Umberto Gentiloni, La Stampa 19/3/2013, 19 marzo 2013
QUANDO CHURCHILL SOGNÒ DI BOMBARDARE ROMA
«Considerare Roma una città aperta è grottesco. Un inganno per fermare le incursioni aeree». Con queste parole si apre il quotidiano londinese «The Daily Telegraph» del 17 agosto 1943, a poche ore dal secondo attacco dell’aviazione alleata sui cieli della capitale.
La seconda guerra mondiale non ammette limiti: si combatte da terra, dal mare e dai cieli. Il destino dei civili dipende dai raid aerei che attraversano il continente europeo. I bunker sono parte della ricerca di difese e protezioni a fronte di armi di distruzione capaci di radere al suolo intere città. Rifugi antiaerei per famiglie in cerca di sicurezze e nascondigli privati, sotterranei di palazzi del potere o cunicoli per proteggere uomini al comando di Paesi in guerra. Non stupisce che Mussolini avesse fatto edificare a Villa Torlonia, all’Eur e sotto Palazzo Venezia i propri rifugi segreti a prova di bomba, al riparo da possibili strategie della controffensiva anglo americana. Winston Churchill aveva fatto riferimento, in un intervento alla Camera dei comuni (30 settembre ’41) a un piano di possibili bombardamenti sulla città di Roma: «Abbiamo il diritto di bombardare Roma quanto ne avevano gli italiani di bombardare Londra lo scorso anno, quando ritenevano che fossimo sull’oro del collasso; e non dovremmo esitare a bombardare Roma al meglio delle nostre capacità, e il più pesantemente possibile, se il corso della guerra facesse risultare opportuna e utile un’azione del genere».
Qualche mese dopo il capo dell’aviazione inglese si era rivolto con un telegramma al primo ministro: «È giunto il momento in cui il bombardamento di Roma si profila essere opportuno ed estremamente utile. Ho fatto perciò preparare un piano per un attacco diurno contro Palazzo Venezia di sei Lancaster con equipaggi particolarmente selezionati. Per quanto possibile, l’attacco dovrebbe limitarsi strettamente a Palazzo Venezia». Churchill approva i piani del Bomber Command e con ironia replica: «Mi piace il progetto, ma cosa resta per la Germania?». Nonostante gli sforzi del pontefice Roma non è un luogo franco, né il suo status di città aperta ha rappresentato un limite invalicabile al dispiegamento delle logiche di guerra. Roma non è mai stata aperta negli anni del conflitto. Altre le sue definizioni che si sovrappongono nella cronologia degli eventi: sacra, fascista, prigioniera, occupata, alleata e finalmente libera. Da qui le tracce che emergono dal passato, nella stratificazione di luoghi e nella costruzione di possibili nascondigli. Sarebbe importante valorizzare il contesto di memorie e situazioni in grado di arricchire conoscenze e consapevolezze. Basta metter piede nel War Cabinet di Churchill a Londra o seguire i percorsi della Topografia del terrore a Berlino per cogliere il nesso tra quelle stanze e il cammino del lungo dopoguerra.