Partito Democratico, che pure ha preso solo una manciata di voti in più, preferisce interloquire con una forza politica che a sua volta lo rifiuta e lo deride (si chiama Movimento Cinque Stelle) e cerca punti di convergenza semplicemente impensabili per formare un governo purchéssia. In pratica: se il Pd non trova un’intesa coi grillini - e non la trova - non ne cerca altre, e punta a prendersi anche le cariche istituzionali che di norma vengono concordate.
È in questo clima che il Partito Democratico ha deciso di non concordare alcunché: non col Pdl, ritenuto «impresentabile»; una definizione, questa, che durante le elezioni ha già condizionato le candidature di chi ne aveva magari facoltà e però è stato escluso in base a sondaggi che, a loro volta, derivavano dallo stesso clima civile e mediatico che si continua a respirare.
Lo stesso clima in cui un’intervistatrice di dubbia presentabilità come Lucia Annunziata - la Rosy Bindi del giornalismo - si è permessa di dare dell’«impresentabile» ad Angelino Alfano e non è chiaro in effetti da quale pulpito. Che il Pdl abbia motivi di impresentabilità, da queste parti, lo abbiamo scritto centomila volte: ma a parte che Libero non è la Rai (quindi non è servizio pubblico, non viene pagato un canone) va rilevato che la stessa Rai e certi giornalisti, soprattutto, non fanno che risentire dell’aria che tira.
Ecco: l’aria che tira è quella in cui le vicende processuali di Silvio Berlusconi (che in pratica è il Pdl) vengono snobbate e liquidate al di là del vittimismo innegabile di quest’ultimo. Il balletto delle visite fiscali a suo carico, sconcertante al di là di ogni faziosità, è stato sostanzialmente liquidato al pari del diritto di una forza politica di manifestare in tema di giustizia e processo penale. Su qualsivoglia dibattito, che avesse redistribuito torti e ragioni, è passato uno schiacciasassi politico-mediatico che tende a dividere il ruolo della magistratura dai problemi del Paese, dunque a escludere che la stessa magistratura ne faccia parte. Persino il governo Monti, pur senza citare la politicizzazione di parte della magistratura, aveva annoverato la giustizia italiana tra le cause che danneggiano l’economia e che scoraggiano gli investimenti: eppure il Pd, nei suoi famosi otto punti in cui ha cercato un’improbabile convergenza col Movimento Cinque Stelle, non ha menzionato il processo penale ma solo il «conflitto d’interesse» mirante a disinnescare Silvio Berlusconi e ad ammiccare ai grillini.
Ma l’aria che tira è questa, ed è la stessa in cui un’altra giornalista di noto equilibrio come Luisella Costamagna (una che era troppo persino per Santoro) venerdì sera ha potuto dire che il Parlamento ora sarebbe più «pulito» solo perché non c’era più Nicola Cosentino, che proprio in quelle ore si era costituito. Non un cane ha osato ricordare che quelle ai danni di Cosentino restano richieste di custodia cautelare, dunque di carcere preventivo, qualcosa che non avrebbe più senso - dopo anni - perlomeno in relazione ai pericoli di fuga e inquinamento delle prove che le avevano motivate.
Il clima, l’aria che tira: nevica ma ti parlano di primavera, di irresistibile stagione di cambiamento. Dei grillini in Parlamento sappiamo già tutto (basta poco) ma ieri s’è aggiunto il caso demenziale dell’onorevole-cittadina Gessica Rostellato (si scrive così) che ha raccontato di un invito rivoltole in Parlamento da Rosy Bindi: «Presentiamoci, così cominciamo a conoscerci». Risposta della grillina: «Ho tirato dritta e me ne sono andata... ma ti pare che ti do la mano e ti dico pure “piacere”»?. Sarebbe eversivo.
Poi c’è l’ennesimo e incredibile caso Travaglio, un collega che esprime sempre cose significative ma di cui gli sfugge il significato. Ieri, inaspettatamente, si è scagliato contro il popolo del Web e sul suo blog del Fatto Quotidiano l’ha messa addirittura così, prego leggere bene: «È ora di riconoscere che molte volte anche il mitico “popolo del web” è una bella merda». Ha scritto così. E ancora: «Più leggo certi commenti più mi viene voglia di chiuderli e di dare ragione a chi paragona i social network alle pareti dei cessi pubblici.... C’è chi viene qui (sul blog, ndr) solo per insultare... chi viene qui e nemmeno legge quello che scrivo... pretendono che io dia sempre ragione a loro... Altri pretendono addirittura di dirmi quello che devo scrivere, e se non lo faccio subito sono un venduto, un servo eccetera... Altri ancora confondono il parlare di Tizio (bene, o male, o parlarne e basta) con lo sposare Tizio o l’esserne addirittura servi o pagati (ieri ho pubblicizzato un libro distribuito dal Fatto con i ritratti degli eletti del Movimento Cinque Stelle, è bastato ad alcuni decerebrati per scambiare un lavoro giornalistico, senz’averne letta una riga, per un manifesto propagandistico... ».
Il commento è troppo facile. Travaglio pensa che il popolo che finge di scoprire (solo adesso) non sia lo stesso popolo che ha sempre sorretto lui, i suoi monologhi, i suoi cartafacci giudiziari, i suoi mitici Di Pietro-Ingroia-Grillo. Travaglio forse pensa che alle varie manifestazioni e ai Vaffa-day e nondimeno nell’urna - a votare Cinque Stelle e dintorni - sia andato un «popolo del web» affatto diverso da quello che ora perseguita lui e che da molti anni rompe le palle a noi. Una reprimenda tardiva, quella di Travaglio: ma che in fondo fa piacere. Benché sembri, invero, una scissione da se stesso.