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 2013  marzo 19 Martedì calendario

CONVERSAZIONI PRIVATE SUI MIGLIORI FILM DELLA NOSTRA VITA


Ad Antonio Monda molti giornalisti invidiano la capacità e il talento di intervistare non chi deve, ma chi vuole. Chiunque voglia. E siccome Monda ha ottimi gusti, si tratta in genere di personaggi straordinari. Ricordo nell’ottobre del 2007 lo stupore di vederlo condurre per mano nella sala dell’Auditorium di Roma una specie di gigante timido, nascosto in un cappotto enorme, Terrence Malick. Un mito del cinema che da un quarto di secolo non concedeva un’intervista, fuggendo lunghi appostamenti davanti a casa degli inviati di mezzo mondo, portato a un incontro col pubblico romano. Tutti a chiedersi, come diavolo l’avranno convinto? L’intervista fu memorabile, come altri meravigliosi incontri col pubblico organizzati da Monda e da Mario Sesti, con Francis Ford Coppola e i fratelli Coen, Martin Scorsese e Terry Gilliam, Arthur Penn e Sidney Lumet, Al Pacino e Sean Connery, tanto per dire. L’iniziativa migliore della festa del cinema di Roma, prima che inspiegabilmente Marco Muller decidesse di chiuderla, fra lo sconforto generale.
Poco male per Monda che vive con un piede a Capri e l’altro a New York, beato lui, e ha continuato a intervistare le menti più brillanti dell’epoca per il piacere suo e dei molti spettatori che affollano il festival letterario dell’isola e gli incontri alla Morgan Library. «Beato lui» è nell’ambiente il secondo nome di Antonio Monda, che in realtà lavora come un matto all’inseguimento dei propri molti talenti, giornalista, scrittore, saggista, professore (alla Nyu), regista, produttore: beato lui. Ora esce per Mondadori una raccolta di alcune interviste, una ventina, a grandi scrittori americani. Il paradiso dei lettori innamorati. Conversazioni con grandi scrittori sui film che amiamo e detestiamo. Titolo e sottotitolo sono assolutamente onesti. Si tratta davvero di libro per lettori innamorati del meglio della letteratura americana contemporanea. Nel bouquet non manca nessuno, da Martin Amis a Philip Roth, da Paul Auster a Don De Lillo, da E. L. Doctorow a Patrick McGrath, da Gay Talese a Jonathan Franzen. L’argomento è il cinema, i cinque film più amati e un paio dei più detestati o sopravvalutati. Un modo divertente e non accademico di affrontare l’affascinante tema del rapporto fra cinema e letteratura. Una relazione relativamente recente, un secolo, e non sempre facile. Jorge Luis Borges sosteneva che un buon romanzo si riconoscesse, fra l’altro, dal fatto di non poterne trarre un film. Roth ha rinnegato sistematicamente tutti i film presi dai suoi libri. Philip Dick, uno degli autori più ignorati da vivi e più saccheggiati dopo la morte da Hollywood, sarebbe probabilmente inorridito alla visione dei film tratti dai suoi racconti. Non sempre a ragione, peraltro. Eppure nella vita degli scrittori del Novecento il cinema ha contato moltissimo. Anni fa chiesi ad Antonio Tabucchi come fosse nata la passione per il Portogallo e lui mi rispose che era grazie alla Dolce vita di Fellini, che aveva visto a vent’anni e gli aveva cambiato la vita. «Ma non c’è niente sul Portogallo», obiettai banalmente. «Sì, ma c’era già tutto sull’Italia e decisi che bisognava scappare da questo paese».
La Dolce vita ha cambiato anche il destino di Gay Telese, ammirato dal genio di Fellini nel «descrivere un inferno mascherandolo da paradiso». È bello scoprire in autori che si amano gli stessi nostri gusti cinematografici, l’amore di Amis per il cinema di Scorsese e Coppola, l’entusiasmo di DeLillo per
The Tree of Life di Malick, la predilezione di Philip Roth per il Macbeth versione Kurosawa (Il trono di sangue) e il Lumet di Un pomeriggio di un giorno da cani, con una delle coppie di attori più perfette nella storia del cinema, Al Pacino e John Cazale. Meno bello, ma consolante è sapere che anche molti scrittori intervistati da Monda non capiscono la ragione del culto religioso da parte dei cinefili per il cinema di Godard e Antonioni. Nulla da dire sui film più citati, in assoluto Toro Scatenato di Scorsese, Il Padrino di Coppola e Viale del Tramonto di Billy Wilder. Qualche rammarico per alcune assenze, fra tutte Luis Buñuel e Roman Polanski. Magari anche Frank Capra. Non manca un bel pezzo di grande cinema italiano, oltre a Fellini, citato anche per La strada e Lo sceicco bianco, figurano De Sica, Visconti e il Bellocchio de I pugni in tasca.
Le domande sono semplici, dirette, nello stile di Monda, che è un grande amante di cinema e letteratura senza i vezzi e i ghirigori insopportabili dei cinéphiles. È una fortuna per uno così essere immigrato ormai da oltre un decennio a New York, dove esiste ancora una vita culturale — della quale Monda è un protagonista — e non quella specie di caricatura rappresentata da noi dai salotti letterari.