VARIe18/3/2013, 18 marzo 2013
APPUNTI PER GAZZETTA - IL CASO CIPRO
MILANO - La crisi dell’Eurozona torna la prima voce di preoccupazione sui mercati mondiali e i sintomi sono quelli già visti: indici azionari sotto pressione, euro in calo e spread che si allarga. La decisione presa nella notte tra venerdì e sabato all’Eurogruppo di allestire un prestito da 10 miliardi per Cipro ha gettato nel panico gli investitori. Non tanto per le dimensioni dell’intervento coordinato, quanto per l’inedita scelta di applicare una tassa una tantum sui depositi bancari quale parte fondamentale del pacchetto: un balzello del 6,75% e del 9,9% rispettivamente per le giacenze inferiori e superiori a 100mila euro, per un contributo totale previsto a 5,8 miliardi. La votazione del Parlamento cipriota è prevista per domani, mentre è stata estesa fino a mercoledì - dopo una serie di indicazioni discordanti - la decisione della Banca centrale di tenere le saracinesche serrate alle fililali per cercare di tamponare la fuga dei capitali. Secondo gli analisti, si è rotto il tabù di tassare i soldi dai depositi e così dopo l’isola greca la preoccupazioni tra gli addetti ai lavori è che la stessa sorta possa toccare Italia e Spagna.
A Piazza Affari il Ftse Mib - il principale indice della Borsa Italiana - chiude in calo dello 0,85% comunque in recupero dai minimi di seduta registrati in apertura, quando perdeva quasi tre punti. Come sempre accade in queste situazioni, a farne maggiormente le spese sono i titoli dei gruppi bancari quali Unicredit, Mps e Intesa Sanpaolo, che risentono dei rischi di sistema e dell’allargamento dello spread. Per quanto riguarda Ca’ de Sass si registra anche la conferma di Giovanni Bazoli come candidato alla presidenza del consiglio di sorveglianza nella lista espressa da Compagnia di San Paolo e Fondazione Cariplo.
Riferendosi alla questione di giornata, il presidente della Consob, Giuseppe Vegas, ha minimizzato sulla questione sottolineando che "Cipro è una realtà piccola e particolare", per cui non è il caso di "drammatizzare". Il colore rosso, tuttavia, ha contraddistinto la seduta di tutte le Borse europee: il Dax di Francoforte ha ceduto lo 0,4%, il Cac 40 di Parigi lo 0,45%, il Ftse 100 di Londra lo 0,36% e l’Ibex di Madrid l’1,29%. Anche Wall Street si muove in ribasso, con il Dow Jones che lascia sul terreno lo 0,1%; il Nasdaq arretra dello 0,2% e lo S&P500 dello 0,3%.
Per l’euro il caso Cipro è stato senza dubbio uno choc: la moneta unica ha chiuso a 1,2950 dollari dopo essere scesa anche sotto quota 1,29 e contro l’1,3086 registrato venerdì scorso. L’alta tensione si è trasmessa immediatamente ai titoli di Stato: lo spread tra Btp e Bund è balzato improvvisamente sopra 340 punti, per poi scendere gradualmente e oscillare tra 325 e 330 punti. Il rendimento del decennale italiano si attesta al 4,65%. A livello macroeconomico si segnala il miglioramento della bilancia commerciale italiana a gennaio, mentre nell’Eurozona è stato registrato un deficit di 3,9 miliardi dal surplus di dicembre. Negli Stati Uniti, invece, cala a sorpresa la fiducia dei costruttori edili.
In mattinata seduta negativa anche per i mercati asiatici: nell’area Asia Pacifico si è registrato il peggior tracollo degli ultimi otto mesi, con l’indice di riferimento della regione in calo dell’1,8%. La Borsa di Tokyo ha ceduto il 2,7%, il peggiore degli ultimi dieci mesi dopo i massimi da 54. Sui mercati valutari lo yen si è impennato, penalizzando i comparti maggiormente esposti sul versante dell’export, con un effetto depressivo generalizzato. Tra le altre, Hong Kong il 2,07% e Shanghai l’1,68%.
L’effetto-Cipro si sente anche sulle quotazioni dell’oro, che dopo i recenti cali torna bene rifugio: il lingotto con consegna immediata dopo aver sfondato quota 1.600 dollari l’oncia si assesta sui mercati asiatici a 1.596,95 dollari, il livello più alto raggiunto dalla fine di febbraio. In calo il petrolio: il contratto ad aprile perde lo 0,11% a 93,36 dollari al barile.
(18 marzo 2013)
REPUBBLICA.IT
MILANO - Slitta a domani il voto del Parlamento cipriota (56 deputati) per dare il via libera al prelievo forzoso sui conti correnti e sui depositi nelle banche dell’isola richiesto dell’Ue in cambio di un piano di salvataggio da 10 miliardi di euro. La proposta dei ministri delle Finanze dell’Eurozona - un’imposta del 9,9% sui depositi oltre 100mila euro e del 6,75% per quelli di importo inferiore - ha provocato la rabbia dei correntisti ciprioti e degli stranieri residenti anche perché si tratta della prima volta che, per salvare l’economia di un Paese, vengono toccati i risparmi dei suoi cittadini. Ieri è quindi iniziato l’assalto a bancomat per prelevare più contanti possibili e nel paese è scattato il caos: la Banca centrale cipriota prima ha annunciato che le banche sarebbero state aperte, poi chiuse solo per oggi e infine ha decretato la chiusura degli istituti di credito fino a mercoledì.
In caso di via libera all’operazione la Bce provvederà Cipro della liquidità necessaria. In Europa, però, nessuno si assume la paternità della proposta. La Germania dice di essere aperta ad altre opzioni con il ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, che spiega: "Il prelievo sui depositi sotto 100mila euro non è stata un’idea del governo tedesco. Se si trova un’altra soluzione noi non avremmo il minimo problema". Sulla stessa lunghezza d’onda la Bce: "Se il presidente di Cipro vuole cambiare qualcosa riguardo al prelievo sui conti bancari - ha detto il membro del board Joerg Asmussen - può farlo. Deve solo assciurare che il finanziamento sia intatto". Insomma l’importante è che Cipro trovi 5,8 miliardi, mentre il presidente del Parlamento Ue, Martin Schulz chiede un accordo "socialmente accettabile" che non "penalizzi i piccoli risparmiatori locali". Duro l’ex premier belga Guy Verhofstadt, leader del gruppo liberal-democratico al Parlamento europeo, secondo cui "manca poco che sia una rapina in pieno giorno".
La mossa di Cipro preoccupa anche gli analisti: "L’introduzione di un prelievo sui depositi bancari sembra aver rotto un altro tabù" dice Morgan Stanley secondo cui "questo va al di là del mercato e delle nostre aspettative, sollevando timori di un possibile errore politico e che potrebbe causare un rischio sostanziale di contagio" a Paesi periferici. In Italia un’operazione del genere avrebbe un costo di 57 miliardi di euro.
Il presidente cipriota Nikos Anastasiades, parlando alla nazione, ha ribadito di aver fatto la "scelta meno dolorosa" accettando l’accordo per salvare l’economia del Paese ed ha assicurato che sta ancora facendo pressione affinchè l’Ue cambi decisione "per minimizzare l’impatto" sui piccoli depositi: si lavora, infatti, a una riduzione dal 6,75 al 3% dell’imposta sui depositi inferiori ai 100mila euro contro un innalzamento dal 9,9 al 12,5% per quelli di importo superiore. La Bce starebbe anche pensando di chiedere l’esenzione dell’imposta per i piccoli risparmiatori. Le perdite dei risparmiatori, però, potrebbero essere compensate con azioni in banche commerciali garantite dai futuri introiti derivanti dallo sfruttamento dei giacimenti sottomarini di gas naturale scoperti di recente a Sud dell’isola.
La decisione di Cipro preoccupa soprattutto la Russia: l’isola del mediterraneo è il principale "paradiso fiscale" per gli oligarchi russi, ma anche una delle principali destinazioni degli investimenti bancari russi. Secondo gli esperti, si tratta di almeno 20 miliardi di dollari, cui si aggiungono - nel 2012 - i circa 12 miliardi di dollari delle banche russe (3 miliardi in più rispetto al 2011). Anche per questo nel 2011 Mosca aveva accordato a Nicosia un prestito da 2,5 miliardi. E per il presidente russo, Vladimir Putin la tassa è "ingiusta, non professionale e pericolosa". Intanto, il ministro delle finanze di Cipro Michalis Sarris è atteso mercoledì a Mosca dove probabilmente discuterà la possibile ristrutturazione del prestito. Si è fatto sentire anche il premier Dmitri Medvedev: "La possibile tassazione dei depositi bancari a Cipro sembra una confisca dei soldi altrui. Non so chi sia l’autore di questa idea - ha detto Medvedev - ma tutto evoca una confisca". Il capo del governo russo ha parlato di decisione "abbastanza strana e discutibile".
Il presidente della Consob, Giuseppe Vegas, invita a non drammatizzare la situazione: "Cipro è una realtà molto piccola, non credo proprio" che in Italia possa succedere una cosa del genere. Sempre per quanto riguarda il Belpaese si è fatta sentire anche l’Abi, che ha escluso "un rischio contagio" per le banche italiane. In una nota, l’Associazione ha ricordato come gli istituti di credito "hanno una posizione di grande solidità e dai dati della Bri risultano esposte verso Cipro in misura minima, sotto un miliardo di euro. Di qui la massima serenità nell’escludere il rischio contagio".
(18 marzo 2013)
PRELIEVO FORZOSO - REPUBBLICA.IT
MILANO - Un brutto precedente, una decisione infausta, un tabù infranto. La scelta dell’Eurogruppo di dare il benestare al salvataggio di Cipro in cambio di mettere mano ai depositi bancari dell’isola è stata accolta con il previsto arretramento dei mercati. Gli analisti finanziari, che già durante il fine settimana avevano messo in guardia dalla pericolosità della decisione, hanno rilasciato i primi commenti, anche se si attende il pacchetto di misure definitivo per un giudizio puntuale. La stessa Bce, infatti, per bocca di Joerg Asmussen ha confermato la possibilità del Parlamento di Nicosia di modificare l’impianto del "contributo di solidarietà", il cui gettito previsto dovrà comunque rimanere intorno a 5,8 miliardi.
In attesa dunque del voto del Parlamento - che è stato rimandato a domani - e dell’impalcatura definitiva della tassa, restano le valutazioni espresse sulla prima ipotesi, quella di un balzello del 6,75% e del 9,9% per i depositi rispettivamente sotto e sopra i 100mila euro. Il minimo comun denominatore delle analisi è dato dal fatto che si crea così un precedente; a ciò si aggiunge la mancata diversificazione tra i piccoli e i grandi depositi, tema cruciale soprattutto nell’ottica dei cittadini comuni.
Quest’ultimo punto è stato accolto con sorpresa da Unicredit, che si attendeva una protezione dei depositi di minore entità - ad esempio sotto i 25mila euro - e una incidenza maggiore su quelli di grande entità. Il commento a caldo degli analisti di Piazza Cordusio sembra aver fatto da traccia per le modifiche allo studio, tanto che ora le indiscrezioni riportate dal Wsj danno possibile un ritocco delle aliquote al 3% per i depositi fino a 100mila euro, del 10% fino a 500mila e quindi del 15%. Questa distinzione dovrebbe prevalere rispetto a quella relativa alla "nazionalità" dei depositi. Anche la Commissione Ue sembra spingere per avere una soluzione più progressiva.
Secondo la ricostruzione di Barclays, il 55% dei depositi (37,6 miliardi) rientra nella categoria superiore a 100mila euro. Assumendo che la maggior parte dei depositi stranieri - e si è a lungo detto come si tratti in gran parte di denaro legato alla Russia - rientrano in questa fascia (25,5 miliardi), significherebbe che circa 12 miliardi di depositi domestici sarebbero colpiti.
Resta l’unicità di una decisione mai adottata prima in Europa: la ricapitalizzazione delle banche (necessità stimata tra 10 e 12 miliardi, il 60% circa del Pil di Cipro) passerà per la metà attraverso i depositanti. Le vie alternative, cioè un intervento pubblico o una soluzione "alla greca", non sarebbero state praticabili. Nel primo caso sarebbe esploso il problema del debito (sarebbe arrivato al 145% del Pil); nel secondo si sarebbe indebolita ulteriormente la posizione delle banche, perché un haircut del debito avrebbe colpito in primis gli istituti ciprioti stessi, i maggiori sottoscrittori di titoli di Stato - che non sono molto diffusi all’estero. Per la banca inglese, quest’insieme di misure resterà comunque un unicum in Europa, così come lo è stata la ristrutturazione del debito di Atene.
Sarà anche un episodio isolato, ma secondo l’agenzia di rating Moody’s il prelievo forzoso potrebbe avere conseguenze negative per i rating delle banche europee. La decisione ha infatti "pesanti conseguenze" per i risparmiatori non solo a Cipro, ma anche per i creditori di banche in altri Paesi europei, aumentando nel contempo i rischi di una fuga di capitali da altri Paesi in difficoltà dell’Eurozona. Le conseguenze dirette del prelievo dovrebbero restare limitate, dice Moody’s, ma si tratta di un punto di svolta a livello di politiche europee: "Con la decisione - scrive l’agenzia - si è avviato un passo importante per limitare, o addirittura eliminare, la tutela sistemica dei creditori bancari in tutta europa". In questo modo, i responsabili politici europei "dimostrano di essere disponibili a rischiare turbolenze più consistenti sui mercati finanziari, nel perseguimento di obiettivi politici".
La posizione dell’agenzia di rating e il nesso con la politica era stata in qualche modo anticipata da Morgan Stanley, che in un report mattutino aveva sottolineato come "l’introduzione di un prelievo sui depositi bancari" a Cipro "sembra aver rotto un altro tabù". Per gli analisti si è trattato probabilmente dell’esito di un’attività combinata tra le varie autorità europee. Quasi un monito - si potrebbe interpretare - nei confronti del modello finanziario cipriota (che pesa otto volte il valore dell’economia reale) e della necessità di una maggiore trasparenza nella finanza. Una decisione che "va al di là del mercato e delle nostre aspettative, sollevando timori di un possibile errore politico e che potrebbe causare un rischio sostanziale di contagio" a Paesi periferici.
(18 marzo 2013)
COMMENTO DI BALESTRERI
MILANO - Un prelievo forzoso da 5,8 miliardi sui conti correnti e depositi bancari a garanzia dell’impegno di Cipro a ridurre debito e deficit. E’ la richiesta della Commissione europea per approvare il via libera a un piano di salvataggio da 10 miliardi di euro. Tradotto: l’Unione europea non aiuterà il paese in crisi se dall’isola non arriveranno forti segnali di cambio di rotta nella gestione delle finanze pubbliche.
Secondo gli addetti ai lavori, la decisione del governo cipriota crea un precedente pericoloso perché potrebbe instaurare una consuetudine estremamente gravosa per i cittadini del Vecchio continente. Applicata all’Italia, anche solo con l’aliquota più bassa del 6,75%, nelle casse dello Stato arriverebbero 56,7 miliardi di cui 43,9 dai conti correnti e depositi bancari degli italiani (650 miliardi), mentre gli altri 12,8 miliardi sarebbero prelevati dai 190 miliardi depositati sui conti delle aziende.
Una maxi patrimoniale una tantum che però difficilmente avrebbe impatti positivi a lungo termine sulle casse dello Stato italiano che ogni anno paga circa 80 miliardi di interessi sul debito (arrivato al record di 2.022 miliardi). Potrebbe, però, essere uno dei paletti posti dell’Ue se mai l’Italia chiedesse l’intervento dell’Ue. Un’ipotesi per il momento lontana, ma non impossibile se lo spread tornasse sopra i 500 punti base.
Di certo la mossa decisa da Cipro non è certo nuova: l’11 luglio 1992 il governo tecnico guidato da Giuliano Amato varò un pacchetto di riforme da 30mila miliardi di lire (poco pù di 15 miliardi di euro) che comprendeva anche un prelievo forzoso dai conti correnti pari al 6 per mille: lo Stato incassò 5 miliardi (poco più dell’Imu sulla prima casa), ma non bastarono a evitare la svalutazione della lira a settembre di quell’anno e l’uscita dal Sistema monetario europeo.
(18 marzo 2013)
LO SPREAD VOLA A QUOTA 500 - MAURIZIO RICCI
ROMA - Risultato? Lo spread con il Bund tedesco che schizza a quota 500. Significa che il Tesoro dovrebbe pagare, per un Btp decennale, un tasso quasi del 6,50 per cento. Un intero punto in meno di quota 7,483 per cento, raggiunta nei drammatici giorni del novembre 2011, con l’agonia del governo Berlusconi. Ma sempre livelli da allarme rosso. All’ipotesi- collasso viene attribuito un quoziente di probabilità del 25 per cento, il più alto fra gli scenari possibili. Peraltro, le elezioni potrebbero anche andar bene. Cioè, nell’ottica dei mercati, finire con una maggioranza Bersani-Monti. In questo caso, lo spread scenderebbe a spiccioli: 150 punti, la metà di oggi, per un tasso di interesse sui Btp del 3 per cento e una manna per le casse del Tesoro. Probabilità? Il 20 per cento, una su cinque. Tutte le altre ipotesi (Bersani-Berlusconi, Bersani-Grillo) sono più remote e danno, comunque, in termini di spread, risultati peggiori.
Naturalmente, accertare preventivamente i sentimenti dei mercati è impossibile. Bisogna aspettare che comincino a muoversi i soldi, cioè gli investimenti. E, fino a questo momento, i mercati hanno fatto capire che preferiscono aspettare gli eventi, senza impegnarsi troppo. Anche in questo stato di animazione sospesa, però, si possono fiutare gli umori e lo schema, studiato dal team di Crédit Agricole, una delle maggiori banche europee, è una testimonianza verosimile delle attese degli operatori finanziari. Preparato, un po’ per gioco, un po’ sul serio, è stato pomposamente definito "diagramma di flusso", ma, in realtà, sembra piuttosto la lavagnetta di un allibratore, un bookmaker, alle corse dei cavalli: Bersani-Monti, 5 a 1, Bersani- Grillo 4 a 1. Non è un paragone casuale: scommettere sull’andamento dei parametri finanziari è esattamente il mestiere di ogni giorno del suo autore: Luca Jellinek, capo del dipartimento Strategie sui Tassi Europei di Crédit Agricole.
Dall’attuale Parlamento senza maggioranza precostituita lo sviluppo largamente più probabile, per gli scommettitori della grande finanza, sono nuove elezioni a breve scadenza: 45 per cento di probabilità, quasi una su due. Lo scioglimento di un Parlamento appena eletto sarebbe il primo scossone allo spread, che salirebbe a 400 punti (cioè un tasso del 5,50 per cento, quasi un punto più di oggi e già sufficiente, probabilmente, a invocare un salvataggio da parte della Bce di Draghi). Fra la grande coalizione Bersani-Berlusconi e quella Bersani-Grillo, invece, più probabile la prima: 30 per cento di probabilità contro 25 per cento. La reazione dei mercati, però, sarebbe diversa.
Mentre un accordo Pd-Pdl lascerebbe, almeno in prima battuta, lo spread, più o meno, ai livelli attuali, un accordo fra Pd e Movimento 5 Stelle sarebbe accolto, inizialmente, con grande diffidenza dall’alta finanza e i tassi salirebbero. Non quanto con nuove elezioni, ma comunque di 50 punti: il ministro del Tesoro - grillino o meno - si troverebbe a gestire un tasso di interesse sui titoli decennali di circa il 5 per cento.
Lo scetticismo, però, è più o meno lo stesso, sia di fronte alla coalizione del Pd con Berlusconi, che a quella con Grillo. I mercati non sembrano rilevare apprezzabili differenze fra due opzioni così diverse, almeno per le materie che li interessano più direttamente. In nessuno dei due casi, infatti, ci si aspettano, nonostante i numeri in Parlamento, le riforme strutturali che la grande finanza ritiene necessarie per riavviare lo sviluppo italiano. Al massimo, un mantenimento della disciplina fiscale di Monti e una nuova legge elettorale che eviti il ripetersi dell’attuale impasse (20 per cento di probabilità con Berlusconi e 15 per cento con Grillo). In tutt’e due i casi, la presenza comunque di un governo allenterebbe la pressione dei mercati e lo spread scenderebbe a 200 punti (meglio, dunque, anche degli ultimi mesi). Tuttavia, ambedue gli ipotetici governi potrebbero, al contrario, perdere il controllo della spesa pubblica e spaccarsi, riaprendo il vuoto politico, che costerebbe un rialzo dello spread a 450 punti.
Insomma, previsioni all’insegna del pessimismo. Qualsiasi governo possibile appare fragile e, anche nell’ipotesi migliore, incapace di varare le riforme necessarie, ci sia dentro Berlusconi o Grillo. I mercati, come l’opinione pubblica europea, non sembrano aver ancora digerito la delusione per il flop di Mario Monti. Così, un po’ paradossalmente per chi ricorda le ansie e le profezie di sventura che accompagnarono il doppio appuntamento elettorale di Atene, la soluzione più gradita è quella alla greca: un rematch elettorale che consegni finalmente una maggioranza pro euro a Bersani, magari - ma non necessariamente - insieme a Monti.
(18 marzo 2013)