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 2013  marzo 18 Lunedì calendario

SINISTRA IRRESPONSABILE: IL SUO PIANO ESTREMISTA STRONCHERA’ LA RIPRESA

Crescita, lavoro e banche. È su queste leve che biso­gna agire per uscire dalla crisi, lasciata irrisolta per quasi due anni. Mentre l’Europa sta prenden­do finalmente consapevolezza dei suoi errori e sta individuan­do la strategia per uscire dalla cri­si, Pier Luigi Bersani, irresponsa­bile, opportunista, cinico, osses­sionato da Berlusconi, sposta l’asse del Pd verso derive fonda­mentaliste, terzomondiste, giu­stizialiste, antieuropeiste, radi­cal chic, no tav, pauperiste, anticapitaliste. Paradossale che, mentre l’Europa sta trovando la strada giusta, Pier Luigi Bersani va dall’altra parte. A rincorrere Beppe Grillo.
Rompendo gli equilibri, acce­cato dall’antiberlusconismo, Bersani stravolge la natura stessa del Pd e si infila in uno schema senza futuro, senza prospettive, senza popolo. E questa strada, lungi da distruggere Berlusconi (anzi), distrugge l’Italia. Perché dà segnali spaventosi fuori dai nostri confini. Fino a quando, di fronte a questi comportamenti irresponsabili, di fronte a questa ubriacatura di Bersani, lo spread sarà tenuto sotto control­lo dai soliti poteri forti? Abbia­mo davanti un’Europa alle pre­se c­on i suoi errori e con la gestio­ne dei problemi sociali che l’austerità cieca ha provocato. Co­me sempre, le istituzioni euro­pee hanno risposto troppo tardi e troppo poco alla crisi. Al contra­rio, il presidente Berlusconi ha avuto fin dall’inizio le idee chia­re su come reagire alle difficoltà dell’Eurozona. Ora in Europa convergono sulle sue posizioni anche gli altri leader europei, Juncker in testa. Ma andiamo per gradi.
1. Crescita La riunione del Con­siglio europeo del 14 e 15 marzo 2013 si è conclusa con l’impe­gno a promuovere in Europa la competitività, la crescita e l’oc­cupazione, secondo 5 priorità: portare avanti un risanamento di bilancio differenziato e favorevole alla crescita; ripristinare la normale erogazione di prestiti all’economia; promuovere la crescita e la competitività; lotta­re contro la disoccupazione e le conseguenze sociali della crisi; modernizzare la Pubblica Amministrazione. Cinque punti che caratterizzano, da sempre, il programma politico e di gover­no del Popolo della libertà. Il fronte «pro-crescita, basta auste­rità» al Consiglio europeo è stato ampio. Solo una voce fuori dal coro: in barba a tutti, la solita Ger­mania continua a rifiutarsi di adottare stimoli per contribuire a una ripresa interna che sareb­be di aiuto a tutta la zona euro.
Dalle conclusioni del Consiglio europeo emerge come la linea di politica economica fin qui se­guit­a in Europa stia di fatto cam­biando, per convergere sempre di più sulle posizioni da sempre portate avanti dal presidente Berlusconi. Al momento, però, sono solo parole. Altro sarebbe stato se si fosse dato il via libero esplicito alla «golden rule» pro­posta dal governo italiano, vale a dire lo scomputo degli investi­menti pubblici produttivi dal cal­colo del deficit degli Stati. Allo stesso modo, «un consolida­mento di bilancio differenziato e favorevole alla crescita» è un impegno ancora troppo vago. Ben altro tenore avrebbe avuto l’offerta esplicita della possibili­tà di ricollocare l’obiettivo del pareggio di bilancio al 2014, che per l’Italia non dovrebbe avven­i­re come non raggiungimento di un obiettivo ma dovrebbe esse­re pr­oposto dall’Europa come riconoscimento di una forza e affi­dabilità riconquistata, e quindi con un impatto di segno oppo­sto sulle aspettative. Si darebbe, in questo modo, un segnale di una volontà di reazione alla con­giuntura, che non significa allen­tamento di un programma di consolidamento fiscale ma di ca­pa­cità di rimanere fuori dalla spi­rale greca di autodistruzione programmata. Significherebbe evitare una manovra correttiva per 14 miliardi di euro.
Infine, sarebbe stato opportuno porre l’attenzione e chiedere l’implementazione della previ­sione contenuta nel Six Pack, in base alla quale i piani di rientro definiti per gli Stati che supera­no la soglia del 60% nel rapporto debito/Pil devono tener conto dei fattori rilevanti dei singoli Stati e che, a tal fine, nel calcolo del rapporto debito/Pil si com­prenda oltre al debito pubblico, anche quello di famiglie e impre­se, come proposto dal presiden­te Berlusconi. Prendendo in consid­erazione l’indebitamento ag­gregato, l’Italia è seconda solo al­la Germania (pari merito con la Francia). E sarebbe chiamata a uno sforzo di riduzione del debi­to pubblico ridotto almeno alla metà rispetto alle manovre del 3% annuo del Pil per 20 anni attualmente previste.
2. Lavoro L’allarme è stato lan­ciato dalla Banca Centrale Euro­pea nel bollettino di marzo 2013: «È particolarmente impor­tante che i governi affrontino la disoccupazione, in particolare giovanile: sono necessarie ulte­rio­ri riforme dei mercati del lavo­ro per creare nuove opportunità di occupazione nell’Eurozona, promuovendo un’economia di­namica, flessibile e concorren­ziale». Proprio come la stessa Bce aveva già chiesto al governo italiano con la lettera del 5 ago­sto 2011. Una nota maliziosa: alle richieste della Banca centrale del il governo Berlusconi ha ri­sposto con l’articolo 8 del D.L. 138 del 13 agosto 2011 (noto co­me «manovra di agosto») in ma­teria di sostegno alla contratta­zione collettiva di prossimità. Al contrario, il governo Monti ha preferito adottare misure diver­se. Il governo tecnico, infatti, ha prodotto una riforma del merca­to del lavoro che ha avuto come unico effetto quello di inibire la propensione a fare impresa e ad assumere, in piena chiave antici­clica. E del tutto incurante delle richieste della Bce e degli impe­gni presi dal governo Berlusconi con il Consiglio e l’Unione europea. Anche sul fronte del merca­to del lavoro, pertanto, le ricette del presidente Berlusconi erano quelle giuste.
3. Banche È il punto su cui con­centr­a l’attenzione il Fondo Mo­netario Internazionale, secon­do cui permane la turbolenza sui mercati finanziari dell’Euro­zona, in gran parte dovuta alla frammentazione del sistema finanziario e alla debolezza del settore bancario. Lo studio pro­pone anche una soluzione: un si­stema bancario unico europeo con un fondo comune di garan­zia sui depositi, un sistema cen­tralizzato di sorveglianza sugli istituti di credito e una regolamentazione uniforme dei falli­menti bancari. In estrema sinte­si: unione bancaria. Facile a dir­si, ma difficile realizzarla. La Ger­mania, infatti, ha acconsentito a rendere pienamente operativo e funzionante il nuovo supervisore unico bancario (stanti gli ac­cordi attuali dovrebbe essere la Bce), ma non prima di marzo 2014. Questo comporta, tra l’al­tro, l’inoperatività di fatto del Meccanismo Europeo di Stabili­tà, che non potrà intervenire fi­no a quando non entrerà in vigo­re la vigilanza unica. Un cane che si morde la coda.
In Europa, tra i primi a chiedere con forza la rapida realizzazione delle 4 unioni (bancaria, econo­mica, politica e di bilancio), co­me definite dal documento elaborato nel giugno 2012 dai presi­denti Barroso, Van Rompuy, Jun­cker e Draghi, è stato proprio Sil­vio Berlusconi. Anche su questo tema, pertanto, come abbiamo già affermato con riferimento a crescita e lavoro, il presidente del Popolo della libertà ci aveva visto lungo e... aveva ragione!
Ebbene, gli italiani tutto questo lo hanno capito e lo hanno ben chiaro in mente. La lungimiran­za di Berlusconi non ha pari in Europa. Per questo gli italiani lo hanno votato alle ultime elezio­ni. Per questo continuano a so­stenerlo. È la democrazia. Ma tut­to ciò non sembra interessare al Pd, che con protervia e arrogan­za pensa solo all’occupazione dei posti di potere, spostando sempre più a sinistra l’asse del partito. Non è di questo che ha bi­sogno l’Italia. Al nostro paese ser­ve un governo forte, stabile, ca­pace di prendere decisioni che ci consentano di uscire dalla crisi e­di cambiare la politica econo­mica, in Italia come in Europa, nel senso della crescita, del lavo­ro, dell’occupazione vera (e non assistita), di un sistema banca­rio che funzioni e che torni a for­nire credito alle imprese. Non un programma basato sulla de­crescita felice, su ideologie figlie dell’anticapitalismo, che elaborano ricette economiche di tipo depressivo e recessivo, contro le infrastrutture e che godono di si arrendono alla crisi piuttosto che affrontarla. Siamo certi che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, riporterà al centro delle riflessioni di questi giorni il cambio di politica eco­nom­ica a livello europeo e dei bisogni dell’Italia e non le pericolo­se ossessioni allucinate di una parte.