Alessandro Gonzato, Libero 15/3/2013, 15 marzo 2013
PIETRO MASO TORNA LIBERO IL 15 APRILE GRAZIE ALL’INDULTO HA SCONTATO 22 ANNI
Verona Pietro Maso torna in libertà. Dopo aver scontato 22 anni di carcere per l’omicidio dei genitori, l’ex giovane della «Verona bene» - che compì il delitto per impossessarsi dell’eredità - uscirà il prossimo 15 aprile dal carcere milanese di Opera, dove da ottobre 2008 gode del regime di semilibertà: durante il giorno lavora come addetto alle pulizie al Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria e alla sera torna a dormire in cella.
Maso, che a luglio compirà 42 anni, fu condannato dalla Corte d’Assise di Verona per duplice omicidio volontario premeditato pluriaggravato a trent’anni e due mesi di reclusione, pena che fu poi confermata sia in appello che in Cassazione, salvo poi essere ridotta di tre anni grazie all’indulto e di altri 1.800 giorni in virtù della liberazione anticipata. L’assassinio di Antonio Maso e Mariarosa Tessari, 52 e 48 anni, è tutt’ora uno dei più cruenti casi di omicidio familiare della cronaca italiana. Maso, all’epoca ventenne, massacrò i genitori nella notte fra il 17 e il 18 aprile 1991 nella sua villetta di Montechia di Crosara, nell’Est Veronese, a pochi chilometri dalla provincia di Vicenza. I dettagli del piano omicida furono discussi all’interno di un bar del paese qualche minuto prima della strage. Maso era in compagnia di quattro amici. Uno di loro, dopo aver accompagnato il gruppetto con la propria auto sul luogo dove di lì a poco si sarebbe consumato il delitto - attorno alle undici di sera - non se la sentì e si tirò indietro. Giorgio Carbognin, Paolo Cavazza (entrambi diciannovenni) e Damiano Burato (allora ancora diciassettenne) decisero invece di andare fino in fondo. Maso sapeva che a quell’ora i genitori dovevano ancora rientrare a casa. L’avrebbero fatto solo qualche minuto più tardi. Una volta parcheggiata la macchina in garage, il padre, accortosi che mancava la luce, salì in cucina per raggiungere il contatore generale. E lì venne colpito prima dal figlio con un tubo di ferro e poi da Burato con una pentola. Stessa sorte toccò alla signora Maso. Salita al primo piano della villetta per raggiungere il marito, la donna fu percossa con un bloccasterzo da Cavazza e colpita con un’altra pentola da Carbognin.
I coniugi, nonostante il brutale agguato, non morirono sul colpo, ma soltanto una cinquantina di minuti più tardi, dopo che il figlio soffocò la madre infilandole in gola del cotone, chiudendole poi la testa in un sacchetto di plastica, e dopo che Cavazza schiacciò con un piede la gola del papà di Pietro. I quattro agirono indossando delle maschere e delle tute per non macchiarsi di sangue i vestiti. Una volta compiuto il duplice omicidio, Burato e Cavazza tornarono a casa, mentre Maso e Carbognin, per costruirsi un alibi, andarono assieme in due discoteche della zona, dove erano molto conosciuti. Attorno alle 2 di notte, rientrato nell’abitazione dove viveva coi genitori, Maso svegliò i vicini di casa fingendosi impaurito e dicendogli di aver scorto un’ombra salire dalle scale della propria villetta. Toccò così a uno di loro fare la macabra scoperta. Gli investigatori, che all’inizio batterono la pista della rapina finita in tragedia, impiegarono poco per capire cos’era realmente successo. Torchiati dalle forze dell’ordine, Maso e i suoi tre amici confessarono nell’arco di 48 ore.
Durante la carcerazione Maso si è sposato. Lo scorso novembre, senza motivare la sua decisione, aveva deciso di rinunciare alla precedente richiesta di affidamento ai servizi sociali. La villetta degli orrori, teatro del duplice omicidio, è stata venduta da tempo dai parenti. Il sindaco di Montechia di Crosara, Edoardo Pallaro, di Maso oggi non vuole più sentir parlare: «Non è più un nostro concittadino».