Filippo Ceccarelli, la Repubblica 19/3/2013, 19 marzo 2013
ADDIO ALLO STADIO GRATIS L’ONOREVOLE DOVRÀ PAGARE
FINE della pacchia. Un po’ dispiace metterla giù in questo modo, ma non c’è scampo: da ieri il Coni ha cancellato le specialissime tessere con cui i parlamentari potevano seguire le manifestazioni sportive in tutta Italia. In altre parole: per assistere alla partita, d’ora in poi, i senatori e i deputati dovranno, almeno in teoria, pagarsi il biglietto o l’abbonamento.
Come tutti gli altri cittadini, sempre in teoria. Piccolo, ma significativo omaggio al principio dell’eguaglianza. Astuta, però forse anche indispensabile strizzatina d’occhio al sentimento anti-casta.
Sul timbro fuggevole dell’ambiguità suonano del resto le motivazioni formali con cui il nuovo presidente del Comitato Olimpico, Giovanni Malagò, con una nota assai succinta, ha spiegato che il delicatissimo provvedimento sarebbe stato adottato «al fine di evitare strumentalizzazioni su favori e privilegi riservati» agli onorevoli.
Va da sé che il vero soggetto attorno a cui ruota la faccenda non sono le strumentalizzazioni, ma i privilegi, per giunta istituzionalizzati. Quanto ai favori, già pochi minuti dopo l’annuncio c’era chi osservava che tolte di mezzo le tessere parlamentari, e intercettato il grillismo meta-sportivo, il Coni disporrà di un aumentatissimo numero di biglietti-omaggio da gestire volta per volta, partita dopo partita, per lo più sulla base degli incessanti desideri delle segreterie politiche.
In ogni caso – ed è la tipica consolazione di una società aperta – si vedrà. La tribuna d’onore è infatti la classica vetrina di questi tempi sciaguratelli. O meglio, e di più: si tratta di un «luogo di culto sociale», per non dire di potere o dominio, dove i politici non si recano soltanto per vedere la Roma, la Lazio, l’Inter, il Milan, la Nazionale o altre squadre, ma ne approfittano per farsi anche vedere loro; e riconoscersi l’un l’altro in ambito di relax e in tenuta da weekend, imbacuccati d’inverno, oppure avvolti nei giubbottini di renna nelle mezze stagioni. Ma tutti sempre molto lieti di esserci, con le loro sciarpe dai colori sociali, e tanto più lieti in quanto consapevoli che centinaia di aspiranti agognano quelle gradinate, quelle poltroncine, quei saluti gioviali, quegli scherzi fra pari, quelle consuetudini di ospitalità che a volte prevedono pure un buffet.
Fra tutti gli stadi, l’Olimpico è ovviamente il più sintomatico, per non dire l’unico degno di fantastiche visioni. E uno degli scherzi più belli, raccontano, è di salire in cima alla tribuna e chiamare a gran voce, «Presidenteeee! », oppure «onorevoleeee! », e poi ammirare in basso decine, anzi centinaia di capoccette che si voltano all’unisono, testoline e facce interrogative, speranzose, appagate, disposte a mischiarsi con altri «famosi», attrici sulla cresta dell’onda, finanzieri miliardari, rinomati ginecologi, brillantissimi giornalisti, personaggi della tv e della mondanità.
Il passaggio cruciale si può situare nel momento in cui la vecchia tribuna d’onore è diventata “Tribuna Vip”. Ma adesso tutto questo potrebbe diventare un po’ più difficile, o meno automatico. E tuttavia nel caso, al momento piuttosto improbabile, di una purificazione savonaroliana rimarrà comunque negli annali del costume – vedi Dagospia – la formidabile epopea dei Cafonal di Umberto Pizzi, che tante domeniche ha passato sugli spalti per raffigurare tableaux vivants d’inusitata animazione; e al quale si devono preziose osservazioni sul campo: «Qui la Casta ostenta se stessa. Prima se menano in Parlamento, poi vengono a fa’ gli amici della domenica».
Notava sempre Pizzi che l’incubo dei frequentatori era di finire nelle poltroncine ai lati, lontani dal centro, il sancta sanctorum della visibilità calcistica e vippaiola: «Per un politico ritrovarsi lì significava cadere in disgrazia». E aggiungeva, filosofeggiando: «Quanti ne ho visti!».
Ecco. Per certi versi l’annullamento delle tessere parlamentari potrebbe essere solo l’inizio, il segno o il sintomo, di uno smottamento molto più profondo di quanto di possa oggi immaginare. Non tira più tanta aria di incroci e «comunelle » e i luoghi esclusivi del privilegio postumo assomiglia a gabbie. Forse davvero la pacchia, come si diceva brutalmente, sta per finire. Forse l’onore della tribuna aspetta un riscatto, un senso di vita, un soffio di realtà.