Roberto Giardina, ItaliaOggi 16/3/2013, 16 marzo 2013
LA POLITICA? ALLA PORTATA DI TUTTI
È un libro che andrebbe regalato al migliaio scarso di deputati e senatori che ieri hanno aperto la nuova legislatura in Italia: Politik kann man lernen, la politica si può imparare, il saggio di Moritz Küpper arrivato proprio ieri in libreria (Mitteldeutsche Verlag, 472 pagine, 29,95 euro).
L’autore è giornalista alla radio di Colonia, e il libro è la sua tesi di dottorato di ricerca che, per legge, va pubblicata, una cosa seria, come dimostrano i casi dei ministri costretti a dimettersi per averla scopiazzata.
Küpper si chiede se i non addetti ai lavori, diciamo pure i dilettanti, possano riuscire una volta che entrino in politica. Sarebbe il caso dei grillini, per l’appunto, a cui si rimprovera di mancare d’esperienza. In Germania, come in Italia, si diffida dei politici di professione, e si spera sempre in un ministro o un Cancelliere che venga da altre esperienze. «Una diffidenza immotivata», scrive, «perché mai se voliamo o se viaggiamo in treno pretendiamo che il pilota o il macchinista siano dei seri professionisti, e poi vogliamo affidare il nostro paese a un dilettante?»
In economia, nel settore scientifico, in medicina, o perfino nello sport, agiscono uomini e donne che hanno imparato il loro mestiere, che abbiano fatto pratica, e siano, di gradino in gradino, giunti a posti di responsabilità. La politica si può studiare all’università, ma non si può imparare, sostiene un vecchio luogo comune tedesco. «Ma non è vero», ribatte Küpper. I dilettanti, o i tecnici all’italiana, secondo l’autore, di solito falliscono una volta messi alla prova.
«Basta ricordare il caso del professor Paul Kirchhof, giudice costituzionale, esperto tributario, a cui si affidava Frau Merkel nelle elezioni del 2005. Era la sua arma segreta. Il professore proponeva un’aliquota fiscale uguale per tutti che avrebbe anche incrementato il tasso di natalità. Ogni donna mette al mondo 1,3 figli, affermò. Il Cancelliere Schröder commentò di non conoscere nessuna madre che avesse un figlio e un terzo. Lo rese ridicolo, e vinse. Il professore scomparve dalla scena politica, anche se probabilmente aveva ragione lui».
Da bravo tedesco, Küpper ha contato i «dilettanti» scesi in campo da quando esiste la Repubblica federale: dal 1949 a oggi sono appena 250, molto meno che in Italia, dove si è avuta prima l’invasione dei leghisti e delle ammiratrici di Silvio, per finire con l’ondata dei grillini. E un dato sembra contraddire la tesi del saggio: una buona metà, per la precisione 141, ha avuto successo anche in politica.
Basta scorrere i nomi in squadra per capire il perché. Da noi le Minetti, a Bonn e poi a Berlino troviamo una teologa come Uta Ranke-Heinemann, professori come Ralf Dahrendorf e Dagmar Schipanski, un giurista come Roman Herzog, diventato presidente della Repubblica. E decine di alti funzionari ministeriali o sindacalisti.
«Però, chi si è affermato», sostiene Küpper, «non si è fidato della sua professionalità, ma ha cercato di imparare il mestiere di politico. Chi non capisce il funzionamento del meccanismo in cui è entrato, anzi con arroganza rifiuta il sistema, non ha speranza». Li ha intervistati e chiesto di raccontare le loro esperienze: «Ad esempio, Schröder scelse come ministro dell’economia, Werner Müller, che non militava in alcun partito. Ma, mi spiegò, giunto al ministero non cambiò nessuno dei collaboratori che avevano servito per 16 anni sotto la rivale Cdu, neanche l’autista». Lo stesso Schröder e Frau Merkel hanno avuto successo nel rilancio economico del paese pur essendo lui avvocato e lei una laureata in fisica.
A questo punto sorge il dubbio che non valga la pena di tradurre il ponderoso saggio in italiano: i politici tedeschi, di professione oppure no, si possono fidare di uno staff di tecnici e burocrati, efficienti e leali, sotto tutte le bandiere. Servono lo Stato e non il partito che, di volta in volta, trionfa. E i politici non li premiano o li puniscono a seconda della loro tessera di partito, sempre che ne abbiano una.