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 2013  marzo 16 Sabato calendario

STRUMENTI IN MANO ANCHE ALLE FAMIGLIE


Fino a qualche anno fa entravano a contatto con famiglie e risparmiatori soltanto di «nascosto», inseriti cioè in prodotti di investimento strutturati, polizze vita e persino mutui immobiliari, gran parte delle volte a totale insaputa del sottoscrittore. Lo sviluppo di mercati, di piattaforme e ovviamente anche l’introduzione di nuovi strumenti ha messo però di recente i derivati alla portata dei portafogli degli investitori privati. Merito (o responsabilità, a seconda del punto di vista) soprattutto dell’espansione del trading online: il 45% dei risparmiatori che operano attraverso la rete, sottolinea uno studio pubblicato da Borsa italiana lo scorso ottobre, dichiara infatti di aver negoziato prodotti derivati negli ultimi 12 mesi. Una percentuale che sale al 54% quando si considerano i «day trader», cioè coloro che tendono ad aprire e chiudere le posizioni nell’arco di una sola seduta di contrattazione.
Cosa siano poi esattamente questi derivati – «armi di distruzione dei massa» per qualcuno (la definizione è del finanziere Warren Buffett), strumento utile se non vera e propria manna secondo altri – non è probabilmente chiaro a tutti coloro che li trattano. La parola in sé dovrebbe però spiegare abbastanza: il derivato è un prodotto il cui valore «deriva» dall’andamento del valore di una attività reale o finanziaria o dal verificarsi nel futuro di un determinato evento (il «sottostante»). Il problema è che determinare la relazione che lega queste due grandezze e che concorre quindi alla formazione del risultato finanziario del derivato stesso (il «payoff») non è compito facile, o quantomeno non lo è per chi non è professionista del settore.
La stima del valore di un derivato è quindi un’operazione molto complicata, anche perché richiede la capacità di simulare i possibili scenari futuri del sottostante. Per questo maneggiare simili prodotti (dai più «semplici» future od opzioni, ai covered warrant o certificati di investimento, fino agli ultimi arrivati e assai gettonati Cfd, contratti per differenza) può divenire un’operazione assai rischiosa, se non si comprendono a fondo i meccanismi da cui sono regolati. Cosa che non va data certo per scontata, se è vero che soltanto il 26% degli operatori privati sceglie il prodotto sulla base della conoscenza o della familiarità del contratto derivato.
Un bel passo in avanti, oltre che ovviamente studiando nei minimi particolari i fogli informativi, lo si compierebbe capendo il motivo per cui si intende operare con simili strumenti. Alle finalità per cui sono principalmente stati creati - la copertura, cioè la riduzione di un rischio finanziario di un portafoglio («hedging»), ma anche l’arbitraggio, ovvero la possibilità di conseguire un profitto privo di rischio cogliendo differenze di valorizzazione fra il derivato e il sottostante – si sono via via affiancate ragioni tipicamente più speculative.
Su questo punto l’indagine di Borsa italiana è piuttosto eloquente: soltanto il 19% ha ormai come obiettivo la copertura del portafoglio quando acquista un prodotto derivato. Il 17% invece lo fa per sfruttare i ribassi di mercato (andare «short», come si dice in gergo) e addirittura il 55% intende garantirsi elevate opportunità di guadagno con un investimento iniziale limitato. La maggior parte della clientela privata scorge dunque dietro i derivati un’opportunità per sfruttare la «leva» finanziaria: un meccanismo che permette di ottenere profitti (ma anche perdite!) superiori al capitale inizialmente impiegato e che per questo motivo meriterebbe di essere affrontato con il massimo della prudenza.
Non dovrebbe invece almeno in teoria riguardare il cliente retail l’emersione allo scoperto della miriade di contratti over-the-counter (Otc) che si propone di realizzare il regolamento European Market Infrastructure Regulation (Emir) entrato in vigore ieri. La gran parte, se non la totalità, degli strumenti derivati trattati dal piccolo investitore è infatti di tipo standardizzato e già negoziato sui mercati regolamentati come l’Idem di Borsa italiana, il tedesco Eurex o le piattaforme alternative (Multilateral Trading Facilities, Mtf). Saranno invece le soluzioni «su misura» – realizzate per imprese o per clienti privati con patrimoni a partire da un certo valore – a subire col tempo le conseguenze delle novità normative: per loro la copertura dei portafogli o dei rischi della gestione commerciale finirà probabilmente per diventare più costosa.