Laura Galvagni, Marco Ferrando, il Sole 24 Ore 17/3/13, 19 marzo 2013
BANCHE, LA PULIZIA DEI CONTI CONTINUA
Sette dei principali istituti di credito del paese, tra i quali UniCredit e Intesa Sanpaolo, hanno già pubblicato i risultati del 2012. Mancano all’appello, tra le grandi, il Monte dei Paschi di Siena, la Banca Popolare di Milano e Carige, che renderanno pubblici i propri numeri nei prossimi giorni. Tuttavia, nonostante il quadro non sia completo, c’è un dato rilevante che accomuna buona parte delle banche considerate: l’aumento degli accantonamenti per crediti deteriorati. Una politica che non ha mancato di lasciare il segno nei bilanci degli istituti e attuata, per lo più, principalmente nel corso del quarto trimestre dello scorso anno.
Il risultato è un numero complessivo di un certo rilievo: si parla, a oggi, di 17,8 miliardi di rettifiche. Una cifra considerevole, che per alcune banche è stata superiore quasi del 60% rispetto alla prassi adottata l’anno precedente, e servita in alcuni casi per arrotondare al rialzo il tasso di copertura delle sofferenze e il coverage dei crediti problematici e in altri per confermare il tasso di copertura vista l’ascesa dei non performing loans. Secondo le rivelazioni Bankitalia, infatti, a fine dicembre le sofferenze lorde del sistema sono arrivate a 125 miliardi, 3 miliardi in più del mese precedente. Di qui la richiesta di maggiore prudenza partita da Bankitalia che da novembre ha messo al lavoro i propri ispettori sui conti dei primi 20 gruppi del paese. In due direzioni: valutare le sofferenze e i corrispondenti accantonamenti e verificare se, a fronte di crediti garantiti da immobili che vanno in sofferenza le banche abbiano apportato un’analoga svalutazione degli immobili dati in garanzia.
La conseguenza, seppure non diretta, è stato l’avvio di questa tornata di pulizia dei conti. Ma basterà? La risposta non è univoca. Tuttavia, esiste uno studio targato Mediobanca che può aiutare a interpretare meglio la questione. Conviene partire da un dato: in un’analisi precedente, Mediobanca stimava che il sistema credito europeo dovesse prepararsi a far fronte a 100 miliardi di ulteriori pulizie, di cui il 40% da imputare alla sola Italia. All’epoca, dunque, si parlava di una somma complessiva di 40 miliardi. Rispetto a quel numero Piazzetta Cuccia recentemente ha fatto un passo avanti: 21 miliardi possono essere recuperati senza mettere a rischio il capitale. Ossia destinando gli utili ad accantonamenti, rosicchiando qualcosa ai capital ratio e sfruttando le opportunità contabili offerte da Basilea III. Ciò avrebbe un beneficio sui tassi di copertura di 10 punti base e spingerebbe il sistema credito italiano sui livelli della media europea. Sulla base dei dati dei 9 mesi Piazzetta Cuccia ha infatti calcolato che il tasso di copertura medio dei crediti dubbi è del 39% (24% per il Banco Popolare e 43% per UniCredit e Intesa Sanpaolo) distante dal 53% della media Ue.
Come detto, però, le banche italiane a fine 2012 hanno messo mano ai bilanci per quasi 18 miliardi. Si può dunque dire che l’obiettivo è vicino? Non esattamente, anzi. Mediobanca aveva già stimato che a fine anno le banche avrebbero messo un po’ d’ordine nei conti e rispetto a quella cifra le attese sono state superate di 4-5 miliardi. «In altre parole, si potrebbe concludere che gli istituti italiani rispetto allo studio hanno tenuto fieno in cascina per almeno 15-16 miliardi e che questo è un buffer al quale potranno attingere nei prossimi trimestri», ha spiegato Antonio Guglielmi di Mediobanca Securities. Se lo faranno molto dipenderà dalle evoluzioni del quadro economico. Rispetto al quale l’ad di UniCredit, Federico Ghizzoni, si è espresso così: «Penso che i mercati continueranno a essere molto volatili non ha senso presentare ora un altro piano, dobbiamo vedere come sarà il contesto macroeconomico». Restano poi, sullo sfondo, come indicato da Mediobanca, altri 18 miliardi di pulizie che, se avviate, potrebbero sì incidere sul capitale. La cifra, passibile di aggiustamenti, potrebbe entrare a forza nelle agende delle banche italiane in presenza di un ulteriore deterioramento del quadro di riferimento? Non è scontato. In ogni caso, per evitarlo, Piazzetta Cuccia non scarta l’ipotesi controversa di ricorrere al salvadanaio della Ue con la costituzione di una bad bank.
Laura Galvagni
LE IMPRESE RISCHIANO UN CONTO SALATO ANCHE NEL 2013 –
Un anno fa le rettifiche sugli avviamenti, adesso quelle sui crediti deteriorati, con conseguenti maxi-accantonamenti. A ciascun anno la sua pena, verrebbe da dire leggendo i bilanci delle banche italiane approvati in settimana. Simili quanto ai sintomi (regolatori in allarme, riduzione degli utili, scetticismo dei mercati), le due patologie differiscono però pesantemente negli effetti, e la crisi del credito – innescata da quella dell’economia reale – rischia di avere su quest’ultima nuove e pesanti ripercussioni, che non si limiteranno ai conti relativi allo scorso esercizio e appena licenziati dai board e dalle assemblee, ma si prolungheranno con buona probabilità anche sull’intero 2013.
Per guarire dalla nuova patologia, infatti, o per evitare che diventi cronica, in parallelo ai pesanti accantonamenti contabilizzati nel 2012 (anche su indicazione di Bankitalia, particolarmente sensibile anche alle svalutazioni degli immobili posti a garanzia), le banche hanno avviato azioni di de-leveraging, cioè di una graduale riduzione degli impieghi.
Ad esempo il bilancio di Intesa Sanpaolo – che mercoledì scorso ha approvato un bilancio con un utile di 1,6 miliardi di euro – parla di una contrazione media dei volumi annui pari al 3,1%, Ubi ha tagliato del 6,1%, UniCredit dell’1,1% solo nell’ultimo trimestre, con Piazza Cordusio che l’altroieri ha preannunciato «più rigorosi criteri per la concessione di nuovi prestiti» per il 2013.
Una dieta che risulta indigesta per le banche (che fondano la propria redditività proprio sull’erogazione del credito) ma forzata visti i tempi, che avrà i suoi effetti anche per tutto il nuovo anno, durante il quale a pagare il prezzo non saranno solo gli azionisti ma anche i clienti, dunque imprese e famiglie, che si vedranno concedere sempre meno credito finché l’economia non offrirà quei segnali di ripartenza necessari per abbassare ragionevolmente il costo del rischio.
Ma le banche non possono fare di piu’? A meno di una nuova tornata di aumenti di capitale è difficile, visto che il sistema italiano del credito è già pesantemente sbilanciato sugli impieghi – a gennaio il funding gap, la differenza tra impieghi e raccolta, era di 166 miliardi – e Bankitalia, per lo più alla vigilia del passaggio alla vigilanza unica europea, non pare certo in grado di fare sconti. Di qui la necessità di una terapia immunitaria di sistema, come la bad bank o – meglio ancora – uno sblocco dei crediti della Pa, una trasfusione di liquidità di sicura efficacia.
Peccato che l’unico medico in grado di somministrare la cura sia la politica, al momento impegnata a ritrovare la bussola e a prima vista poco sensibile a quella che – solo all’apparenza – sembra una medicina utile solo alle banche. Il vero paziente, qui, è il paese.
Marco Ferrando