Gianluigi Nuzzi, Libero 15/3/2013, 15 marzo 2013
IL PRIMO SCOGLIO: LA BANCA VATICANA
Per capire l’agenda del nuovo Papa, di Francesco, bisognerà attendere ancora. Per capire la misura di questi primi significativi passi: dalla velocità delle votazioni del Conclave alla scelta del nome, dalle prime parole del Pontefice alla rinuncia di certi ornamenti. Bisognerà aspettare la nomina del segretario di Stato, del collaboratore più vicino che Francesco avrà affrontando criticità e gioie del pontificato. Che figura sceglierà: un porporato di raccordo con la Curia, che raccoglie consensi tra chi ha finora guidato i dicasteri e che vedeva in Bertone il proprio punto di riferimento? Oppure andrà a cercare un conoscitore dei Sacri Palazzi ma capace di imporre una frattura con gli ultimi anni segnati dagli scandali? La scelta del segretario di Stato è un evento assai meno mediatico della fumata bianca, della Sistina, dei porporati che convergono sul nuovo Pontefice. Ma è uno snodo nevralgico per immaginare se e in che termini il compromesso vigilerà sui delicati equilibri tra la Chiesa fuori e dentro le mura.
L’altra e ultima carta è quella di un outsider. Un’ipotesi che però pare difficile. Si sta attraversando una fase troppo delicata, i tempi di reazione, l’attesa dei fedeli, i problemi sempre più evidenti riducono le possibilità di un segretario che non ha esperienze di governance. L’esclusione poi degli italiani metterebbe in difficoltà la nutrita pattuglia di porporati italiani, che si troverebbe sotto un giudizio pubblico ancor più palese di quanto emerso dal passo indietro di Benedetto XVI. Così nella pattuglia degli italiani, seppur diversi tra loro, emergono diversi nomi. Piacenza su tutti andrebbe a raccogliere una trasversalità nella comunità italiana: ex bertoniano, incontra consensi da chi era prima vicino a Bertone ma è anche capace di coagulare forze riformiste vicine a Ruini e Bagnasco.
Non bisogna nemmeno dimenticare che il nuovo segretario di Stato dovrà far patrimonio del dossier sugli scandali della Curia redatto dai tre cardinali di Vatileaks e lasciato da Ratzinger al suo successore. Una sorta di testamento morale, che pesa sui primi passi del nuovo pontificato. Trecento pagine che passano in rassegna limiti, scandali, scontri, congiure, interessi, devianze nei Sacri Palazzi. Quale sarà la reazione del Pontefice alla lettura?Visti i passati e numerosi richiami di Bergoglio alla “Méditation sur l’Eglise” di Henri De Lubac, alla condanna della cosiddetta “mondanità spirituale” tra vanità e carrierismo di chi vede magari il cardinalato come luce che brilla, vanto e non missione e servizio, è facile annunciare una imminente e profonda riforma della Curia. Riducendo i dicasteri come si anticipava nelle congregazioni alla vigilia del Conclave, riportando la collegialità al cuore del potere, evitando quei personalismi imputati spesso a Bertone. A proposito di quest’ultimo, bisognerà vedere se e come si esprimerà il suo grado di influenza, se durerà l’asse con l’altro ex segretario di Stato, Angelo Sodano, o se si romperà questa fragile e giovane alleanza. In Curia non bisogna nemmeno dimenticare la presenza discreta ma pesante e ingombrante di Ratzinger, e quella dell’esigua pattuglia di tedeschi che Benedetto XVI aveva portato Oltretevere. Come si muoverà monsignor Georg? Farà da pontiere tra Francesco e il Papa emerito per evitare che l’argentino cada nelle trappole tese dai gattopardi, da chi annuncia grandi cambiamenti perché nulla cambi.
Il primo banco di prova sarà così la finanza. Come si comporterà Francesco rispetto alle filiere di potere che Bertone è riuscito a incardinare nell’apparato? E, soprattutto, quale sarà la linea rispetto al futuro dello Ior, l’Istituto Opere di Religione dove il cardinale vercellese è stato appena riconfermato nella commissione cardinalizia di controllo per altri cinque anni? Insomma, tante questioni aperte che, a scendere, arrivano anche alla gestione quotidiana dell’istituto, che vede oggi nell’ex Banca di Roma Paolo Cipriani il direttore generale assai vicino sempre al segretario di Stato. Le strade potrebbero essere diverse: la riconversione della banca adottando in pieno le misure di trasparenza che voleva Benedetto XVI e che erano state come imposte dagli organi come Moneyval che ancora chiedono l’adozione dei protocolli internazionali. Criteri che andrebbero a impattare su tutti gli organi finanziari della Santa Sede, ridando centralità, per intendersi, a chi ne ha fatto una propria bandiera sino a essere messo in minoranza e risentirne nella salute, come il cardinale Attilio Nicora. Una linea ancora più radicale sarebbe quella di chiudere la banca voluta nel 1942 da Pio XII, andando a trattare convenzioni con i più accreditati istituti di credito europei per tutte le operazioni necessarie. Sarebbe questa una mossa mediatica molto forte - del resto San Francesco non era proprietario di una banca - e avrebbe ricadute imprevedibili sulla gestione degli investimenti, con una oggettiva ammissione di colpa per il passato che diventerebbe insuperabile.
L’altra questione nella governance riguarda certamente l’Apsa, che si occupa della gestione immobiliare, e il governatorato, che si occupa delle spese, degli acquisti, tra forniture e appalti che interessano tutto lo stato Città del Vaticano. Lo scandalo dell’ex segretatario generale monsignor Carlo Maria Viganò diventa un’eredità ingombrante. Anche perché Viganò, lombardo brusco schivo e scaltro, dopo esser stato mandato nunzio apostolico a Washington, ha informato dettagliatamente la comunità dei porporati americani per far capire loro la congiura della quale sarebbe rimasto vittima. Congiura ordita - a suo dire - dopo aver denunciato casi di sprechi e corruzioni al Papa. Congiura tramata da Bertone (indicato a Benedetto XVI anche dall’ex direttore dell’Avvenire Dino Boffo nei suoi scritti al Pontefice di un paio di anni fa) con l’aiuto di laici come il giovane dirigente Rai Marco Simeon (che ha sempre negato). E non è un caso che proprio dalle Americhe siano venute le richieste più pressanti sui leaks vaticani e sulla questione dello Ior, a iniziare dal capitolo della misteriosa fuoriuscita dell’ex presidente Ettore Gotti Tedeschi. Più volte il banchiere aveva chiesto di poter essere sentito, di poter raccontare quanto accaduto, senza ricevere alcuna risposta da organi di guida che vedono fortemente consiglieri di assoluta fiducia di Bertone.
C’è infine forse il capitolo più importante: la capacità del segretario di Stato di dare applicazione alle linee indicate dal Pontefice. Il “polso” politico del gesuita sarà ben diverso dalla guida dogmatica di Ratzinger, che ha lasciato ampi spazi ai suoi più stretti collaboratori. Ma Francesco, ricordando di venire dall’ultimo posto del mondo, promette di portare la “Chiesa poverella” oltre le mura leonine.