Edgar Allan Poe, il Giornale 16/3/2013, 16 marzo 2013
«SUI GIORNALI SONO TUTTI AMICI MA IN PRIVATO SI SCANNANO»
Per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo l’introduzione di Edgar Allan Poe, I literari di New York City (Bompiani, pagg. 225, euro 12; a cura di Giovanni Puglisi e Gabriele Miccichè) in libreria da settimana prossima.
In un articolo pubblicato sull’ultimo numero di questa rivista mi sono affannato a rimarcare la differenza tra l’ «opinione »popolare in merito al valore degli autori contemporanei e quella intrattenuta ed espressa in privato nell’ambito del mondo letterario. La prima specie di «opinione» può esser chiamata tale solamente per cortesia. Appartiene al pubblico, allo stesso modo in cui un libro ci appartiene una volta che l’abbiamo comperato. Generalmente quest’opinione vien fatta propria dai periodici del momento, e io mi sono sforzato di mostrare come siano ben rari i casi in cui tali pubblicazioni esprimano nei confronti dei libri alcun sentimento che non si possa attribuire agli autori dei libri stessi. Gli scrittori più «popolari», quelli di maggior «successo»(almeno per un breve periodo) sono, in 99 casi su cento, persone di mera destrezza, perseveranza, sfacciataggine: in una parola intriganti, adulatori, ciarlatani.
Questa gente riesce con facilità a prendere per noia i giornalisti (la cui attenzione è troppo spesso del tutto assorbita dalla politica o da altre questioni«d’affari ») e far loro pubblicare recensioni scritte o fatte scrivere da parti interessate; o quantomeno a far loro pubblicare una recensione quale che sia, laddove in circostanze ordinarie non se ne sarebbe pubblicata alcuna. In questo modo si confezionano effimere «reputazioni»le quali,in larga misura, servono efficacemente al loro scopo, ovverosia riempire il borsellino del ciarlatano e dell’editore del ciarlatano:perché non c’è mai stato un ciarlatano cui si potesse far comprendere che cosa valga la mera fama. Gli uomini di genio, invece, non ricorreranno a manovre del genere, perché è insito nell’essenza del genio il disdegnare i sotterfugi; e di conseguenza, per un certo periodo di tempo, i ciarlatani si troveranno costantemente in vantaggio, sia riguardo il profitto economico che per quella che in apparenza è la considerazione generale.
Vi è poi dell’altro.I ciarlatani letterari coltivano in particolar modo il rapporto personale con quanti sono «ben introdotti nei giornali». Questi ultimi, anche quando vergano una segnalazione spontanea, ovverosia non istigata, del libro di un conoscente, lo fanno come se scrivessero non tanto per esser letti dal pubblico, quanto per essere letti dal conoscente, e la segnalazione è modellata di conseguenza. Sui punti deboli dell’opera si sorvola e i punti forti vengono messi in evidenza, nella luce migliore, in ragione di un sentimento simile a quello che rende spiacevole parlar male di qualcuno in sua presenza. Nei confronti degli uomini di genio, invece, i giornalisti letterari non hanno di regola- tanta delicatezza: per la semplice ragione che- di regola- non li conoscono affatto, dacché quella degli uomini di genio è una categoria proverbiale per la sua riservatezza.
Ma gli stessi giornalisti letterari, che esitano a mettere per iscritto una parola negativa su di un autore che conoscono personalmente, sono di solito i più franchi allorché ne discutono in privato. In compagnia di altri uomini di lettere, sembrano aver fatto voto di vendicare le angherie che essi stessi hanno inflitto alla propria coscienza. Perciò, finalmente, il ciarlatano viene trattato per quel che merita, onde ristabilire l’equilibrio.In base allo stesso principio, è facile che l’autentico valore venga esagerato alquanto; ma nel complesso si va molto vicini all’onestà assoluta, un’onestà ulteriormente assicurata dal mero fastidio che si prova nel dover atteggiarsi falsamente mentre si chiacchiera. Mettiamo nero su bianco senza esitazione un vero e proprio tessuto di lusinghe che in società non riusciremmo a profferire, pena la vita, senza arrossire o scoppiare in una risata. Per queste ragioni esiste una notevolissima discrepanza tra l’apparente pubblica reputazione di un dato autore e l’opinione che ne esprimono, a voce, coloro che sono meglio qualificati a giudicare. Ad esempio Hawthorne, l’autore dei Racconti narrati due volte , è assai poco riconosciuto tanto dalla stampa come dal pubblico e, quando viene recensito, è soltanto per esser lodato inmaniera così tiepida da sembrare una condanna. Ora la mia opinione è che, nonostante la sfera in cui egli si muove sia ristretta e non sia ingiusto accusarlo di manierismo, tuttavia entro quella sfera Hawthorne dimostra un genio straordinario, che non ha rivali né in America né altrove: e questa opinione non l’ho mai udita contraddire da nessun uomo o donna di lettere di questo paese [...]. E ancora, prendiamo il signor Longfellow il quale, sebbene un po’ ciarlatanesco di suo, ha a disposizione, per via della sua posizione sociale e letteraria, in quanto possidente e professore ad Harvard, un’intera legione di ciarlatani in servizio permanente effettivo; qual è in apparenza l’opinione popolare del signor Longfellow? Ma ovviamente che si tratta di un fenomeno di poesia, assolutamente privo di difetti come la lussuosa carta sulla quale invariabilmente porge i suoi poemi all’attenzione del pubblico. In privato, si è unanimi nel considerarlo un poeta di non comune abilità, artista di esperienza e uomo di vaste letture, ma ancor di più risoluto imitatore e sagace adattatore delle idee degli altri [...] L’intento della serie di articoli che sottopongo adesso ai lettori è, insieme a quello di fornir loro la mia imparziale opinione dei literati di New York, altresì quello di rendere al tempo stesso palese, con la maggiore esattezza possibile, ciò che penso della conversazione tipica degli ambienti letterari. Vi è da aspettarsi, ovviamente, che in innumerevoli casi io non possa concordare con la voce, ovvero con quella che sembra essere la voce, del pubblico: ma questo fatto non ha importanza alcuna.