Silvia Fumarola, la Repubblica 16/3/2013, 16 marzo 2013
GIUSEPPE FIORELLO “COSÌ LA CUCINA RACCONTA CHI SIAMO”
«Giuseppe Fiorello ha una sua teoria: «Il frigo non deve mai essere pieno, perché è un delitto buttare il cibo. Bisognerebbe studiarlo a scuola, inserirlo nella Costituzione italiana: “Mangiate bene e sarete buone persone”. Che siamo quello che mangiamo è una verità assoluta. Guarda caso la società di oggi è molto più stressata, aggressiva, violenta perché secondo me c’è anche una componente alimentare sbagliata». Il Fiorello che non ti aspetti è seduto dietro la scrivania del suo studio, circondato dalle foto dei successi, da Volare (la fiction Rai su Modugno, con i suoi 11 milioni di spettatori la più vista dal 2005) a La vita rubata, a quelle private con i figli Anita e Nicola, in posa con lui.
L’ex timido di casa Fiorello, 44 anni, oggi uno degli attori più richiesti, fisico asciutto occhi che ridono, è un saggio in cucina. «Non sono un integralista dell’alimentazione — precisa — ma è stato provato che mangiare molta carne porta all’aggressività e non fa bene, mentre scegliere le verdure di stagione, nutrirsi come facevano, per necessità, i contadini allunga la vita. Allora bisognerebbe non avere dubbi e fare la scelta giusta per il proprio benessere. Non riempite il frigorifero, ma fate la spesa tutti i giorni: è più faticoso, ma la salute ci guadagna».
Siciliano di Augusta, ha bellissimi ricordi di un’infanzia libera che seguiva i ritmi della natura. «Da piccolo con i miei amici stavamo in giro per strada, scavalcavamo le recinzioni e spesso, dopo una partitella di pallone, ci nutrivamo di carrube. Certe scorpacciate. Ma in Sicilia cresceva anche una pianta particolare, da noi in dialetto si chiama milicuccu (bagolaro in italiano), che produce un’oliva microscopica, con un nocciolo duro ma una polpa molto dolce: era la nostra passione. Oltre ai vari furtarelli di arance meravigliose. Mi fa male il cuore pensare a tutti gli agrumeti abbandonati».
Per il piccolo Giuseppe il momento clou della stagione era aprile, perché era già estate: «Andare a scuola in quelle giornate di sole era una sofferenza, i bambini del nord non possono conoscere questa sensazione: le finestre della mia aula davano su una baia, a due passi dall’acqua turchese, stare attenti a quello che diceva la maestra era difficile. Così certe mattine non entravamo e andavamo al mare a raccogliere i ricci con una maschera scassata. Non era semplice tornare a casa senza lasciare traccia di salsedine: le nostre madri usavano un sistema tecnologico per scoprire se eravamo andati in spiaggia, la leccata del braccio». Ride mimando la scena, «e lì partivano gli schiaffoni». L’antidoping casalingo per controllare se si era marinata la scuola era infallibile, i sapori nei ricordi si mescolano.
«Mi ritengo una persona fortunata» spiega Fiorello «perché ho avuto un rapporto selvaggio con la natura, che purtroppo non posso offrire ai miei figli; hanno molte altre cose, ma prima era tutto semplice, vero. Emanuele Crialese è riuscito a rappresentare tutto questo, anche certe durezze, in Respiro. Un film straordinario».
Dalle carrube ai ricci, solo sapori forti ma Fiorello scuote la testa quando parte l’elenco delle prelibatezze supercaloriche della sua Sicilia: dalle cassate ai cannoli. «Non ero goloso da piccolo — sorride — però mi ricordo l’iris, un bombolone fritto ripieno di cioccolata. L’arancina non si poteva evitare, come la cipollina, una sorta di millefoglie salata con cipolla stufata e mozzarella, e poi c’era la brioche con la granita. Quella mi piaceva, invece non sono mai andato pazzo per la pasta di mandorle. Troppo dolce. È appena uscito il libro di mia sorella Catena, Dacci oggi il nostro pane quotidiano (Rizzoli), che racconta una parte della storia della mia famiglia attraverso i piatti. Lei sa intrecciare cucina e sentimenti. Io ho un rapporto col cibo equilibrato, sto attento, m’informo, con tutti gli scandali alimentari dell’ultimo periodo, poi, ho perso la fiducia. Non si sa più cosa compriamo, siamo quotidianamente traditi. Da una decina di anni ho eliminato la carne, i miei figli hanno assaggiato tutto, ho iniziato con le verdure, che in genere ai bambini non piacciono: faccio la vellutata di zucchine o di porri col pane bruscato, ma anche gli spaghetti con le vongole, mi posso permettere di dire che so cucinare. La cucina spopola in tv ma bisogna stare attenti, molti programmi parlano di mangiare e pochi di alimentazione, sono due cose diverse».
L’eroe da fiction in versione casalinga è un consumatore da premio: «Faccio la spesa tutti i giorni, mi piace andare al mercato e scegliere ma non amo avere il frigorifero pieno, il rischio di buttare è in agguato, cerco di non sprecare il cibo. Può sembrare un discorso da bacchettone ma è proprio un’esigenza, visti i tempi dobbiamo tornare a essere rispettosi».
Meticoloso, nella vita come nella carriera, perfezionista, rispettoso del pubblico, per interpretare Modugno (pare che ci sia il progetto, dopo il successo, di girare la seconda parte della storia del cantante) ha imparato a suonare la chitarra. Persino Franca Gandolfi, la moglie del grande artista, sentendo una registrazione ha pensato che fosse la voce del marito. Stessa cura quando interpretò Valentino Mazzola nel Grande Torino e si fece allenare da Odoacre Chierico, ala destra della Roma degli anni 80, per imparare a calciare col piede sinistro. Il ragazzino timido che mangiava carrube e sognava di raccontare storie, ricorda le parole del padre Nicola: “Fate quello che vi piace, ma rimanete onesti”, e ringrazia la moglie Eleonora «perché è il mio punto di riferimento».
Lo dice con convinzione: «Tutta la mia carriera è basata su un lavoro serio, non è una botta di fortuna, mi sono applicato profondamente. Modugno mi manca, in quella storia ho lasciato una parte di me stesso, credo che gli spettatori l’abbiano capito. Gli ho dedicato tanto e mi ha riempito il cuore, è scattato un discorso di fiducia profonda col pubblico, l’amore della gente ti ripaga di tutto. Ma devo fare sempre meglio per me stesso, non farò mai una cosa pensando che devo conquistare qualcuno».