Luca Pagni, Affari&Finanza, la Repubblica 18/3/2013, 18 marzo 2013
DA SUPER-ATLANTIA A F21 LA FINANZA IN AEROPORTO
Travolti da un improvviso benessere. Si potrebbe spiegare anche in questo modo lo tsunami che si appresta a colpire - e in parte ha già colpito - i più grandi aeroporti italiani. Destinato a sconvolgere governance e rimescolare azionisti di riferimento delle società che gestiscono gli scali in cima alla classifica per numero di passeggeri e di collegamenti. Dal rilancio di Fiumicino al braccio di ferro per il controllo di Malpensa.
Dalla fusione tra Firenze e Pisa alla revisione degli equilibri a Venezia, vecchi e nuovi protagonisti stanno improvvisamente rianimando un business che sembrava in difficoltà, causa recessione e crisi delle compagnie aeree.
Ma cosa è accaduto da produrre tanto fermento? In un contesto di calo dei consumi, di concorrenza tra grandi vettori e compagnie low cost, di turismo in crisi, sul sistema è atterrato, con la fine dell’anno, un insperato aiuto finanziario. Nonché atteso da almeno un decennio: l’aumento delle tariffe aeroportuali, ferme dai primi anni Duemila, a un livello che avvicina gli scali italiani a quanto già pagano i passeggeri in tutta Europa. Tariffe che nel 2005 erano state addirittura abbassate dal governo Berlusconi, nel tentativo di favorire il rilancio di Alitalia da parte della cordata degli imprenditori italiani sostenuti dalla maggioranza di centrodestra.
L’esecutivo Monti, sapendo che l’aumento verrà scaricato dalle compagnie sui passeggeri, ha perlomeno condizionato lo sblocco delle tariffe all’avvio degli investimenti per il rilancio delle infrastrutture, dalla terza pista di Malpensa alle opere necessarie per arrivare al raddoppio dei passeggeri a Fiumicino. Per le società di gestione si tratta di una boccata d’ossigeno che ha provocato nuovi interessi sull’intero settore.
Lo si capisce dai movimenti accaduti in questi primi due mesi dell’anno, all’indomani della decisione dell’esecutivo. A cominciare proprio da Roma. A controllare Adr, la società che gestisce Fiumicino e Ciampino, sarà la nuova compagine che nasce dalla fusione tra Gemina e Atlantia. Per la famiglia Benetton non si tratta solo di una razionalizzazione delle sue controllate, visto che Gemina, un tempo salotto buono della finanza, è oramai una holding che, di fatto, contiene solo lo scalo romano. Ci sono lavori per 12 miliardi da appaltare che dureranno fino al 2044 (2,5 miliardi nei primi 10 anni), per ampliare e rammodernare Fiumicino aumentandone la capacità dagli attuali 35 a circa 100 milioni di passeggeri annui. La fusione - nelle intenzioni dichiarate servirà per mettere a disposizione dello scalo il know-how nelle infrastrutture della concessionaria.
Ma altrove gli scenari sono ben altri e le acque molto più agitate. A cominciare dalla Sea, la società che gestisce Linate e Malpensa. Qui prosegue ormai da oltre un anno il braccio di ferro tra il comune di Milano, socio di controllo con il 50 per cento delle quote e il fondo infrastrutturale F2i, che ha raggiunto il 40 per cento del capitale partecipando alla gare indette sia dell’amministrazione guidata da Giuliano Pisapia che da quella della Provincia di Milano.
Il mese prossimo si andrà al rinnovo dei vertici. Pisapia avrebbe sondato per la presidenza l’ex banchiere Pietro Modiano, ma come direttore generale vorrebbe il presidente uscente, Giuseppe Bononi, un tecnico di area leghista. Sia per la conoscenza del settore in un momento delicato per lo sviluppo di Malpensa sia per tenere aperto un canale politico con il neo-presidente della Lombardia, Roberto Maroni: una collaborazione che dagli aeroporti si allarga necessariamente anche alla buona riuscita dell’Expo.
Una nomina sgradita però a Gamberale. Bonomi si è scontrato a più riprese con gli uomini di F2i, imputando loro di aver fatto di tutto per far saltare la quotazione in Borsa di Sea. E, per tentare un accordo, il sindaco di Milano proporrà al fondo di individuare assieme gli altri nomi per il cda. O che perlomeno che siano graditi a entrambi.
Del resto, il fondo F2i, partecipato dalle principali banche e assicurazioni italiane così come dalla Cassa Depositi Prestiti, è in una posizione di forza contrattuale. Sotto la guida dell’ex boiardo di Stato poi manager di Autostrade spa, Vito Gamberale il fondo F2i ha costruito una posizione di assoluta centralità nel settore degli aeroporti. Prima ha rilevato il controllo di Capodichino dal comune di Napoli, poi ha scalato Sea e con il finire del 2012 è diventato socio di riferimento di Sagat, la società che gestisce Torino Caselle e che tramite la controllata Aeroporti Holding ha una quota di rilievo di Aeroporti di Firenze spa e una di minoranza dello scalo di Bologna. Un vero network che è destinato - secondo i piani del fondo - ad allargarsi non appena se ne presenterà l’occasione.
Il che potrebbe avvenire presto visto quanto sta accadendo in Toscana. I soci di AdF (Aeroporti di Firenze) e Sat Pisa hanno finalmente deciso di avviare le trattative per la fusione delle due società, quotate in Borsa. Enrico Rossi, presidente della regione Toscana, che ha partecipazioni in entrambi i gruppi, ha posto come condizione la fusione per dare il via libera al piano territoriale per la nuova pista di cui Firenze ha bisogno per sviluppare il business. Anche il sindaco Matteo Renzi ha dato il benestare. In questo modo i soci pubblici che controllano il 57 per cento di Sat e il 45 per cento di Adf hanno benedetto l’unione. Anche se il sindaco Marco Filippeschi ha posto le sue condizioni per la fusione tra i due aeroporti. A partire dalla vocazione industriale dei due scali, che deve essere molto netta: Pisa dovrà essere lo scalo dedicato alle compagnie low cost, mentre Firenze deve mantenere la supremazia sui grandi voli internazionali. Una partita in cui giocherà la sua parte anche il fondo F2i, visto che Aeroporti Holding ha il 33,4 per cento di Adf. E che potrebbe rilevare quote di chi non volesse essere più della partita.
E anche se, per il momento, si dice disinteressato, il fondo guidato da Gamberale guarda con attenzione a quanto è appena accaduto e potrebbe accadere in Veneto. Per la sua vocazione turistica (le città d’arte sono tra i pochi settori del turismo italiano a non conoscere crisi), l’aeroporto di Venezia ha tra i più alti potenziali di crescita. Anche la società di gestione Save ha potuto beneficiare a fine anno delle nuove tariffe. E ora può partire con il piano d’investimenti da 600 milioni, di cui almeno 300 entro il 2016, per un ampliamento di 42mila metri quadrati dello scalo da aggiungersi agli attuali 66mila.
Ma anche in laguna c’è fermento tra i soci. Intanto per la comparsa di un nuovo protagonista. Tramite il veicolo San Lazzaro, il fondo Amber Capital che lo gestisce è diventato socio al 15 per cento della società, rilevando la quota messa in vendita per fare cassa dal comune di Venezia. Essendo conosciuto come fondo attivista, c’è da pensare che non si limiterà a raccogliere il successo di un’operazione in cui ha già guadagnato: il pacchetto di titoli è stato acquistato a 6,4 euro e ora l’azione quota a quasi 10 euro. L’intenzione è quella di spingere la società a concentrarsi sul core business aeroportuale, uscendo da quello della gestione degli spazi commerciali e del food&beverage. Ma il destino di Save verrà anche deciso dai futuri rapporti tra la Finint che esprime l’ad Enrico Marchi e il gruppo Generali. Il Leone è al 10 per cento di Finint e controlla il 33 per cento di Agorà che tramite Marco Polo Holding ha il 40 per cento di Save. In caso di cessione, non esclusa, vista la politica di Mario Greco, chi saranno i nuovi soci? Oppure Generali accetterà una contropartita di azioni Save, diventando a sua volta azionista intenzionato a orientare il destino della società?