Emiliano Liuzzi e Ferruccio Sansa, il Fatto Quotidiano 18/3/2013, 18 marzo 2013
GRILLO PUNTA IN ALTO: SBARCO IN EUROPA
Europa si chiama l’obiettivo di Beppe Grillo. Mentre la politica italiana stenta a capacitarsi dello tsunami che l’ha travolta, il leader del Movimento 5 stelle dalla sua casa di Genova, con la mente vola già oltre confine. Il suo obiettivo, dichiarato, è quello di esportare l’esperienza in altri Paesi europei dove i nodi della crisi politica ed economica sono molto simili a quelli italiani. “Non possiamo pensare di aver fatto tutto questo e rimanere qui, a Roma. Dobbiamo andare oltre, e l’obiettivo è Strasburgo, anno 2014, parlamento europeo. Perché c’è una necessità simile a quella italiana, e perché se troviamo sponda in Europa, il cambiamento sarà epocale”, dice ai suoi. Velleitario o visionario? L’obiettivo è diventato molto più concreto in queste ultime settimane, quando la discussione sui Meetup ha abbattuto confini e lingue. Una “rivoluzione”, dicono i protagonisti, “Una specie di Sessantotto che abbia come collante la Rete”.
“Abbiamo appena iniziato”
Grillo e i suoi - e lo sta spiegando molto ai pochi che lo sentono in questi giorni - hanno già contatti soprattutto con i Paesi dell’Est, dalla Slovacchia, a Romania e Bulgaria. Ma poi spostano gli occhi su Grecia, Spagna e Portogallo. “Questo intendo quando dico che abbiamo appena iniziato”.
I temi sono l’ambiente, soprattutto. Ma anche la decrescita. I gruppi che guarda sono gli Indignados, ma anche il Movimento verde tedesco. No, non gli estremisti di destra o sinistra tipo Alba Dorata o Syriza o magari Front National in Francia. Piuttosto, come in Italia, quei milioni di cittadini legati da battaglie comuni più che da ideologie e appartenenze. Europei che finora non hanno trovato - o non hanno più - una casa politica. Anche moderati. Giovani, ma non solo, come in Italia. “É ovvio che non sarà usato il marchio a Cinque stelle, ma i programmi e gli strumenti sono esattamente i medesimi. In ogni Paese troveranno i loro rappresentanti”. Grillo, in Europa, divide la stampa. Manuel Castells, su La Vaganguardia , tradotto in Italia da Internazionale, scrive come “sia chiaro il carattere sperimentale di questo progetto di antipolitica tradizionale. Ma è stato sostenuto da milioni di persone e da gran parte dei giovani che si identificano con il desiderio di uscire dal vicolo cieco della manipolazione e dell’opacità della delega di potere. Un fenomeno, quello della distanza tra la società civile e le istituzioni politiche diffuso anche in Spagna”. La Spagna, appunto. Uno dei punti di partenza in quello che nelle intenzioni sarebbe uno sbarco in Europa.
Occupy e indignés
Era il 15 ottobre del 2011 e si riempivano le piazze di giovani che protestavano chiedendo un mondo diverso. Erano gli indignados spagnoli, gli indignés francesi o gli Occupy Wall Strett di oltre oceano. Erano migliaia a riempire le strade. In Italia ci furono saccheggi e qualche manganellata, poi il nulla. Che fine hanno fatto quelle stesse proteste? Si sono affievolite, spente nei social network in attesa di darsi una nuova organizzazione. L’Italia, il paese che declina ogni fenomeno politico a suo modo, si è ritrovata così a non avere indignati per le strade, ma un movimento che nelle istituzioni voleva entrare. E così è stato. Ora la sfida è farsi portatore di un linguaggio comune che unisca i Movimenti dentro e fuori l’Europa e che, dicono in casa 5 Stelle, possa essere costruttivo. Deciso nei toni, ma rispettoso delle istituzioni. “Nessuna ospitalità”, dice chi sta vicino a Grillo, “a estremismi e, peggio, razzismi. Perché i vaffanculo e i cori da “li mandiamo tutti a casa”, non servono più, ora che c’è da entrare in Parlamento”.
Aggiungono: “Sarà uno sconvolgimento della situazione politica contemporanea che passa per l’esaltazione di quello che è politico”. Chissà. All’estero le reazioni sono contrastanti: “L’Italia non ha soltanto fatto entrare i clown”, dice Jonathan Hopkin , professore di Politica Comparata alla London School of Economics su Foreign Affairs. Risponde in tono duro all’Economist, che aveva visto nell’avanzata di Grillo e nell’ennesima riconferma di Berlusconi, un’altra delle figuracce all’italiana. “Non è solo una sfida all’austerity, ma allo stesso sistema del partito tradizionale. La crisi economica ha aiutato, ma l’offensiva di Grillo contro i politici italiani corrotti ed egoisti era partita già prima dell’inizio del declino”. E poi ancora: “In tutta Europa, l’adesione ai partiti politici ha raggiunto il livello più basso dalla Seconda Guerra Mondiale”. E la prova sarebbe il successo dell’Uk Independence Party in Gran Bretagna, del Partito Pirata in Svezia, del partito anti-islamico di Geert Wilders in Olanda e di partiti populisti come il Front National francese. Conclude: “L’Italia potrebbe fare da apripista a un cambiamento che interesserà l’Europa intera”. Mai fino ad ora, aveva vinto le elezioni un partito contro l’austerità in un paese europeo, da quando la grave crisi economica è arrivata nel vecchio continente. Spagna di Rajoy e Portogallo di Spassos Coehlo, alcuni degli Stati dove il rigore è sempre stato la regola. Solo una settimana fa il primo ministro portoghese scriveva un lungo post su Facebook, dove si firmava Pedro e chiedeva ancora una volta al suo popolo di fare sacrifici. Gli hanno risposto oltre 36mila, e il più apprezzato è stato chi ha citato Reagan: “Non sperate che la soluzione venga dal governo. Il governo è il problema”. La stanchezza è tanta nei paesi di un’Europa che chiede di tirare la cinghia da anni.
Dai 5 Stelle la proposta che potrebbe allettare è quella di creare un’Unione Europea che sappia spiegarsi ai suoi cittadini. “Mai detto - sostiene Grillo - che voglio essere dentro o fuori dell’euro, ma voglio informazioni corrette. Voglio un piano B per la sopravvivenza per i prossimi dieci anni. E poi, con un referendum decidiamo. Prima è necessario informare: cerchiamo di capire cosa sono i costi e i benefici. Solo suggerendolo dicono: sei un demagogo, sei pazzo, vuoi trascinare l’Italia in default, sei irresponsabile. Solo perché si dice di esaminare questa ipotesi”. Ma il pensiero accomuna tanti cittadini, che vedono l’Unione Europea come qualcosa di lontano, disperso nelle aule di Bruxelles o Strasburgo. E questo nuovo tentativo di dialogo all’italiana potrebbe piacere a molti.
La sorpresa è quella di scoprire all’improvviso che la democrazia partecipativa esiste e che, altrove nel mondo, sta già dando buoni risultati. C’è chi la fa e chi pure la potrebbe praticare. Gli esempi li raccontano i siti internet, perché la partecipazione nell’epoca delle nuove tecnologie corre sul filo della rete. Rigorosamente. É la storia di Belo Horizonte, in Brasile, dove i cittadini si ritrovano periodicamente a discutere per fare quello che noi chiamiamo un “bilancio partecipato”. Dire all’amministrazione locale dove e perché si vuole che si spendano i soldi.
L’esperienza australiana
Oppure c’è l’Australia e la prima esperienza di parlamento cittadino del 2009: tre giorni di consultazioni tra persone scelte at random, a caso nel mucchio, che hanno portato all’elaborazione di tredici proposte concrete poi presentate in parlamento. Oppure la Columbia, con l’assemblea civica per cambiare la legge elettorale: 160 cittadini che si sono ritrovati per un anno fino alla scrittura di una proposta, poi votata in un referendum. Ma più semplicemente, ci si può fermare a Grenoble, poco dopo il confine italiano. Lì dal 2010 hanno una commissione locale dove a parlare sono i cittadini. Così come i consigli di quartiere francesi, che si eleggono e si incontrano in ogni regione da Parigi a Bordeaux fino a Toulouse. Politica dal basso che dai consigli comunali arriva ai ciclisti di Bucarest in Romania, troppo spesso dimenticati, come dicono, e che si sono riuniti per dare corpo alle proprie posizioni.
Così, mentre oggi tutti guardano al Parlamento italiano in affanno, c’è chi pensa già alle elezioni europee. Appuntamento al 2014.