Vincenzo Campo, il Sole 24 Ore 17/3/13, 19 marzo 2013
SCRITTORI SENZA ETICHETTA
Nella storia editoriale del Novecento vi sono testi e autori – non pochi – che nell’arco di alcuni decenni hanno cambiato più volte editore e così facendo hanno accostato il loro nome a diversi marchi e collane. Lontani dal ricercare giustificazioni storiche, legittimi impedimenti a proseguire sotto la precedente insegna, trasformiamo questo semplice dato in una ludica proposta: proviamo a individuare lo scrittore che, in vita, traduzioni escluse, ha pubblicato col maggior numero di editori, conoscendone di diversi e facendo della sua produzione un catalogo variopinto sotto il segno dello struzzo e del delfino, della civetta e del canguro.
In prima posizione tra le opere «fedifraghe» del Novecento Ossi di seppia, che conta cinque diversi editori. La raccolta di Eugenio Montale è stata infatti pubblicata da Gobetti (1925), Ribet (1928), Carabba (1931), Einaudi (1942), Mondadori (1948). In realtà sarebbero sei se si volesse tener conto dell’edizione pubblicata senza il permesso dell’autore sempre da Carabba nel luglio 1941 in 920 copie numerate (non poche se si pensa che la seconda edizione ne contava 450 più 22 su carta a mano). Questa controversa quarta edizione, antecedente a quella apparsa nella einaudiana collana «Poeti» che contiene l’indicazione «quinta edizione», riportava un singolare elemento: le copie erano tutte timbrate e firmate da Carlo Mariani fu Liborio, notaio in Chianciano.
Montale, però, non vincerebbe altro. Non riesce, ad esempio, ad aggiudicarsi il premio di "autore pluriedito" del Novecento. Escludendo opere su licenza e plaquette quali «l’edizione per nozze» con cinque poesie stampate da Mardersteig con il titolo Satura (1962) o Xenia edita presso la tipografia Bellabarba in cinquanta copie non numerate (1966), il poeta ha conosciuto quattordici editori: ai cinque degli Ossi vanno aggiunti Vallecchi (La casa dei doganieri), Collana di Lugano (Finisterre), Neri Pozza (La bufera e altro - Farfalla di Dinard), Ricciardi (Fuori di casa), All’Insegna del pesce d’oro (coi tanti libri-farfalla da Il colpevole alla Seconda maniera di Marmeladov), Lucini (32 variazioni), Il Saggiatore (Auto da fé), De Donato (Carteggio Svevo-Montale), Rizzoli (Nel nostro tempo).
Quattordici non dà la vittoria. Secondo la bibliografia degli scritti apparsi in volume (redatta con notevole cura da Fabrizio Mugnaini), infatti, Luigi Bartolini annovera ben trentacinque editori ed è capace di passare da marchi noti ed importanti quali Bompiani (Il Molino della carne, 1931) , Vallecchi (L’Orso ed altri amorosi capitoli, 1933), Mondadori (Il ritorno sul Carso, 1934) a sigle presenti soltanto nelle concupiscenze dei nostri amici bibliofili: Edizione del Cavallino (Modì, 1938), Il Campano (Scritti d’eccezione, 1942), ma soprattutto la romana Polin che nel 1946 pubblica Ladri di biciclette. Si impone a tal proposito un piccolo passo indietro: il romanzo di Bartolini ha conosciuto vivo il suo autore tre diversi editori: a Polin si aggiungono infatti Longanesi (1948) e Vallecchi (1954). Bartolini dunque vince da outsider il premio di pluriedito del Novecento. In vero si poteva pensare che la vittoria andasse a Gabriele D’Annunzio, ma la sua complessa storia editoriale, escludendo estratti da riviste, discorsi in tiratura privata, edizioni non autorizzate, conta «soltanto» 23 editori. L’altro grande indiziato – Luigi Pirandello – si ferma a quota 20. Molti di questi, conosciuti nella fase iniziale della sua attività, rimandano a un piccolo gruppo di novelle (Lumachi, Streglio), alla sua minore attività di poeta (Galli, Voghera, Unione Cooperativa editrice), a saggi o scritti teorici (Modes o Carabba).
L’assegnazione del "premio fedeltà" richiede, per la difficoltà nel trovare un autore che nel corso della sua vita abbia conosciuto un solo editore, qualche precisazione. Evitiamo gli autori di un solo libro, ma con qualche scrupolo: Stefano D’Arrigo ha avuto due editori: Scheiwiller per le poesie Codice siciliano (1957) e Mondadori per Horcinus Orca (1975) e il successivo La cima delle nobildonne (1985). Ma I giorni della fera (1960) comparso sul «Menabò» Einaudi è da escludere dal conto? Il più controverso di tutti è il caso Italo Svevo, difficile etichettarlo: alla luce dei diversi rifiuti subiti, va catalogato come un semplice fedele «suo malgrado», oppure è il più importante tra gli autori che hanno pagato per pubblicare?
Non trovando autori del tutto integerrimi, e volendo nomi con un vasto panorama di opere pubblicate, ecco gli autori che hanno tradito di meno: artefici, prima di un lungo e felice matrimonio editoriale, soltanto di brevi amori giovanili, di modeste per quanto poetiche scappatelle. Individuiamo due possibili vincitori. Il primo è Cesare Pavese che ha spezzato la fedeltà einaudiana due sole volte: la prima con Solaria (che nel 1936 pubblica la raccolta Lavorare stanca) e la seconda con la romana Lettere d’oggi che stampa il breve romanzo La spiaggia (1941). Tradimenti ampiamente giustificati da ragioni politiche ed editoriali (nel 1936, ad esempio, Einaudi non aveva una collana di poesia), ma pur sempre "tradimenti". A pari merito con Pavese, Elsa Morante anche lei «fuori di casa» Einaudi due volte: la prima volta con le sue prose d’esordio (Il gioco segreto, Garzanti 1941), la seconda con le poesie Alibi (Longanesi, 1958). A seguire Ennio Flaiano con quattro editori conosciuti in vita: Longanesi (Tempo di uccidere, 1947), Bompiani (Una e una notte, 1959), Einaudi (Un marziano a Roma, 1960), Rizzoli (Il gioco e il massacro, 1970) editore quest’ultimo delle sue opere postume.
Controversa la posizione di Italo Calvino. Fino al 1984, anno in cui, in seguito alla crisi economica dello Struzzo, passa alla Garzanti, Calvino è stato un autore quasi sempre fedele a Einaudi, non però a tal punto monogamo da vincere la sfida con Pavese e Morante. Infatti «lo scoiattolo della penna» conta in vita almeno cinque editori: Einaudi appunto, Sodalizio del libro (La formica argentina, 1958), Franco Maria Ricci (Il castello dei destini incrociati, 1969), Pantarei (una piccola casa di Lugano che pubblica Eremita a Parigi, 1974) e infine Garzanti. Mondadori, inizialmente editore su licenza (nel 1979 pubblica, ad esempio, negli Oscar le Fiabe italiane), diventa l’editore di Calvino solo dopo la sua morte.
Anche in questa individuazione degli autori fedeli registriamo una sorpresa: pensavamo che la vittoria sarebbe andata ad Alberto Moravia, essendo proverbiale il suo sodalizio con Bompiani. In vero Moravia conta altri sei editori: Alpes (anche se la pubblicazione de Gli Indifferenti avvenne col contributo economico dell’autore), Mondadori (Le ambizioni sbagliate, 1935), Darsena (ancora Gli Indifferenti, 1945), Documento (Agostino, 1944), Sellerio (Cosma e i briganti, 1980 ), Pellicanolibri (La tempesta, 1984). Lo sconfitto Moravia si rifà nel l’ultima categoria della nostra ricerca: egli è l’autore presente in più collane dello stesso editore. Naturalemente escludiamo da questo elenco l’esaustività: siamo sicuri che i bibliofili saranno capaci di "scovare" ancora edizioni minime che correggano i nostri dati. Del resto la bibliofilia funziona così e si arricchisce per accumulo di informazioni e dettagli. Per ora abbiamo dato un (speriamo buonno) punto di partenza.