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 2013  marzo 17 Domenica calendario

SAVIANO RISCRIVE «GOMORRA» CON LA COCA

A un certo punto, la frase «il secondo libro di Roberto Saviano» è divenuta quasi un ossimoro. Il successore di Gomorra - bestseller internazionale da milioni di copie uscito nell’ormai lontano 2006 - sembrava destinato a non vedere mai la luce. Le voci nel mondo editoriale parlavano di inizi inconcludenti, di riscritture faticose, di argomenti difficili da individuare con chiarezza: una caccia a Moby Dick, praticamente. Dopo tutto, l’adagio vuole che il secondo romanzo sia il più difficile per uno scrittore, specie se il primo è stato un successo mondiale e se nel frattempo l’autore è diventato una star televisiva, una personalità conosciuta pure al di fuori dei confini nazionali, anche per il fatto di vivere sotto scorta a causa di minacce mafiose.
Negli ultimi sei anni, Roberto Saviano ha fatto di tutto. Ha fatto politica, intervenendo alle manifestazioni di Libertà e Giustizia contro Berlusconi e scrivendo su Repubblica, sotto la guida attenta e interessata di Ezio Mauro. Pochi giorni fa, per dire, si è speso per sostenere un appello sull’alleanza tra Beppe Grillo e Pier Luigi Bersani. Quindi ci sono stati i programmi con Fabio Fazio. Prima le puntate speciali di Che tempo che fa, poi le prime serate e i record di ascolti: Vieni via con me su RaiTre, Quello che non ho su La7. Milioni di spettatori, ancora politica, ovviamente in chiave antiberlusconiana.
Nel frattempo, il lavoro di scrittore restava al palo. Certo, in questi anni sono usciti alcuni volumi, ma si trattava di ricicli. La bellezza e l’Inferno, una raccolta di racconti e Vieni via con me, la collezione dei monologhi dell’omonima trasmissione. In mezzo, un traumatico cambio di editore. Dopo ruvide polemiche a mezzo stampa con la Mondadori - colpevole di appartenere al Cavaliere - culminate con le reazioni piccate ma sacrosante di Marina Berlusconi, Saviano ha deciso di passare a Feltrinelli. Un editore con l’anima di sinistra, per cui l’autore campano rappresenta un investimento di vitale importanza. Sarà dunque Feltrinelli, il prossimo cinque aprile, a mandare sugli scaffali il secondo libro di Roberto, quello «vero». Si intitola ZeroZeroZero, è un volumone corposo di 448 pagine al prezzo di 18 euro. Sul sito web www.robertosaviano. it un conto alla rovescia informava ieri che all’uscita mancavano 19 giorni, un pugno di ore e qualche minuto. Poi una schermata nera affermava che, dopo la lettura, «non guarderete più il mondo con gli stessi occhi». Repubblica, invece, ha pubblicato un video di Saviano in visita alla stamperia in cui ZeroZeroZero vedrà la luce. Insomma, l’atmosfera d’attesa è quella che precede i grandi eventi, roba da rockstar.
Il contenuto
Ma che cosa c’è dentro questo nuovo libro? Si sa da tempo che l’argomento è la cocaina. Anzi, pareva che dovesse intitolarsi proprio così: Cocaina, come l’opera di Pitigrilli. Ma si diceva anche che sarebbe uscito per un editore americano. Il triplo zero del titolo, in sostanza, è un sinonimo. Indica, si spiega nel libro, un ingrediente necessario a produrre qualsiasi pasta, proprio come la farina. Si tratta della farina di qualità migliore, quella 000, appunto.
In realtà, la coca è soltanto un pretesto. Saviano la utilizza per parlare di ciò che gli interessa di più: le mafie. A tutti gli effetti, siamo di fronte a un Gomorra 2, che però tocca più angoli del globo: dal Messico alla Colombia, dagli Stati Uniti alla Russia, fino all’Italia. Non a caso, i passaggi in cui si parla della droga sono i meno interessanti, quasi superflui. Le prime pagine sono dedicate a spiegarci che tutti fanno uso della polvere bianca, dal vicino di treno o autobus al tassista, dal medico al cameriere, perfino qualche prete. E, sicuramente, molti lettori. Più avanti ne vengono illustrati gli effetti. È un pusher a elencarli, con particolare attenzione all’ambito sessuale. Lo spacciatore cita una sua cliente, tale Butterfly, il cui fidanzato - dopo un periodo di grazia e performance da attore porno - è divenuto quasi impotente.
Ma sono racconti che si possono trovare ovunque, sia su internet che sui giornali o negli opuscoli ministeriali. Nulla di nuovo, niente che giustifichi l’acquisto. ZeroZeroZero si accende in altri punti, cioè quelli in cui si raccontano le vicende dei trafficanti. Come in Gomorra, Saviano non scopre nulla. Però costruisce un bel reportage, completo, dettagliato, a tratti perfino potente. Sembra affascinato dai narcos, ne descrive la ferocia con tratto vivido, sa coinvolgere.
Dice che scrivere di cocaina è come farne uso, fa diventare addicted, dipendenti. Tossici. Leggi una notizia e ne vuoi subito un’altra e un’altra e un’altra. Per la verità, Saviano è un addicted delle storie di boss e questo libro conferma la sua ossessione.
La lezione del boss
La prima parte interessante parla proprio di un boss, di origini italiane. Roberto racconta di essere stato contattato dalla polizia mentre si trovava a New York. Gli agenti volevano che scrivesse di una registrazione fornita da un loro contatto. Sul nastro era incisa la voce di un mafioso, che parlava in una lingua ibrida: un po’ inglese, un po’ italiano, un po’ spagnolo. Si rivolgeva a una platea di aspiranti gangster sudamericani. Li stava istruendo, allo scopo di portare le regole ferree delle famiglie di casa nostra ai criminali latini, forgiando una nuova generazione di belve pericolosissime. Una sorta di Critica della ragion pratica mafiosa, dice il romanziere.
Ma il libro sta ancora carburando. Il bello arriva quando Saviano comincia a narrare del Messico. Sulle prime, fa un po’ ridere sentire una sfilza di nomi come El Indio, El Grande, El Chapo, El Padrino, El Barbas: sembra una caricatura alla messicana di Romanzo Criminale, col Freddo, Er Ricotta e simili. Però poi ci si appassiona. Si leggono con piacere e qualche brivido epopee come quelle degli Zetas, organizzati in milizie che reclutano soldati fra i ragazzini e combattono - oltre a corromperlo - il governo. Bellissima è la storia di Kiki Camarena, agente infiltrato capace - praticamente da solo - di far tremare i capi dei Cartelli della coca. La cronaca della sua morte è terrificante: Saviano descrive con minuzia le torture che il poveretto ha subìto, il modo in cui gli hanno fracassato naso e arcate sopraccigliari, gli elettrodi sui testicoli, persino la violenza sessuale attuata con un bastone arroventato. Parole crude, scene hollywoodiane. Ma funziona.
Interessanti, benché meno suggestive, le analoghe saghe riguardanti la Colombia e il celebre Pablo Escobar o gli zar della coca russi. Saviano salta dall’Africa a Londra agli Stati Uniti per mostrare la rete globale della droga, e finisce ovviamente per rimbalzare in Italia e a Napoli. Il tutto condito da abbondanti dosi di dati, cifre, statistiche e documenti ufficiali. Insomma, un bel compendio di quel che serve sapere sulla polverina. Cose forse già scritte da altri, chi lo sa: alla fine del volume non è presente una bibliografia. In compenso c’è una lunga lista di ringraziamenti, che va da Ilda Boccassini alle fonti straniere, da Ezio Mauro all’amico Fabio Fazio, da Bono Vox a Salman Rushdie, passando per alcune personalità mondadoriane (l’ex direttore Gian Arturo Ferrari, senza citare Mondadori) fino a Daria Bignardi e Adriano Sofri.
Sono abbastanza rari i passaggi in cui Saviano parla di se stesso e della vita sotto scorta. C’è però una piccola rivincita riferita alle polemiche che scoppiarono ai tempi di Vieni via con me. Roberto dice che fu oggetto di raccolte firme contro di lui per aver parlato di mafia al Nord. In realtà aveva detto in tv che la Lega interloquiva con i boss, ma son vicende passate.
Veniamo piuttosto al cuore del libro, a quegli aspetti che lo rendono gemello di Gomorra. L’idea fissa di Saviano è il parallelo fra la criminalità organizzata e il capitalismo. Per spiegare il funzionamento dell’economia, utilizza un elastico. Spiega che si può tenderlo fino alla resistenza massima e quello è il comportamento secondo le regole di concorrenza leale, nei limiti della legge. Oggi, sostiene, l’elastico è necessario tenderlo più che in passato. Ma solo un prodotto consente di sfuggire a questa regola: la coca, appunto.
In Gomorra, Saviano sosteneva che «la logica dell’imprenditoria criminale, il pensiero dei boss coincide col più spinto neo-liberismo». E ancora: «L’ordine è laissez faire, laissez passer. Liberismo totale e assoluto. La teoria è che il mercato si autoregola». ZeroZeroZero non è molto lontano da queste idee. Nel descrivere il «narcocapitalismo», Roberto sfrutta frequentemente il paragone con l’alta finanza. Citiamo una frase che compare nel suo sito web: «L’imprenditore e il manager convergono. Sono i pionieri, gli uomini che creano dal nulla una figura che non esisteva nell’economia del narcotraffico: il broker. Mettono in comunicazione gli angoli del mondo. Istanbul, Atene, Malaga, Madrid, Amsterdam, Zagabria, Cipro, Stati Uniti, Canada, Colombia, Venezuela, Bolivia, Australia, Africa, Milano, Roma, Sicilia, Puglia, Calabria. Creano un moto perpetuo e tessono una rete intricata e fittissima, un garbuglio caotico che solo a uno sguardo più attento rivela l’inafferrabile mobilità della loro merce».
Il capitalismo
Altrove, nel libro, Saviano scrive che se i broker finanziari avessero avuto lo stesso intuito di quelli della coca, probabilmente avrebbero evitato la crisi. In un capitolo dedicato a due boss italiani - Pasquale Locatelli e Roberto Pannunzi - utilizza per descriverne l’attività le stesse parole che si potrebbero usare per descrivere le differenze tra un uomo d’affari del Nord e uno del Sud. Il primo, scrive Saviano, è l’imprenditore che si è fatto da solo, facendo affidamento sulle sue sole forze. L’uomo del Sud è un borghese che vuole andare oltre l’impiego in una azienda pubblica. Sacrosanto, peccato che stia parlando di trafficanti di droga.
Insomma: la sensazione è che lo spaccio su scala mondiale sia una prosecuzione del capitalismo con altri mezzi, una sorta di cuore nero dell’economia mondiale che però è inseparabile da quest’ultima. Non a caso, Saviano si occupa anche delle banche. Dice che molte di esse hanno rapporti con i trafficanti. E la motivazione per cui li intrattengono, par di capire, è che per loro natura sono costrette a tirare sempre di più l’elastico di cui sopra. A un certo punto, valicare il limite della legge è indispensabile (anche se, precisa lo scrittore, la maggior parte delle persone che lavorano negli istituti di credito è onesta). Poi si paga un’ammenda, ci si ripulisce e si riparte come prima.
La relazione fra capitalismo e criminalità organizzata è senz’altro interessante e si spera che - a differenza di quanto avvenne per Gomorra - diventi oggetto di dibattito. Di solito, Saviano non apprezza questo genere di critiche, ma sostenere che il libero mercato sia l’esatto opposto della criminalità forse è opportuno. L’anarco capitalismo non porta per forza al narco capitalismo. Di questi argomenti si è occupato, in un recente romanzo, il bravissimo Walter Siti. In Resistere non serve a niente (Rizzoli, in lizza per lo Strega) racconta di un «colletto bianco» della finanza che ha legami con la mafia. Analizza la commistione fra il libero mercato e le economie criminali. La sua indagine è simile a quella di Saviano, si muovono sulla stessa lunghezza d’onda. Il lavoro di Siti, tuttavia, è decisamente superiore a livello di stile, di trama, di emozioni.
Grande romanzo?
Il libro di Saviano è un corposo reportage, che a tratti presenta lampi di grande scrittura. Ma non è un romanzo. E nemmeno un prodotto giornalistico così particolare da diventare letteratura. È, semplicemente, un bel libro. Un tomo che merita di essere letto e anche discusso. In particolare nella parte finale, laddove Roberto spiega che, secondo lui, la legalizzazione della droga potrebbe essere davvero la soluzione, poiché sconvolgerebbe il meccanismo domanda/ offerta su cui si basa il commercio illegale. Forse, se fosse purgato dei manierismi, della retorica di cui sono gravidi da tempo i libri e gli interventi di Saviano, questo volume sarebbe anche migliore. Alla fine, resta solo una domanda: se ZeroZeroZero non fosse un libro di Roberto Saviano, meriterebbe di essere letto? Crediamo di sì. Non fosse un libro di Saviano, dopo averlo sfogliato, diremmo: interessante, questo ragazzo. Non è bravo come Walter Siti, ma magari un giorno diventerà davvero un grande scrittore. Degno di fama mondiale.