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 2013  marzo 19 Martedì calendario

TUTTI ALL’«ASILO BRIOSCHI»

Con una relazione di Cédric Villani, il brillante e originale matematico francese premiato nel 2010 con la Medaglia Fields, si è concluso nei giorni scorsi il convegno internazionale Mathematics in a complex world, organizzato dal Seminario Matematico e Fisico di Milano in occasione del 150º della fondazione del Politecnico. In un «mondo complesso» come l’attuale, la matematica è chiamata a giocare un ruolo crescente, e Villani lo ha mostrato bene nel suo intervento, spaziando dalle geometrie non euclidee alla meccanica dei gas alle teorie economiche. Non solo. È stata la varietà dei temi trattati al convegno a offrire un’immagine quanto mai efficace della pervasività della matematica. «Il mondo è semplice o complesso?», si è chiesto John Barrow, cercando la risposta nei diversi approcci allo studio del mondo fisico che la matematica oggi consente. Dalla fisica delle particelle elementari alla «Teoria del Tutto».
Dai modelli per lo studio dell’atmosfera alle equazioni differenziali che nelle mani di Maxwell, Boltzmann, Einstein e Schrödinder hanno permesso di formulare le leggi fondamentali della fisica e che, come ha mostrato Peter A. Markowich, in tempi recenti hanno assunto un ruolo crescente nel fornire modelli per le scienze della vita, e le scienze economiche e sociali. La «complessità della società», ha spiegato Ivar Ekeland, si presenta già in relazioni semplici come un contratto tra due parti, in cui una s’impegna ad eseguire un lavoro per l’altra. In cui ognuna sa che l’altra può mentire e barare, e cerca di mettersi in guardia contro tale eventualità. E ancora, la matematica è chiamata a svolgere un ruolo di primo piano nei campi più diversi, sia che si tratti di analisi delle immagini, di image processing, networks, e machine learning, come ha mostrato Andrea L. Bertozzi, o di affrontare le sfide quantitative e qualitative che, ha illustrato Roger Teman, sono associate alla comprensione, descrizione e previsione del tempo e delle variazioni climatiche. Tra le molte iniziative distribuite lungo l’intero anno di celebrazioni, questo convegno ha certo rappresentato uno dei momenti più significativi.
E a buon diritto, perché la matematica ha fornito l’impronta originaria all’Istituto Tecnico Superiore, così si chiamava il Politecnico di Milano nel 1863, al momento della fondazione. Un Istituto fortemente voluto dal matematico Francesco Brioschi, uno dei protagonisti della vita scientifica e politica del nostro Paese, che ne mantenne la direzione per oltre trent’anni, fino alla morte nel 1897.
Tanto da essere scherzosamente denominato nelle cronache del tempo «l’asilo Brioschi». L’idea di fondare a Milano un istituto superiore per la formazione dei tecnici richiesti dallo sviluppo industriale della Lombardia veniva da lontano. Era stata prefigurata fin dal titolo («Il Politecnico») della rivista fondata da Carlo Cattaneo nel 1839. Ed era stata vanamente accarezzata anche dall’arciduca Massimiliano, l’ultimo viceré del Lombardo-Veneto prima che la Seconda guerra d’indipendenza spazzasse via la dominazione austriaca dalla Lombardia. All’indomani di Villafranca, il ministro dell’Istruzione del governo piemontese Gabrio Casati aveva nominato una commissione per «riordinare efficacemente gli studi universitari». Di quella commissione, oltre a Brioschi, faceva parte anche Quintino Sella. Ingegnere minerario di formazione, professore di geometria applicata nell’Istituto tecnico di Torino, come Brioschi anche Sella aveva una conoscenza diretta delle istituzioni scientifiche straniere che gli veniva dal periodo di perfezionamento trascorso a Parigi presso l’Ecole des Mines, seguito da un viaggio di studio in Germania e Inghilterra. Durante i lavori della commissione, tra i due si era stabilita una comunanza di vedute ben presto destinata a trasformarsi in una duratura amicizia. «Spesso ritorno col pensiero alle belle ore passate con voi a Torino e ai bei progetti che abbiamo formulato», scriveva Brioschi a Sella dopo che i lavori della commissione si erano conclusi.
E tra quei «bei progetti» figurava, anzitutto, la creazione dell’Istituto di Milano. Finalmente, il 13 novembre 1859 venne promulgata la legge nota col nome di Casati, destinata di fatto a governare il campo dell’istruzione nel nostro Paese, fino alla riforma Gentile nel 1923. La legge stabiliva che «in Milano a spese dello Stato verrà eretto un R. Istituto tecnico superiore cui sarà unita una scuola d’applicazione per gli Ingegneri civili la cui indole e composizione sarà determinata con apposito R. Decreto». Di fatto, bisognerà aspettare ancora tre anni, fino al 13 novembre 1862, quando lo stesso Brioschi sarà Segretario generale del ministro della Pubblica istruzione, il fisico Carlo Matteucci, perché quanto previsto dalla legge venisse finalmente attuato. Nel discorso inaugurale, tenuto il 29 novembre 1863, Brioschi sottolineava che la nuova istituzione costituiva l’esito naturale del processo di unificazione che egli, come Manzoni, non esitava a definire una vera e propria «rivoluzione». Infatti, affermava Brioschi, «le istituzioni scolastiche non hanno probabilità di soddisfare alla loro alta missione se la creazione e l’ordinamento di esse non corrisponde ai nuovi bisogni della scienza e alle nuove condizioni sociali».
Era questa la lezione che la «storia civile delle nazioni» rendeva evidente, «registrando accanto alle più grandi rivoluzioni politiche o la creazione di nuovi istituti o profonde modificazioni nell’ordinamento delle esistenti». Se si confrontavano le attuali condizioni politiche, economiche e amministrative con quelle esistenti nel 1859 al momento della vittoriosa guerra d’indipendenza, continuava Brioschi, chiunque «per quanto poco favorevole possa essere a noi, dovrà pur confessare che qui si è compiuta una grande rivoluzione politica, amministrativa, economica». Una rivoluzione che doveva trovare espressione anche nell’ordinamento scolastico, che «riflette la coltura della nazione». Era questo, secondo Brioschi, «uno dei più urgenti bisogni d’Italia». Altrettanto urgente, e fondamentale per la «ricchezza pubblica» del nuovo Stato, era lo sviluppo dell’insegnamento tecnico e la formazione di una classe dirigente, dotata di una solida cultura scientifica. Tanto più che i governi «i quali tennero divisa l’Italia dalla ristorazione fino al ’59 non curarono, anzi avversarono questo ramo di pubblica istruzione per la gravità dei suoi effetti». Infatti, spiegava Brioschi, «lo sviluppo industriale crea condizioni la più parte inaccettabili da governi dispotici e poco illuminati; lo spirito d’associazione, le libertà dei commerci, in una parola tutte le forme pratiche di progresso che hanno a fondamento l’economia industriale sono incompatibili con reggimenti simili a quelli che per tanti anni ebbe l’Italia».
Non si potrebbero riassumere con maggiore chiarezza le ragioni che portarono tanti esponenti liberali della nascente borghesia industriale a porsi alla testa del processo risorgimentale che, al di là degli idealismi patriottici, si configurava come la «rivoluzione borghese» nel nostro Paese.