Oriana Liso, la Repubblica 19/3/2013, 19 marzo 2013
VENDUTO PER UN PIATTO DI LENTICCHIE PISAPIA SPIEGHI PERCHÉ MI HA CACCIATO
Niente circonlocuzioni. Niente riduzioni del danno. Stefano Boeri si gioca il tutto per tutto e spara ad alzo zero. Non solo sul sindaco di Milano Giuliano Pisapia, che gli ha revocato domenica sera la delega di assessore alla Cultura ma anche, soprattutto, sui vertici del suo partito, il Pd. «Dirigenti appassiti », li definisce, «che mi hanno venduto per un piatto di lenticchie».
Boeri, il sindaco ha assicurato che il suo licenziamento non dipende da motivi personali. Da cosa, allora?
«Non l’ho capito, né l’ho sentito dal sindaco. So soltanto che se i motivi non sono personali, allora sono politici. Mi dica quali sono, perché finora ha usato solo pretesti. Sarebbe più corretto anche per la città, che Pisapia ragionasse con calma sulle ragioni e sugli effetti della sua scelta. Perché sono stato liquidato con una facilità senza precedenti».
Dopo il novembre 2011 – ai tempi del primo scontro duro con il sindaco – si è mai sentito a tempo?
«No, ho solo pensato a moltiplicare i miei sforzi, credevo davvero in una ripartenza. Faccio – anzi, facevo – l’assessore, non lo psicologo: pensavo di dover essere valutato solo sulla base dei risultati del mio lavoro».
Pisapia la accusa di mancanza di spirito di squadra.
«Siamo una giunta, non siamo in gita scolastica. Si lavora assieme, e con alcuni di loro abbiamo sviluppato progetti importanti, ma questo non vuol dire uscire a cena in gruppo. Non per me, almeno. La politica non è questo».
Si è sentito scaricato dai suoi colleghi?
«È un problema che non mi sono posto».
Non solo poco incline a fare squadra: lei è spesso stato dipinto come uno snob, egocentrico, poco concreto nelle operazioni cultuali.
«Cliché. Ma chi ha faticato con me in questi mesi sa bene che sono capace di lavorare solo se in rete e condividendo ogni ruolo, anche i meno esposti».
“Sono stato venduto per un piatto di lenticchie”, ha detto del suo partito. Quale difesa si aspettava?
«Sono stato un assessore tecnico e allo stesso tempo il capolista di un partito con più di 13mila preferenze. Il trattamento che mi hanno riservato è inaccettabile: nessuno della segreteria del partito mi ha chiamato per dirmi che mi stavano liquidando. Dirigenti appassiti hanno preferito il mercimonio dei posti e degli assessorati».
Parla di due neanche quarantenni, però.
«Non è una questione di età: i vertici del partito sono stati eletti quattro anni fa. Il mondo è cambiato, ma loro non se ne sono accorti. Così, davvero, si perde quella forza straordinaria che ha determinato la vittoria del centrosinistra a Milano, perché il movimento arancione era soprattutto il Pd. Il mio partito dovrebbe avere come compito quello di generare idee e visioni: sono stufo dell’enfasi su una partecipazione astratta, che non vuole dire nulla, quando invece dovremmo davvero mettere in pratica la democrazia deliberativa, dando la possibilità ai cittadini di decidere non dopo o forse, ma insieme a chi governa».
Ha sentito qualcuno del partito nazionale?
«Matteo Renzi mi ha mandato un messaggio. E lui è una forza importante del cambiamento di questo Paese».
Ma il suo futuro è ancora nel Pd?
«Sono e resto nel mio partito, il mio sarà un impegno ancora più forte perché le cose cambino. A partire da Milano, che per me era e resta la capitale della sfida nazionale. Per questo credo che il messaggio che stiamo dando con la mia revoca sia confuso e triste e fa male a tutti noi».
Cosa pensa ora di Giuliano Pisapia?
«Aspetto ancora che motivi le sue scelte. Non a me, alla città».