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 2013  marzo 18 Lunedì calendario

BERSANI, ESECUTIVO RADICAL CHIC PER FAR FUORI IL FANTASMA DI RENZI

È un Bersani rinfrancato e di nuovo attivo, quello che riemerge dall’uno­due delle presidenze. Ieri solo la giovane segretaria di un circo­lo Pd, a Brescia durante un incontro pubblico, lo ha fatto rab­buiare quando dal palco gli ha detto chiaro che il partito «ha perso perché non ha saputo ri­spondere alle domande di cambiamento»,e lo ha incalzato sul­l’abolizione del finanziamento pubblico:«Non possiamo conti­nuare a dire “ ni”». Poche ore do­po, il Pd ha messo online sul suo sito una proposta di «supera­mento del finanziamento pub­blico» attraverso «un sistema di piccole contribuzioni private». Bersani, metabolizzato lo choc della debacle, è risalito in sella, e sta già lavorando al «suo» governo. E, soprattutto, alla sua prossima campagna elettorale. È convinto che a questo punto riuscirà ad ottenere un incarico pieno e vuole arriva­re a presentarsi in Parlamento: «Ormai Napolitano è talmente stufo di Monti che è pronto a so­stituirlo subito, anche solo per la normale amministrazione», dice un bersaniano. Per questo Bersani ha voluto ad ogni costo depennare Anna Finocchiaro dalla presidenza del Senato, no­nostante le fortissime resisten­ze nel partito: «Lei - spiega lo stesso interlocutore - era la pe­dina chiave del piano B, quello di D’Alema, che prevedeva un governo istituzionale su cui c’erano già i voti della Lega, per l’esecutivo prima e il Quirinale poi».
Ma Bersani sa anche che otte­nere una maggioranza vera e funzionante, anche se arrivas­sero un po’ di dissidenti grillini e si riconquistassero i voti mon­tiani, è speranza evanescente. Dunque, vuole un «pacchetto di mischia» che gli consenta di arrivare al voto in estate (in si­lenziosa convergenza d’intenti con Berlusconi), da premier, sia pur di minoranza, e da candi­dato. Sbarrando la strada al­l’unica alternativa che lo terrorizza, Matteo Renzi, e schivan­do le primarie, o depotenzian­dole: ieri è rimasto interdetto quando, nell’intervista a Sky, gli è stato chiesto se si sarebbe­ro fatte in caso di voto a giugno: «Vedremo, non saprei, comun­que le abbiamo fatte anche a Na­tale, siamo collaudati».
Si lavora ad una lista di nomi che rappresenti «il meglio della sinistra in cachemire di Repub­blica», come ironizza un Pd ex Margherita. Nomi «capaci di mettere in crisi i grillini, come è successo per Grasso»: Zagrebel­sky, Rodotà, Saviano. Più una spruzzata tecnica d’alto profilo (Saccomanni) più ministri uscenti come Barca, più le indi­spensabili donne. Una lista da cui potrebbe uscire anche il prossimo candidato al Colle, sul quale nel Pd c’è una sola cer­tezza: «Non sarà mai un nome potabile per il Pdl, su questo Bersani vuole andare giù net­to». Tagliando fuori, nei suoi intenti, D’Alema, Amato ma an­che lo stesso Napolitano. Non a caso la risposta alle avance di Alfano è stata secca: «No a scambi indecenti». L’obiettivo è di can­cellare ogni sospetto di inciu­cio, mettere in crisi il mondo grillino, ed arrivare alle elezioni potendoli indicare come i ve­ri «ostacoli al cambiamento», per riprendersi i voti che M5S gli ha scippato a valanga. Un ex Pd rieletto con Monti, Alessan­dro Maran, nota: «Con il 25% dei voti vogliono prendersi le tre prime cariche dello Stato, il governo e anche mandare in ga­lera il capo dell’opposizione. Qualcuno nella Ue potrebbe ini­ziare a preoccuparsi per l’Ita­lia». Bersani sa di dover fare i conti con un profondo malumo­re anche nel partito, dove si sta aprendo anche la conta per i ca­pigruppo: «Il clima è brutto, di guerriglia», confida un dirigen­te. E la preoccupazione per la deriva elettorale è forte: «Rischiamo di arrivare terzi, dopo Berlusconi e Grillo».