Mattia Feltri, La Stampa 19/3/2013, 19 marzo 2013
L’ULTIMO BUNKER DI MUSSOLINI
In un giorno imprecisato fra la fine del 2010 e l’inizio del 2011, la soprintendente Anna Imponente e l’architetto Carlo Serafini intanto che procedevano i lavori di ripulitura di uno stracolmo e polveroso deposito di sgombro sotto Palazzo Venezia - videro una botola di legno di un metro per un metro.
La soprintendente rimase pensierosa a guardare la botola mentre gli operai lavoravano senza farci caso.
«Ricordavo quel rumore di fondo che percorre il palazzo da sempre, quel brusio di ricordi e dicerie diffuse dagli operai più anziani, e sentite da chi venne prima di loro», dice Anna Imponente. Le voci volevano che in quella zona del palazzo (siamo sotto Palazzetto San Marco) negli ultimi anni del regime di Benito Mussolini si tenessero opere febbrili a cui pochi avevano accesso.
La soprintendente fece aprire la botola e vi si calò insieme con un operaio e l’architetto armati di torce elettriche. Il terzetto dovette prodursi in un piccolo salto e si trovò su una scala di mattoni in fondo alla quale imboccò un breve passaggio con pareti di epoca romana e, dopo il passaggio, entrò in una strano ambiente quadrato, ogni lato costituito da un corridoio diviso da tramezzi per un totale di nove ambienti. «Quando abbiamo visto il cemento armato, è stato tutto chiaro», dice l’architetto Serafini. È il dodicesimo bunker di Roma. L’ultimo bunker di Benito Mussolini. Da allora, la notizia non è mai stata diffusa.
Il 13 luglio del 1943, il comandante in capo della Royal Air Force (Raf) chiese al primo ministro Winston Churchill il permesso di eliminare il Duce. Il piano era di bombardare simultaneamente Palazzo Venezia e villa Torlonia, la residenza privata di Mussolini. Il ministro degli Esteri, Anthony Eden, diede parere negativo dubitando che l’azione avesse molte possibilità di successo e temendo i danni collaterali sui civili e, nel cuore della Città Eterna, sul Colosseo, sui Fori, sul Palatino: la culla d’Europa. In calce Churchill scrisse «I agree», concordo. Evidentemente il Duce sapeva benissimo a quali rischi era esposto: la costruzione del bunker comincia presumibilmente alla fine del 1942 e prosegue fino alla mattina dell’arresto, undici giorni dopo il no di Churchill al piano.
Il bunker che abbiamo visitato ieri mattina è palesemente incompleto. La struttura è finita, il sistema di aerazione funziona perfettamente anche se non si è ancora capito da dove attinga. Nelle pareti grezze ci sono buchi dedicati a un sistema fognario appena abbozzato. L’impianto elettrico è al medesimo stadio. Non c’è pavimentazione. Non c’è traccia di mobilia e, quando venne scoperto, il bunker conteneva scatoloni, gessi appartenuti allo scalone d’accesso, cianfrusaglie accumulate lì nell’immediato dopoguerra, e lì dimenticate come l’esistenza stessa del bunker. Non c’è archivio che ne parli.
«La struttura è solida, probabilmente avrebbe retto, anche se molto dipende dalla potenza di fuoco. Di certo è ben isolato e non c’è umidità», dice l’architetto Serafini. Siamo 15/20 metri sotto il livello del suolo. Le pareti, che poggiano sulle fondamenta di una vecchia torre, in certi punti sono spesse due metri. Lo spazio calpestabile è di 80 metri quadrati, pensati dunque per il solo Duce, al massimo due persone (Claretta Petacci?). Lui non ci ha mai albergato, ma senz’altro ci andò per seguire i lavori. Non si fece in tempo nemmeno a realizzare le vie di fuga: se ne intuiscono due, se tali sono, una diretta al giardino di Palazzetto San Marco e la seconda, purissima ipotesi, diretta all’Altare della Patria (dove c’era un ulteriore bunker) e al cui punto di partenza è stato trovato un mosaico romano. Si tratta di un antico pavimento che sta a un livello appena superiore e si riesce a toccare alzandosi sullepunte: anche il mosaico andrà studiato per decidere che farne. Nel frattempo la soprintendente del Lazio, Anna Imponente, ha deciso che fare del bunker, renderlo visitabile: «Metteremo un impianto di illuminazione adeguato (ora pendono lampadine, ndr) e lo bonificheremo dai chiodi e dai tubi che spuntano. In uno dei locali vorrei uno schermo che proiettasse immagini dell’Istituto Luce, un paio di touch screen. Mi piacerebbe riprodurre il suono delle sirene d’allarme. Il resto resterà così com’è». Se tutto va bene, il bunker sarà vostro dall’autunno.